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Home Politica

Il Centro Studi è sull’orlo del baratro. Lo salviamo o gli diamo la spinta finale?

Redazione by Redazione
18 Giugno 2012
in Politica, Archivio notizie
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Il 28 maggio scorso, il Consiglio di Amministrazione del Centro Studi Città di Orvieto ha deliberato di informare il Comune e la Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, soci fondatori,  che l’ente si trova nella  permanente impossibilità di conseguire le finalità statutarie a causa dell’insufficienza dei mezzi occorrenti. In tal caso, in base allo statuto (e alla logica), o l’ente viene risanato o deve essere sciolto.

In altri termini, il CSCO è stato progressivamente privato dei mezzi di sostentamento dai soci fondatori e da quelli sopraggiunti in seguito (Camera di Commercio e Provincia di Terni).

E adesso il CdA, presieduto dal prof. Roberto Pasca di Magliano, nominato dal sindaco Concina nel 2009, non avendo trovato altri fornitori di sostanziosi alimenti, avverte i genitori che il paziente è in coma.

Una sintesi storica

Il CSCO nacque nel 2000, per iniziativa del Comune di Orvieto, con l’ambizione di fare della città un centro di alti studi,  fino alla costituzione di una vera e propria università.

Il Comune costituì una fondazione di partecipazione, cioè una fondazione atipica, nella quale il patrimonio non deriva da un lascito o da una donazione le cui rendite saranno sfruttate per fini socio-culturali, ma dalla volontà di uno o più soggetti che versano un fondo iniziale e s’impegnano a partecipare annualmente alle spese. All’atto della costituzione, il Comune di Orvieto versò 100 milioni di lire per il capitale iniziale.

Il Comune (Cimicchi sindaco) ha versato, dal 2000 al 2004, somme annuali variabili da 200.000 a 250.000 euro. Poi il Comune (Mocio sindaco) ha versato 200.000 euro nel 2005, 160.000 euro dal 2006 al 2008 e ha messo in bilancio 160.000 euro  nel 2009. Poi il Comune (Concina sindaco) ha ridotto a 100.000 euro il contributo del 2009, e poi lo ha ridotto a 10.000 euro nel 2010 e a zero nel 2011.

La Fondazione CRO si aggregò successivamente come socio fondatore, con effetto dal 1° gennaio 2001, e versò 100 milioni di lire per il capitale iniziale. Poi versò una quota annuale di 150.000 euro dal 2001 al 2007. Quindi fece sapere che in seguito avrebbe finanziato soltanto progetti specifici, non intendendo più partecipare alle spese generali. Dal 2010 non si fece più rappresentare nel CdA.

La Camera di Commercio di Terni ha partecipato per due anni come socio assimilato ai fondatori, ha versato 50.000 euro per il fondo patrimoniale e non ha mai versato le quote annuali.

La Provincia è entrata come socio aderente, non ha versato nulla per il fondo patrimoniale, ha versato 50.000 euro all’anno dal 2002 al 2010 e  18.000 euro nel 2011.

La CSCO chiuderà l’esercizio 2011 con circa 120.000 euro  di disavanzo e con un debito verso la Cooperativa Sociale Carli di 427.000 euro per pulizie e altri servizi non retribuiti, per il quale è in corso una causa. Nel frattempo la cooperativa ha fatto bloccare i conti correnti del CSCO.

Considerazioni e domande

Dato per scontato che il Comune di Orvieto rasenta il dissesto e deve tagliare drasticamente le spese; preso atto che la Provincia è moribonda; constatato che la camera di Commercio non si è mai entusiasmata al CSCO, rimane solo la Fondazione CRO. Quindi, o la Fondazione vara un piano per salvare il CSCO o esso è morto.

Il debito con la Cooperativa Carli è molto pesante e contestato,  infatti nessuno se l’è mai sentita di onorarlo e si è finiti in causa. Nel corso degli anni, i CdA che si sono succeduti si sono comportati in modo incomprensibile: non hanno pagato i corrispettivi, non hanno provveduto a farsi assegnare i mezzi per pagare, non hanno impugnato il contratto chiedendone la risoluzione, non hanno risolto la questione in via transattiva, hanno lasciato marcire la questione fino a quando la Cooperativa ha dovuto ricorrere al decreto ingiuntivo.

Con l’estinzione del CSCO la Cooperativa rimarrà a bocca asciutta o qualcuno dovrà pagare? In tal caso chi dovrà pagare?

E che fine farà il personale del CSCO? Non ci si può preoccupare solo degli operai in cassa integrazione, ma anche di chi ha speso vari anni della propria esistenza per mandare avanti una istituzione che i rappresentanti della collettività hanno voluto. La professionalità acquisita da chi lavora nel CSCO vale meno di quella degli operai delle aziende private o dei lavoratori delle cooperative in crisi?

E che fine faranno le centinaia di studenti, soprattutto stranieri, che usufruiscono delle iniziative del CSCO?

Quali sono le intenzioni dell’amministrazione comunale? Mi piacerebbe tanto conoscerle, anche perché, in qualità di consigliere comunale di maggioranza avrei il diritto e il dovere di conoscerle.

L’amministrazione comunale ha deciso di trasferire la sede del CSCO in piazza del Popolo. Lo fa solo per risparmiare o anche per allestirgli la camera ardente? O intende praticargli la rianimazione?

Si vuole seppellire il CSCO per metterci una pietra sopra e sigillarla, oppure per farlo rinascere sotto altre vesti, sperando che la Cooperativa Carli resti col cerino in mano?

Sono dubbi che vorrei fossero sciolti prima delle seduta del Consiglio comunale in cui si dovrà discutere dell’estinzione del CSCO.

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