Quando la sorte mi ha portato ad Orvieto dal natio borgo selvaggio avevo quasi otto anni. E i miei ricordi di allora sono legati, stranamente, a negozi di generi alimentari; forse perché eravamo nel dopo guerra, e uscivamo a stento dalla quasi fame. I ricchi andavano da Fioco, che era una specie di gioielleria di prelibatezze. I meno ricchi andavano da Simoncini, che era un negozio più casereccio, quasi familiare: ricordo che si poteva comprare anche a credito: tutto veniva segnato su un registro, e la fiducia veniva in genere ricambiata. Ma ricchi e meno ricchi andavano comunque dagli Svizzeri, perché in quel negozio dal nome poco nazionale potevi trovare quello che non trovavi altrove: caffè torrefatto in loco, liquori fatti dalla casa, spezie e cioccolato. Ero bambino e ricordo che il padrone del negozio( che aveva un accento strano, quasi meticoloso di parole dette con la cautela di chi non conosce bene la lingua, e deve calibrare ogni frase) quasi mi incuteva paura con la sua statura che mi sembrava gigantesca; e la paura veniva cancellata da un sorriso garbato, da un gesto da signore di altri tempi. Io lo chiamavo Vomossi, tutti lo chiamavano Vomossi: solo da poco tempo, e guardando l’elenco telefonico, ho scoperto che Vomossi era la italianizzazione fascistoide di Von Moos. Detto così sembra un gioco di parole, ma allora non capivamo perché il negozio di un Vomossi dovesse essere chiamato “gli svizzeri”. Mistero risolto quando non serviva più risolvere misteri. Ma una sorte di destino esotico sembra accompagnarsi a quel negozio: mi dicono che sia stato acquistato da una multinazionale: e dunque quel negozio avrà sempre un sapore di stranero. Mi dicono anche che la multinazionale cambierà genere di prodotti in vendita: bando ai liquori, bando alle spezie, bando al caffè tostato nel retrobottega e che spargeva il suo profumo quasi per tutto Corso Cavour, che allora era soltanto la strada che univa la piazza del Comune alla Torre del Moro, considerandosi a quei tempi il territorio oltrela Torredel Moro una specie di pericolosa periferia. Mi dicono che la multinazionale sia intenzionata a vendere slip, tanga e perizoma, aggiungendosi ai circa mille negozi similari che affollano il Corso: a dimostrazione forse del fatto che tutti vanno in cerca di mutande, quasi tutti essendo ridotti ad una sorte di senza mutande, senza avere la dignità rivoluzionaria dei sans culottes. Molti negozi, in questi ultimi anni, hanno chiuso le serrande, essendo venuto il tempo dei supermercati supertutto. Ma certe assenze non hanno ferito l’immagine di Orvieto, mentre la scomparsa degli “Svizzeri” segna veramente la fine di un’epoca. Perché “gli Svizzeri” era una sorta di emblema, e manteneva un sapore misterioso: ho sempre pensato al retrobottega del negozio come ad una sorta di laboratorio alchemico, dove si creavano sapori, profumi, magari anche colori: un retrobottega quasi peccaminoso, leggermente dannunziano.
Io non sono un cultore del bel tempo antico, anche se non trovo nulla di gradevole nel tempo nuovo, e nelle speranze progressiste e progressive. Ma “gli Svizzeri” mi mancheranno; mi viene da pensare che Orvieto, senza “gli svizzeri” sarà come un Vaticano senza le guardie svizzere. E mi mancherà certo l’aroma del caffè appena tostato, e lo spettacolo di quelle bottiglie inimitabili, e persino i biscotti Gentilini. E mi chiedo dove andranno , le nonne orvietane che ancora usano fare le torte di Pasqua e di Natale, a trovare i misteriosi indispensabili ingredienti che soltanto gli Svizzeri erano in grado di fornire. Qualcuno cerca di consolarmi dicendomi che i prodotti che trovavo dagli Svizzeri, ora senza virgolette, puoi trovarli a Roma da Castroni. Bella consolazione, sentire l’aroma del caffè viziato e quasi ucciso dallo smog di Via Ottaviano o di Via Cola di Rienzo. No, con la scomparsa degli Svizzeri Orvieto perde qualcosa di più importante di un Tribunale. Stamattina un bambino che mi è molto caro, quando siamo passati insieme( lo tenevo per mano) davanti agli Svizzeri, mi ha indicato con un suo piccolo dito la porta del negozio, e mi ha fatto capire che voleva una di quelle caramelle gelatinose che non trovi altrove. Avrei voluto comprarle tutte, magari le avrei assaporate insieme a lui. Ma non volevo fargli capire che ero commosso, e che mi correva nelle vene quasi una sorta di prossimo lutto.