di Giorgio Santelli
Alcune delle ragioni dell’intergruppo “Orvietano Bene Comune”. Apriamo la discussione verso gli Stati Generali dell’Orvietano di settembre. E la stampa locale ci aiuti.
La sera del Consiglio Comunale aperto noi consiglieri provinciali eletti nel nostro territorio abbiamo lanciato la nascita di un intergruppo trasversale in Provincia che vuole farsi innanzitutto promotore di iniziative tese alla salvaguardia della nostra comunità. Questa cosa è stata letta positivamente dalla stragrande maggioranza degli orvietani. Qualcuno esprime alcune perplessità definendoci dilettanti allo sbaraglio. Non faccio polemiche perché in una fase come questa possono solo indebolire ulteriormente il ruolo che il territorio può ancora giocare nella ridefinizione di una strategia politica che, al contrario di quel che qualcuno ci dice, è estremamente chiara. Così voglio esprimerla in modo integrale, così come l’abbiamo meditata, pensata e proposta.
Parto da alcune considerazioni. Quelle che il Guardasigilli Paola Severino ha reso alla stampa pochi giorni dopo la definizione delle misure di razionalizzazione degli uffici giudiziari che io, definisco, un pezzo della manovra di spending review del governo. Ecco, dopo la definizione delle 37 sedi da chiudere e le proteste conseguenti in quelle comunità, il ministro afferma “Chiudere un tribunale è più difficile che affondare una corazzata”.
E’ questo termine che mi colpisce. Corazzata. Bene, se dobbiamo parlare della corazzata orvietana dobbiamo ammetterlo. I colpi subiti, i siluri arrivati in questi anni sono stati talmente tanti e potenti che ormai la nostra linea di galleggiamento risulta compromessa.
E se dovessimo raccontare in rapida successione quei siluri che hanno colpito la nostra comunità, ci accorgeremmo di quanto siamo stati bistrattati. Faccio davvero una rapida sintesi che non è nemmeno del tutto esaustiva e che può avere dei limiti di memoria.
Vi ricordate il periodo utile al decentramento universitario. Erano gli anni in cui le università cercavano nuovi luoghi di espansione. In quel periodo Orvieto provò a giocare la carta dell’Università. Utile approdo per limitare le perdite dei militari che se ne andavano. Dunque si andava alla ricerca di accordi. E ad un certo punto quell’accordo sembrò possibile con La Sapienza. Due possibilità: una parte della facoltà di Architettura e alcuni corsi di scienze politiche e scienze della comunicazione. Questo grazie anche al lavoro diplomatico messo in essere dal Prof. Mario Morcellini. Bene. A quella possibilità fu chiusa la porta in faccia. Da chi? Facciamo i nomi. Dalla massoneria e dalle baronie di Perugia. L’università perugina disse: “Mai Roma entrerà sul suolo umbro”. E così fu. Senza ipotizzare scelte diverse da parte di Perugia che, complessivamente, nel territorio ternano poco ha investito. Così a Orvieto non rimase nulla. E l’esperienza dell’alta formazione, che nacque in collaborazione con l’Itelco per ingegneria, sappiamo la fine che ha fatto. Come ingloriosa è la fine del Centro studi della Città. E, parliamoci chiaro, l’Università in sofferenza, anche quella perugina, se deve tagliare pensa innanzitutto al territorio ternano. Sappiamo anche noi quali difficoltà abbiamo, come Provincia, a lavorare affinché non muoia l’esperienza universitaria a Terni. Ma andiamo oltre.
Discussione sulla riforma sanitaria regionale. Non sono mai stato uno strenuo difensore delle Asl piccole, ognuna quale bandiera di un territorio. Una regione piccola come la nostra può vivere con un’unica Asl. Ma non si può raccontare la riforma dell’assetto sanitario, quella che attualmente c’è, definendo due Asl, due Aziende. Una sorta di duopolio, di cui uno (quello perugino) ricco e un secondo (quello ternano) povero. Ma anche all’epoca la chiusura della Asl arrivava con un progetto. Si disse: cosa è meglio perdere? I servizi sanitari o gli uffici amministrativi. Non c’è dubbio. Meglio difendere la comunità continuando ad offire servizi. Ed allora ecco il sogno e la promessa di un ospedale di emergenza urgenza a Orvieto. Qui, sull’A1, giustificato proprio da questo suo ruolo di servizio. Un ospedale di emergenza e urgenza, dove è possibile stabilizzare – faccio un esempio – i traumi più gravi per poi portarli nei centri specializzati del centro Italia. Una promessa. Smentita dalla situazione in cui l’ospedale versa. Nonostante il personale si spezzi in due per assicurare il servizio, nonostante i medici di base fanno sforzi immensi e volontari per avvicinare i servizi ai cittadini, le carenze di organico, lo scarso appeal per i medici, l’ospedale di Orvieto rischia di essere il fanalino di coda della sanità umbra. La cartina di tornasole di quel sogno mancato è rappresentata – faccio un esempio comprendibile – all’eliporto che ne doveva arricchire le sue possibilità di risposta in emergenza e urgenza. Su quella pista è nato un parcheggio per le macchine. Segno che quel sogno si è presto spezzato. Ed ora, con le ipotesi di ulteriori riforme in atto, anche questa situazione che viviamo oggi rischia di uscirne addirittura maggiormente penalizzata. Meno servizi, meno sanità, meno territorialità.
Ma andiamo avanti. Questo territorio ha progressivamente perso di peso politico. Un peso politico che è stato difficilmente mantenuto, per anni, di fronte ad un equilibrio territoriale assurdo. Con una Provincia che è tre volte più grande di un’altra. Con una rappresentanza istituzionale in Regione che è di 4 a uno a vantaggio di Perugia. Quante volte abbiamo chiesto il riequilibrio? Da Terni e da Orvieto. Quante volte abbiamo chiesto di cambiare una legge elettorale che penalizza il nostro territorio. Quante volte abbiamo chiesto alla politica regionale di ragionare sui territori di cerniera, come il nostro, come risorsa per la nostra regione. Perché è dai territori di confine che possono partire i rapporti di collaborazione con le altre istituzioni confinanti. Sulla sanità, per esempio, sui trasporti pubblici. Mi fermo per un attimo proprio su questo tema. In una situazione di difficoltà politica ed economica che ormai viviamo da tempo, una politica seria sul pendolarismo non è possibile se non fatta in modo organico con i territori provinciali e regionali confinanti. Penso a Siena, Firenze, Viterbo, Roma, Terni e le regioni di appartenenza. Bene, un progetto di questo tipo, una conferenza interregionale del trasporto pubblico locale non è mai stata fatta, nonostante più volte questa richiesta a livello provinciale sia stata inoltrata. Ma è solo una parentesi.
Torniamo, a bomba, sul depotenziamento strutturale del nostro territorio. E arriviamo al tribunale. Quante volte si è tentato di chiuderlo. E quante volte la chiusura è stata evitata. Io arrivo al 1995, quando si palesò questa ipotesi. Una classe politica forte evitò quella follia. Ma avevamo due parlamentari che rappresentavano il territorio. Beppe Giulietti e Carlo Carpinelli, uno alla Camera e uno al Senato. E le altre forze politiche, in opposizione in città e al governo a livello nazionale, fecero la loro parte. Così come le istituzioni provinciali e regionali. C’era orgoglio, capacità politica, forza. Oggi non è così. E dalla testa non mi leva nessuno l’ipotesi che, ancora una volta l’ipotetica scelta di chiudere il Tribunale di Orvieto potrà essere utilizzata da qualcuno per chiedere qualcosa d’altro come merce di scambio. E questo di fronte all’incapacità del territorio di alzare la voce. Alzare la voce. Sì. Serve questo.
Ho giudicato altre dichiarazioni imbarazzanti. Quelle del nostro Presidente della Regione Marini che, qualche giorno fa, sosteneva l’utilità di conservare la seconda Provincia umbra. Perché una regione con un’unica provincia non avrebbe senso. Certo che non lo avrebbe. Non c’è alcun dubbio. Ma bisognava aspettare la spending review per comprendere che la nostra Regione aveva la necessità di un riequilibrio? E ancora. A chi vive in questo territorio si dice sempre di non agire o pensare con pregiudizio. Ma perché solo oggi si pensa al riequilibrio? Perché non lo si è pensato quando da soli potevamo dare alla Regione una architettura istituzionale di maggiore equilibrio, di maggiore rappresentanza. Ci vedo, in questa nuova volontà riequilibrista, perdonatemi, un equilibrismo dell’ultima ora per evitare che con la chiusura di Terni ci sia la successiva chiusura di Perugia e anche la fine della Regione Umbria. E non per decreto, questa volta, ma per spinte centrifughe che non tarderanno ad esprimersi. A chi ci dice di essere dei dilettanti chiedo quali tentativi furono fatti, su questo tema, quando si ricoprivano incarichi molto più importanti che oggi noi consiglieri provinciali ricopriamo oggi.
Il tema del riequilibrio interessa tutto il territorio provinciale. Terni che vive una crisi economica mai vista. Una crisi industriale epocale. E quali soluzioni di sistema avanza la Regione? L’Orvietano: uno dei pochi territori umbri, se non l’unico, perde anche la sfida sul turismo. Presenze in calo. Che politiche ci sono a nostro favore. Nemmeno la guida dell’Azienda di promozione turistica affidata ad un orvietano ha dato risultati esaltanti.
Nel definire questa situazione non vogliamo sicuramente far rinascere alcuni movimenti come poteva essere la Tuscia. Ma certo è che questo nostro territorio dovrebbe trovare la forza e l’orgoglio per aprire una vertenza con la regione Umbria, innanzitutto. Io sono fieramente umbro e fieramente cittadino della provincia di Terni. Ma a questo punto penso che, in una fase di trasformazione dell’architettura istituzionale dello Stato, sia giusto valutare le opportunità che ci circondano. Se, ovviamente, queste opportunità ci sono.
Non voglio che questo territorio vada in Regione come facevano i nostri braccianti 70 anni fa andando dal padrone col cappello in mano. La nostra Regione ci deve dire se tiene a questo nostro territorio, se intende investire sui territori di cerniera, se ha voglia di progettare con noi il nostro futuro economico, sociale, culturale. Deve dire che l’orvietano è parte integrante ed essenziale della Regione. Perchè altrimenti questo nostro territorio, questa nostra comunità, se unita, ha la possibilità prevista dalla Costituzione di fare scelte diverse.
Stimolo la discussione con due esempi. Pensate a che sarebbe se una parte del territorio orvietano scegliesse di andare con il Lazio. Magari, dico magari, si potrebbe aprire una trattativa sul versante sanitario per il rilancio del nostro ospedale. Montefiascone ha chiuso, Acquapendente in crisi. E forse al Lazio, nonostante la crisi, può interessare un ospedale di emergenza a Nord, in prossimità dell’A1. Tra l’altro l’Alta Tuscia si rivolge, almeno in parte, al nostro ospedale.
E poi penso ai trasporti. Penso ai nostri 1800 pendolari. Una mattina si svegliano laziali e scoprono che i loro abbonamenti mensili si sono dimezzati in termini di costo perché parliamo di trasporti regionali. Ed allora possiamo re-inventarci un futuro su quell’asse che per noi è fondamentale (Roma Orvieto Firenze) e che non è stata mai capita a livello Regionale.
Non è una fuga dalla regione Umbria, ma la capacità che la politica dovrebbe avere a difesa della comunità che rappresenta. Quella di ipotizzare alternative, scelte diverse aprendo una trattativa, quasi una vertenza sindacale con la regione in cui siamo e, teoricamente, vorremmo restare. In una fase in cui qualsiasi defezione di territorio dalla nostra Regione che più che madre c’è stata matrigna, significherebbe una perdita di peso politico per la Regione stessa nel contesto nazionale. La Regione può rischiare di perdere un territorio o, finalmente, deve decidere di investire proprio sulle aree di cerniera per evitare perdite dei pezzi?
Ma per fare questa trattativa serve unità. Una unità che non c’è dalle nostre parti. Noi, in provincia, la stiamo portando avanti, definendo che per noi, consiglieri del Pd, di Idv, del Pdl eletti nel territorio esiste un fattore che ci unisce che è quello di considerare l’Orvietano un bene comune. Io, Andrea Sacripanti, Daniele Longaroni, Stefano Garillo e Francesco Tiberi, proviamo a metterci al di sopra delle parti, dell’appartenenza politica, dei partiti in cui militiamo affermando che il nostro territorio e la nostra comunità viene prima di tutto. E lo sanciamo con un intergruppo che nasce sostanzialmente anche se per esprimersi formalmente chiede una modifica dello statuto e del Regolamento del Consiglio Provinciale. Ma poco importa l’aspetto formale se noi, siamo d’accordo sul fatto che ogni scelta che prenderemo o che sarà presa dovrà superare una semplice domanda: fa bene al nostro territorio? Ed è rispetto alla risposta che ci daremo che agiremo di conseguenza all’interno dell’istituzione in cui siamo chiamati a svolgere i nostri compiti di rappresentanza.
Ecco, questo scatto d’orgoglio, questa voglia di unità, questa volontà vorremmo che si estendesse anche a livello locale. Noi diciamo basta alle liti personalissime all’interno dei partiti. Non ne possiamo più delle manfrine di chi, nel Pd, sta con tizio o con caio. E la stessa cosa vale per il Pdl o per gli altri partiti. Non serve una sorta di ABC locale. No, Non serve questo. Serve considerare che l’Orvietano è un bene comune. Qualche giorno fa a Terni in provincia abbiamo commemorato la figura del primo presidente della Provincia, Rutilio Robusti. Lui si trovò ad amministrare una realtà che usciva dalla seconda guerra mondiale. Una tragedia. Io ho detto che rimpiango quegli anni, quelli che seguirono, quella politica. Perché era una politica fatta di coraggio, di speranze e di idee. A questo territorio le idee mancano da molto, forse l’ultima idea forte che ha permesso una crescita vera è stato il Progetto Orvieto.
Dopo allora il nulla o poco più. Rimpiango quegli anni, quella bella politica. Quella politica fatta di interessi. Sì, perché la parola interessi non è una parola negativa se quegli interessi sono, come allora, collettivi, di comunità. Oggi, e le liti fratricide che viviamo nel nostro territorio lo dimostrano, la politica si regge sempre sugli interessi, ma sempre più marginali, di gruppi, di cordate o addirittura privati e personali.
Serve uno scatto di orgoglio, serve una piccola rivoluzione anche a casa nostra. Io e gli altri colleghi di Consiglio non ce la sentiamo di finire la nostra esperienza amministrativa come liquidatori di un territorio. Impegnarci insieme, con appartenenza politica e storie molto diverse, può essere un segnale di importante unità che speriamo possa estendersi con effetto domino sul territorio.
Solo sulla base di una rinnovata unità è possibile salvare la corazzata orvietana, riportarla sopra la linea di galleggiamento, ridare a tutti noi un futuro, fare in modo che la comunità orvietana torni ad avere peso nel contesto regionale. O, insieme, ipotizzare discutere e progettare nuove strade e nuove ipotesi in una fase di partecipazione vera tra partiti, movimenti, forze sociali e imprenditoriali, associazionismo laico e cattolico.
Per questo motivo vogliamo lavorare agli stati generali dell’Orvietano, dove discutere e progettare tutti insieme. Ma sia chiaro. Non ci può essere spazio per chi intende proseguire nel salvaguardare le proprie posizioni o nel difendere interessi personali o di gruppi. Orvieto e l’orvietano meritano qualcosa di meglio. Ed è l’ultimo appello. Cominciamo a lavorarci da subito, aprendo un dibattito anche grazie alla stampa locale on line che, certamente, deve partecipare come tutti a questo confronto che è di valorizzazione e tutela della nostra comunità.