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Home LETTERE PROVINCIALI

Asili nido: riflessioni per una maggiore equità

Redazione by Redazione
17 Luglio 2012
in LETTERE PROVINCIALI, Archivio notizie
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Il sottoscritto Consigliere comunale

 

Premesso che

 –    Da quanto si apprende dai quotidiani on-line, nonché dai due incontri che l’Amministrazione comunale ha avuto con le famiglie, la retta degli Asili Nido è stata incrementata per tutti gli utenti che si troveranno a pagare (anche i meno abbienti), non più secondo la fascia di reddito, una somma pari ad €. 250,00 mensili – di conseguenza sono state eliminate le fasce ISEE;

–    Che gli Asili Nido attualmente sono aperti sino alle ore 16,00 ma è data la possibilità di ritirare i bambini alle ore 13,00 pagando la somma di €. 180,00 mensili, sempre però con pranzo incluso addirittura servito alle ore 11,00 del mattino, escludendo quindi forzatamente la possibilità di far pranzare il proprio bambino a casa e usufruire, di conseguenza, di un ulteriore sconto;

c h i e d e

all’Assessore competente

 1)      Se è vero quanto appreso dai giornali e da cittadini preoccupati e demoralizzati che per necessità debbono usufruire di tale servizio come sopra specificato;

2)      Se per poter redigere il bilancio di previsione 2012, questa Amministrazione, ritiene conveniente portare al collasso le famiglie orvietane più di quanto abbia già fatto con tasse e diminuzione dei servizi.

Si chiede, infine, di relazione al primo consiglio utile.

Il capogruppo del Partito  socialista Italiano

Evasio Gialletti

(OrvietoSì 14 luglio 2012)

 

Per quel che ne so, l’amministrazione comunale intende articolare diversamente la tariffa degli asili nido per finanziare l’apertura del terzo nido di Ciconia. Quindi lo scopo non è di tagliare il bilancio, dato che l’onere a carico del comune per gli asili nido, al netto delle rette, rimarrebbe fermo a 300.000 euro.

Quello che emerge dalla nuova tariffa è una radicale sfiducia nella certificazione ISEE per la verifica del reddito familiare. Su questo non posso che essere d’accordo

L’ISEE ( Indicatore della situazione economica equivalente) è uno strumento regolato dalla legge per misurare la condizione economica delle famiglie che chiedono agevolazioni o sgravi alla pubblica amministrazione. Gli enti locali e le università possono adottare altri strumenti o prevedere correttivi all’ISEE.

La mia esperienza, confermata da un’ampia letteratura, è che l’ISEE è troppo spesso una fotografia truccata della condizione economica della famiglia. Può essere utile per avvicinarsi alla realtà solo se è integrato con una valutazione del tenore di vita.

Una pecca della nuova tariffazione orvietana è che lascia aperto il problema del doveroso aiuto alle famiglie che si trovano nella situazione di non poter accudire adeguatamente il bambino e di non poter sostenere la retta imposta dal comune. Poiché generalmente ricorrono all’asilo nido coppie e o persone singole che lavorano, e quindi guadagnano, gli effettivi casi di bisogno non sono numerosi, ma ci sono. Per accertarli e intervenire con un aiuto in denaro l’amministrazione comunale dovrebbe approntare tempestivamente uno strumento ragionevole. La variegata realtà degli enti locali offre spunti per risolvere il problema senza forzare le meningi di assessori e dirigenti.

Altro aspetto è la coesistenza di asili nido pubblici e privati. In Orvieto il comune si occupa solo degli asili nido comunali, ma con una soluzione gestionale che comporta l’affidamento delle attività materiali a una cooperativa, cioè a un soggetto privato che fornisce personale, pasti, custodia e pulizia. La cooperativa che attualmente gestisce i nidi di Orvieto centro e di Sferracavallo, e che aspira a gestire anche quello di Ciconia, impiega più di 20 persone. Ma esistono anche asili nido del tutto privati dei quali non possiedo informazioni dettagliate, ma che, mi si dice, stentano a far quadrare i conti, o meglio ad assicurare un reddito decente ai volonterosi e coraggiosi che vi s’impegnano rischiando anche i patrimoni familiari.

La mia opinione è che il comune debba promuovere una armonica coesistenza di nidi comunali e privati. E ciò perché gli asili nido, ancor di più delle scuole, tendono per loro natura all’eccellenza sia quando sono di proprietà dei comuni che quando nascono per iniziativa di privati che, per legge, devono possedere titoli professionali molti avanzati. Con ciò voglio dire che l’uso delle risorse comunali dovrebbe essere programmato in modo che, prima di aprire nuovi nidi comunali, si consideri l’opportunità di aiutare iniziative di privati con le carte in regola. Vi sono molti giovani che hanno capacità, intelligenza e volontà e che non aspirano a mettersi tranquilli sotto l’ombrello comunale, anche perché quell’ombrello è sempre meno tranquillo ed è sempre più caro.

Pier Luigi Leoni

 

Dico subito che apprezzo sia il tono che la sostanza delle argomentazioni di Pier Luigi. Mi permetto perciò di sviluppare poche altre considerazioni, se possibile ad adiuvandum.

Comincio da quella più ovvia. E’ certamente vero che le finanze pubbliche sono ridotte male, dal centro alle periferie. Ma il grande tema non è solo se da ciò si debba necessariamente dedurre lo smantellamento di ciò che il sistema pubblico delle tutele sociali ha organizzato in tanti decenni di elaborazione e di iniziativa intelligente e appassionata, ma anche se non si debba trovare un modo per rendere sostenibile l’accesso ai servizi mediante un’equa compartecipazione al loro costo a carico degli utenti.

Per questo penso che la soluzione del livellamento della retta degli asili nido comunali non è accettabile, se è vero quanto denuncia Giancarlo Imbastoni, che parla di un vero e proprio salasso deciso dalla Giunta per le famiglie orvietane meno abbienti: “Lo fa nella maniera più brutale e sbrigativa possibile, abolendo l’ISEE, il redditometro che impegnava le famiglie alla compartecipazione secondo il loro reddito (e sottoposto  a verifiche come vuole la legge). Quindi un prezzo unico per tutti, dalle otto fasce si passa a 260 € al mese per il tempo pieno e 180 € per il tempo ridotto; avviene quindi che chi pagava 90 € (compartecipazione  del 30%) si troverà un aumento del 280%, via via fino alla fascia sei (compartecipazione dell’80%) che da 240 € ne pagherà 260 € (aumento del 8%) e poi c’è la novità: le  fasce 7 e 8 che prima pagavano 270 e 300 € così pagheranno meno”.

No, questo  non va. La compartecipazione deve avvenire proporzionalmente alle singole possibilità. D’altronde tutti sanno che l’uguaglianza astratta è massimamente ingiusta semplicemente perché è finta, e perciò colpisce i più deboli a vantaggio dei più forti.

La seconda considerazione riguarda dunque l’ISEE. Pier Luigi sottolinea sia la debolezza di questo strumento per la misurazione delle possibilità contributive delle famiglie, sia la sua modificabilità/integrabilità. Che anche questo, come altri, sia  uno strumento imperfetto è chiaro: se il reddito non è veritiero, l’ISEE aggiunge ingiusta contribuzione a ingiusta tassazione. E’ la condizione generale del nostro Paese, non solo ingiusta, ma anche antieconomica. E speriamo che si trovi finalmente il modo di uscire da questo sistema che fa pagare le tasse ad un livello insopportabile solo a chi non può evaderle, e perciò spinge oggettivamente all’evasione chi ne ha la possibilità e in ogni caso condanna la nostra società ad essere tra le più ingiuste tra i paesi sviluppati.  Mi chiedo però perché almeno a livello locale non si tenti almeno di attenuare l’ingiustizia proprio mediante quella correzione/integrazione dell’ISEE di cui parla Pier Luigi. No, invece lo si abolisce, e così si perpetua quella condizione che mi fa presente chi già negli anni settanta doveva constatare che, per tenere un figlio al nido, avendo un reddito fisso, pagava più di chi notoriamente aveva condizioni economiche molto migliori.

Da ultimo non posso evitare di fare anche qualche considerazione relativa al bilancio. Penso che sarebbe bene non dimenticare due cose. La prima: se si vuole risanare il bilancio in modo stabile, di sicuro bisogna fare non solo una politica del contenimento della spesa, ma anche una politica dell’aumento delle entrate; solo che, se questo aumento avviene con l’accrescimento indiscriminato della pressione fiscale e contributiva, e non invece soprattutto con iniziative economiche che producono nuove entrate, si determina deterioramento sociale e si induce depressione economica. La seconda: è vero che nelle condizioni attuali della finanza pubblica, sia nazionale che locale, non si può evitare la compartecipazione dei cittadini alla spesa per i servizi in percentuale adeguata ad evitarne la chiusura; è anche vero però che tenere in piedi i servizi a domanda individuale senza preoccuparsi di chi vi può avere effettivamente accesso equivale a incentivare una vera e propria stratificazione del privilegio deleteria per la stessa tenuta sociale della comunità. Volendo essere chiari fino all’estremo si può anche sostenere che è meglio privare la comunità di certi servizi pubblici, lasciandone la realizzazione alla libera iniziativa privata in base alla domanda esistente, piuttosto che impegnare il pubblico in operazioni assimilabili ad una distilleria dell’ingiustizia. Ma che debba essere necessariamente così è tutto da dimostrare. Come sempre, è questione di orientamento culturale e politico, e di volontà.

Franco Raimondo Barbabella 

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