Organizziamo un incontro cittadino con le associazioni di categoria, gli ordini professionali e le istituzioni del nostro comprensorio per dire basta alle finte soluzioni del governo! per dire No alla chiusura del palazzo di giustizia! No al Ministro Severino e facciamo un concerto per rendere più visibile e incisiva questa battaglia. (Da un corsivo di Carlo Perali su OrvietoSI del 14 giugno 2012)
Carlo Perali mi sta simpatico non da oggi, perché gli capita di avere idee brillanti, comunque è autentico, e come tale si mette spesso fuori dal coro. Dispiace che questa volta non l’abbia fatto, ma quello che dirò è solo in apparenza una polemica contro le sue posizioni; in realtà, prendendo a pretesto quelle posizioni, vuol essere piuttosto una netta presa di distanza da un certo modo di intendere le cose della città.
Innanzitutto debbo dunque rilevare che il suo intervento trasuda di quell’antipolitica facilotta che ormai va così di moda che chi vi si acconcia rischia solo di farci brutta figura. Ma niente equivoci per favore: non sto difendendo la vecchia politica cialtronesca e demenziale, per non andare oltre, che ci ha portato dove sappiamo; sto solo dicendo che è troppo facile dire “i politici” senza alcuna specificazione, così, tanto per sentirsi ed apparire diversi e salvarsi la coscienza.
In secondo luogo i suoi argomenti si infilano dritti dritti in quel coro (anch’esso ormai troppo scontato) degli antigovernativi che non si sa bene cosa vogliono, essendo portatori ciascuno di esigenze diverse (seppure magari ognuna con un suo fondamento), ma si sa che in generale non vogliono che qualcosa cambi quando si tocca il ‘particulare’ personale. Insomma, come sempre, niente ragionamenti tosti di tipo propositivo dentro una logica di comunità locale e nel contempo nazionale. Anche qui niente equivoci: non sto difendendo tutti i provvedimenti del governo, anzi, non ne condivido la logica, che privilegia le razionalizzazioni alla cieca e le tasse che si abbattono dove il prelievo è più facile, ma mi guardo bene dal non capire che per salvarci bisogna metter mano in profondità al modo d’essere di un Paese che è stato governato dappertutto con la logica del favore e dello sperpero e che ha massacrato allegramente merito, serietà e competenza.
Ma vengo al punto che più interessa, in quanto è tema di forte impatto sulla nostra realtà. Si tratta della ventilata chiusura degli uffici giudiziari. Carlo Perali se la prende con il Ministro Severino e propone un concerto per dare visibilità e conferire efficacia alla battaglia per mantenere la sede del tribunale ad Orvieto. Non è colpa di Carlo, ma forse questo è il massimo che oggi può venir fuori dalla classe dirigente della città. Allora lo si faccia pure questo concerto, ma nel contempo si avvii una riflessione onesta, senza rete, sulle responsabilità che ci hanno portato a questo incredibile risultato.
Se si dovesse ragionare in termini di efficienza dell’amministrazione della giustizia, gli uffici di Orvieto dovrebbero essere tra i primi ad essere mantenuti in vita e valorizzati. Se si dovesse ragionare in termini di vicinanza dello Stato alla domanda di giustizia del cittadino, non si potrebbe negare che i tribunali cosiddetti minori esercitano in tal senso un ruolo insostituibile e semmai andrebbero rafforzati ridisegnando il loro ruolo territoriale. Se ne discute in modo quasi immutato almeno dagli anni ottanta del secolo scorso. Al Ministro Severino e al Governo Monti, visto che la priorità, in questo come in altri campi, è il puro risparmio e non il miglioramento del servizio, probabilmente di ciò non interessa un fico. Ma agli orvietani interessa davvero?
Qui evidentemente sta il punto: perché in tanti anni non si è fatto un passo avanti nella salvaguardia di uffici dello Stato ritenuti da tutti fondamentali per non perdere identità e ruolo, e per non arretrare sul piano economico, sociale e culturale? Abbozzo una risposta, che per esser chiara non vuol essere però né sbrigativa né a senso unico. E giunge a proposito proprio il paragone con Spoleto. Infatti, se Spoleto manterrà il suo tribunale non sarà, o non sarà solo, perché lì c’è la protezione dell’On. Benedetti Valentini. Sarà soprattutto perché Spoleto svolgerà un ruolo territoriale, avendo fatto per questo un’appropriata politica delle alleanze. Orvieto al contrario non ha fatto alcuna politica delle alleanze, non solo per costruire una base territoriale più adeguata per un’amministrazione moderna della giustizia, ma per un’organizzazione più moderna del sistema statuale nel suo complesso (unione dei comuni, sistema scolastico, trasporti, sanità, e ovviamente uffici decentrati dello Stato). Se da un lato Todi dichiara che nel caso andrà volentieri con Perugia e se dall’altro la Tuscia non risponde, questo è frutto di un qualche sortilegio? O non è forse la spia che qualcosa di profondo da tempo non ha funzionato e continua a non funzionare?
Ho tanto l’impressione che si stanno pagando oggi i limiti e gli errori di lungo periodo che hanno accomunato le classi dirigenti della città e del territorio: la chiusura in politiche di corto respiro, la pretesa che il mondo debba piegarsi ai nostri desideri, l’esaltazione della furbizia contro l’intelligenza, le clientele al posto del merito. Ad esempio, nessun gruppo o movimento o partito ha sposato l’idea di Orvieto come città territoriale, realtà di relazioni interregionali umbro-toscano-laziali, cerniera di luoghi geograficamente contigui con vocazioni economiche, culturali, e perciò anche amministrative, comuni.
Classi dirigenti isolate producono idee asfittiche e iniziative raffazzonate. Di fronte a cambiamenti profondi sbandano. Di fronte a sfide vere si ritraggono con lamenti struggenti e maledizioni contro i cattivi. Sarebbe il caso di dire basta. Ma chi ti dovrebbe credere se sei tu per primo che non hai una visione delle cose? I concerti vanno bene, ma non al posto della politica.
Franco Raimondo Barbabella
Franco legge la perdita annunciata del Tribunale come un sintomo della malattia che sta spossando la nostra città. Infatti Orvieto è una cittadina che ha perduto per l’ennesima volta nella sua storia il rango di città. Non è più il centro di attrazione di un pur modesto sistema urbano, ma un paesone senza peso economico, culturale e politico. Il fenomeno turistico è numericamente imponente, ma il milione di girovaghi che vengono ogni anno a curiosare, lasciano molte cartacce e poca cartamoneta. Non fanno parte del sistema-città, ma di un sistema planetario di spostamenti di esseri umani. Spostamenti che spirano stagionalmente come alisei portando un debole sollievo a una comunità languente. Il forestiero avveduto che legge su un palazzetto del centro la scritta “TRIBUNALE” prova una certa sorpresa e pensa che si tratti del retaggio di un passato migliore. Lo pensano da decenni anche i ministri di grazia e giustizia. E lo pensa anche la ministra in carica, che però non può permettersi di far finta di niente, perché le regole del suo ingaggio prevedono la dimostrazione agli Europei economicamente seri che stiamo mettendo la testa a posto. Hai voglia a dire che il nostro tribunalino spiccia le cause con una velocità che quelli più grandi se la sognano. Ti rispondono che però quelle cause sono spicciate a caro prezzo perché i magistrati costano un botto ed è meglio fargli tirare un po’ di più il collo. Hai voglia a dire che i tribunali grandi non funzionano e che ci vuole ben altro per ottenere dei veri risparmi senza infierire sui poveri cittadini. Ti rispondono che sei un ottuso benaltrista e che lo studio della riforma della giustizia è a buon punto.
Quanto al governo, confesso che i discorsi del presidente del consiglio, del suo mentore che presiede la Repubblica e dei ministri tutti, mi sembrano assennati e non mi sembrano folli i provvedimenti che adottano. Fanno il loro dovere di bravi scolari, ma non mi sembrano tanto ingenui da credere a quello che fanno. Chi invece mi fa pena è il popolo tedesco col contorno dei suoi ammiratori Finlandesi, Olandesi, Austriaci e Slovacchi. Essi pensano di educare i popoli mediterranei alla serietà nei rapporti sociali ed economici. Li vogliono benestanti e disciplinati come loro. Ma non ci riusciranno mai, per lo stesso motivo per cui non riusciranno mai a imparare dagli Italiani a cucinare bene, a vestirsi con gusto e a conservare il buonumore anche nei momenti di penuria. Gli Italiani, superati in questo solo dai Greci, godono da matti quando riescono ad arraffare soldi e privilegi dagli apparati pubblici. Si esaltano quando riescono a passare avanti a qualcuno perché godono di un appoggio, di una raccomandazione, insomma di una simpatia o di un’amicizia, nell’ambito di un rapporto solarmente impostato sul do ut des, su un dare e un avere che non pretende di realizzare presuntuosamente la giustizia in terra. Certo, si tratta di costumanze non coerenti con l’etica, ma che hanno creato meno guai di quelle tedesche. Del resto i Tedeschi, se fossero coerenti, invece di assistere sadicamente ai nostri inutili sforzi per estinguere il debito pubblico, dovrebbero darci le bacchettate sulle mani quando andiamo alle loro filiali a firmare cambiali per comprare le loro costose automobili.
Intanto la crisi economica c’è e durerà a lungo. Il debito nazionale c’è e nessuno ce lo leva. Il debito del Comune di Orvieto c’è e ci rimane. Ma la crisi di Orvieto è più tragica della crisi generale e locale e non dipende da esse.
Dipende dal fatto che abbiamo dimenticato non solo la storia, che è materia difficile, ma anche la geografia, che è materia basata sulle evidenze. Basta affacciarsi alla finestra per vedere che il monte Peglia e il monte Croce di Serra formano la barriera naturale che separa Orvieto dall’Umbria e l’Umbria da Orvieto. E la storia c’insegna che i polmoni di Orvieto o respirano l’aria del lago e del mare o si ammalano d’enfisema.
Credo che la soluzione dei nostri problemi non possa che partire dalla collettiva presa di coscienza di evidenze geografiche, di fatti storici e di conseguenti valutazioni culturali, sociali, economiche e politiche.
Pier Luigi Leoni