Il dibattito suscitato dalla tariffa unica per gli asili nido comunali ha messo in evidenza il fatto che la sinistra orvietana difende convintamente il criterio della graduazione della tariffa per scaglioni di reddito.
Si tratta di un criterio, praticato anche da amministrazioni di destra, che non mi ha mai convinto. Sia perché è difficile, e sovente impossibile, conoscere i redditi delle famiglie e le difficoltà si moltiplicano quando si devono individuare gli scaglioni. Sia perché le tariffe dei servizi pubblici differenziate per scaglioni di reddito hanno un effetto redistributivo della ricchezza che, applicato alle tariffe dei servizi, è in contraddizione con la logica della redistribuzione del reddito.
Orbene, lo Stato contemporaneo assume come principio basilare la redistribuzione del reddito e quindi una imposizione fiscale progressivamente crescente a danno delle classi agiate. Non si tratta di imporre ai ricchi la carità ai poveri, ma di evitare la distinzioni tra classi agiate e classi disagiate si radicalizzi e comprometta la stabilità sociale. I principi di equità, giustizia sociale e solidarietà c’entrano, ma sarebbero eclissati dagli egoismi se non entrasse in campo la paura dell’instabilità sociale.
La redistribuzione del reddito avviene con uno strumento di entrata (imposta progressiva sul reddito) e con uno strumento di spesa (servizi essenziali accessibili a tutti). Usare per lo stesso scopo le tariffe dei servizi pubblici è improprio perché scarica solo sugli abbienti che chiedono quel servizio una parte dei costi relativi allo stesso servizio prestato ai meno abbienti. Per esempio, con la tariffa differenziata dell’asilo nido, la famiglia abbiente che chiede il servizio paga anche l’onere che, attraverso l’imposta sul reddito, dovrebbe essere ripartita tra tutte le famiglie abbienti, anche quelle che non hanno figli o non chiedono il servizio. Rientrerebbe invece nella logica dell’imposizione diretta e della redistribuzione della ricchezza, la deducibilità fiscale della retta corrisposta.
Il vizio di differenziare le tariffe dei servizi pubblici in base al reddito, che si sta affermando anche nei servizi sanitari, deriva dal bisogno disperato di compensare la pesante inefficienza del sistema fiscale.
Tutto cominciò quando lo Stato decise di eliminare l’imposta di famiglia, un tributo comunale progressivo che colpiva i redditi delle famiglie con criterio induttivo, basandosi cioè sul tenore di vita vero e non sui pezzi di carta spesso falsi. Fu compiuto un atto sconsiderato che asservì le finanze comunali a quella statale e distrusse la sinergia tra uffici statali e comunali nel combattere l’evasione e l’elusione fiscale.
Altro discorso è quello dell’impiego delle risorse pubbliche, alimentate anche con la imposizione fiscale progressiva agli abbienti, per combattere le situazioni di indigenza che impediscono a moltitudini di cittadini una vita dignitosa.
Ma questo è un tema che richiede almeno un altro corsivo.