Eh, non si può non lasciarsi attrarre, consapevoli, dall’esca lanciata da Mario Tiberi, nonché dunque farsi irretire – benevolmente – dalle autorevoli riflessioni dei prof, Barbabella e Leoni.
Io al riguardo mi sento in dovere di ricordare il titolo di un bel Recital (all’epoca andavano di moda) che proponemmo – col gruppo di San Domenico guidato dai Padri Mercedari, Luigi e Tonino Manca, della cui band facevo parte come batterista (somaro, ma volenteroso), in trasferta dalla mia parrocchia del Duomo – a cavallo della fine degli anni ’70, inizi ’80.
In quel momento storico di autonomie ed anarchie, strategiedellatensione, bierre, elleccì, oenne, missì, piccì, diccì, ellessedì, e via discorrendo, mi sentivo, ci sentivamo dei privilegiati, quassù arroccati e coccolati (almeno in apparenza). Ma stavamo così tranquilli nella nostra sicurezza – almeno sociale – orvietana, da permetterci di spingerci in analisi ed approfondimenti che solo quell’età rende unici e particolari: quant’è bella giovinezza.
Certo, noi eravamo un gruppo cattolico, eterogeneo (il chitarrista ascoltava – e ascolta ancora, ché mica è andato! – Led Zeppellin e Black Sabbath; il tastierista si ispirava a Emerson degli EL&P e Wakeman; il bassista ed io, dai Deep Purple a Guthrie, ad Art “Mohammed” Blakey), ma in fondo in fondo (qualcuno, pure parecchio) in qualcosa credenti (in qualche modo). Per quanto mi riguarda, Paolo Borri era il mio Mentore e Maestro di Vita. Perciò, Credenti, sui generis. Ma mai indifferenti. Come non è indifferente chi bestemmia. Anzi. Ed apro una “parente”: arrabbiarsi contro quel qualcuno dal quale si aspetta il massimo dell’amore è un atto estremo d’amore. Attenzione, non è giustificabile, ma forse comprensibile se si capisce che quell’amore che il bestemmiatore prova è un amore proprietario, esclusivo e riservato. Quindi sbagliato, per carità. È, mi si perdoni la banale semplificazione, una sorta di manifestazione di gelosia. Sentimento raccapricciante, ma con cui l’essere umano si confronta da sempre; inutile nasconderselo. È il sentimento della debolezza e della nullità: ma è un vero sentimento. Non da rimuovere; da conoscere semmai; sviscerare e correggere. Perché la manifestazione oltranzista della gelosia diviene lesione e privazione della Libertà dell’altro. La bestemmia forse non c’entra con la gelosia, ma i sentimenti d’origine potrebbero essere parenti. Comunque, bestemmiare non è piacevole; chi lo fa e quando capita, se ce ne si accorge, monta dentro vergogna e disistima per l’incapacità avuta nell’autocontrollarsi in un atto che mina l’altrui libertà. Infatti la bestemmia in pubblico coinvolge comunque ed è lesiva. Ma torno al fatto che almeno nella bestemmia, se vogliamo, non c’è indifferenza. Questa si che è una bestemmia, verso la Vita però. Cosa resta più impresso nell’infanzia, la sberla, lo sberleffo o un pianto accorato disilluso? Ma quest’ultimo, non v’è dubbio. La sberla arriva ch’è già passata; lo sberleffo in qualche maniera lo rigiri, lo metabolizzi e riproponi pure. Si rimuovono. L’indifferenza di chi dovrebbe occuparsi di esigenze e necessità invece sedimenta – qualora accantonata – e prima o poi riciccerà.
Più che cefalopodi (Octopus & C. si è scoperto essere tra le creature più intelligenti del Pianeta), gli indifferenti somigliano più allo … (non si può dire; allora diciamo …) al letame. Per carità, utilissimo e necessario: ma è la risulta inutile di scarto, che segue le leggi di Gravità e resta lì, per i coprofagi o va via con lo sciacquone.
Quel ch’è peggio, purtroppo, è che l’indifferente, per quanto nocivo (per sé e per gli altri) non sa di esserlo. Nel teorema di Cipolla starebbe nel riquadro degli stupidi, quelli cioè che pur non facendo, fan cose che portano nocumento a sé ed alla società.
L’indifferenza è utopica: in realtà l’indifferente rosica; eccome. L’indifferenza genera da una reazione puerile di disingaggio, di non coinvolgimento, di chiamarsi fuori; in una spirale di proselitismo che cerchi conferme seminando indifferenze. Lo struzzo è l’indifferente al limite. Come le tre scimmie. Ma anche come Pietro, “al canto del gallo”. Fare finta che. Atteggiarsi a.
La malattia degli zombies. L’indifferenza è come il diabete, subdola. È la peggiore delle malvagità. Si nasconde dietro l’ipocrisia. Dietro snobismi e sussieghi. L’arrogante è un indifferente violento. Il delatore; il maldicente; chi disconferma e banalizza; chi capisce tutto lui e gli altri un … bel niente. Ecco, io sono un poraccio. Capisco veramente poco: per esempio, non so ancora cosa sto a fare sulla Terra. A parte cercare di viverci stando bene. E poi? Dopo? Voglio dire, alla biglietteria di Caronte? Eh, no. Non capisco davvero nulla. Tuttavia non voglio restarvi indifferente. Ecco, forse la intelligente caparbietà e tenacia del curioso, lo stimolo alla conoscenza, all’incontro, alla condivisione, alla solidarietà, possono essere vera soluzione all’indifferenza. Come quelle dei “martiri” (di ogni tipo e visione), degli inventori e degli esploratori.