Ho cominciato a frequentare Orvieto con una certa frequenza dalla seconda metà degli anni ’90, quando ho inserito la città fra quelle da analizzare per le esercitazioni dei miei corsi di urbanistica alla Sapienza Università di Roma. La conoscenza precedente risaliva alla mia adolescenza quando alla metà degli anni ’60 ebbi il privilegio di alcune lezioni private di un’eccezionale docente di latino, che mi permisero di riconciliarmi con la materia e coltivare la passione per i classici.
Ebbi allora l’opportunità di sperimentare la funicolare “ad acqua” della fine dell’Ottocento che molto impressionò la mia fantasia di ragazzo. Solo all’università capii che sostituiva il “rettifilo” delle prime città toccate dalla ferrovia.
Quando nei miei corsi ho studiato la città dal punto di vista urbanistico mi è apparsa subito come “una grande città in miniatura”. Alla fine degli anni ’90 Orvieto aveva tutte le caratteristiche di un centro urbano molto più significativo della sua dimensione demografica di poco più di 20.000 abitanti. Gli elementi c’erano tutti: una grande cattedrale, il tribunale, la banca, le caserme, importanti istituzioni culturali (Fondazione Faina, Istituto Storico Artistico Orvietano, etc.), i musei, l’archivio di stato, gli uffici delle sovrintendenze, etc. Poi si andavano aggiungendo allora grandi progetti come quello della sede universitaria.
Comunque vada per la permanenza o meno del tribunale, oggi la città appare all’osservatore esterno ad un punto di svolta. Alcune delle istituzioni che ho citato sono scomparse o hanno perso di importanza, la città sta vivendo una crisi che non può più realisticamente fare affidamento, almeno nel breve termine, ad interventi straordinari come quello della legge speciale. E’ anche possibile, auguriamoci ovviamente il contrario, che anche altri uffici e attività possano subire l’attacco della scure finanziaria. Insomma alcune delle tessere di quel puzzle di istituzioni e attività che caratterizzavano fino a poco tempo fa la città sono saltate definitivamente.
C’è allora bisogno di ripensare il suo modello di sviluppo. Già alcuni sindaci, a cominciare da Adriano Casasole, che non ho avuto modo di conoscere, hanno cercato di mettere a punto un disegno complessivo. Purtroppo, però, quel disegno non è arrivato a compimento.
Non deve venire certo da uno “straniero” come me, che non ha a disposizione tutti gli elementi necessari, un giudizio politico. Quello che mi pare, però, di poter dire è che una nuova strategia deve maturare prima possibile. Può ad esempio reggere Orvieto la esclusione dalla linea ferroviaria direttissima che si sta profilando con la politica delle Ferrovie dello Stato orientate a separare l’alta velocità dai centri ferroviari intermedi come Arezzo, Chiusi, Orvieto e Orte? Può reggere Orvieto il declinare della formazione superiore post-secondaria ormai avviato con il depotenziamento progressivo del Centro Studi? Può Orvieto permettersi il ridimensionamento del tessuto di piccole imprese a tecnologia avanzata? E si potrebbe continuare a lungo. L’osservatore esterno ha la sensazione, spero sbagliata, che oggi non esista non tanto un disegno strategico (magari troppo rigido e che potrebbe crollare alla prima incertezza), quanto piuttosto una cabina permanente di regia, o meglio di proposta, caratterizzata da un approccio flessibile di scelta strategica che riesca a mettere in relazione la molteplicità dei grandi nodi che al momento si presentano alla città.