Credo di essere uno dei pochi superstiti della prima uscita del Corteo Storico, mi pare nel 1952, giusto 60 anni fa. Ho collaborato alla realizzazione del medesimo, sono stato il primo Capitano del Popolo con addosso un costume del “Trovatore” preso a noleggio, ho indossato via via nel tempo costumi sempre più decorosi e ne sono uscito quasi quaranta anni dopo avendone addosso uno addirittura sontuoso.
Negli anni ‘50 il Corteo viene per così dire abbozzato, ci si prova, ci si crede, ci si lavora, ci si meraviglia di quello che sta venendo fuori e si va avanti. Poi, scorrendo gli anni ’60 e sempre lavorandoci tutti, il marchingegno cresce ancora, si migliora, si completa, si matura e si perfeziona. E si matura sia per quanto riguarda il pregio dei costumi e delle armi che la qualità dei disegni e delle stoffe delle bandiere e degli stendardi e dei pennoni. Ma il corteo si matura anche per il modo come i figuranti, visti sia come singoli che come gruppi, indossano i costumi ed esibiscono bandiere, tamburi e chiarine.
Armonia dei gesti, sincronia dei spostamenti, allineamento, serietà. Consapevolezza insomma della sostanza dell’evento e dell’importanza della partecipazione.
E’ questo il periodo d’oro della “dominatio paciniana”. La gente accorre in massa ad Orvieto, il Corpus Domini si celebra di giovedì, dieci giorni dopo la Palombella, e di giovedì non si va né al mare, né a Bolsena, per il Corpus Domini non si può andare altro che ad Orvieto. E non è perché l’Azienda Turismo dell’epoca faccia qualcosa di speciale per attrarre gente, anzi gira voce che abbia persino rifiutato un certo “Festival dei due mondi” che verrà così appoggiato a Spoleto. No, l’aumento dell’afflusso è dato dalla crescita tumultuosa di una tradizione già secolare. Sono i paesi del circondario che si riversano tutti quassù, è il treno popolare che ne porta alcune centinaia da Roma, è il diffondersi della ‘500 e della ‘600, è il trionfo delle macchine fotografiche e delle cineprese, è insomma la fiorita imponente della festa orvietana più grande dell’anno.
In certi punti gli spazi di transito per il corteo sono talmente stretti da rassomigliare quasi agli arrivi delle tappe di montagna del Giro d’Italia o del Tour de France. La voglia delle ragazze di farsi fotografare vicino ai figuranti più prestigiosi è irresistibile e gli scatti davvero ininterrotti.
Gli anni ’60, insomma, furono anni “favolosi” anche per il Corteo Storico .
Il top fu raggiunto l’11 agosto 1964 quando salì ad Orvieto Paolo VI il quale nel vederci tutti quanti, vestiti di ferro e di velluto schierati sulle scale del Duomo sotto il solleone ad aspettarlo, non potè fare altro che compiacersene, almeno così ci fu riferito, ma credo che forse ebbe anche un pochino a compatirci. Era il VII centenario della “Transiturus”.
Il corteo di quegli anni era costituito da circa 300 figuranti. Successivamente, a seconda delle disponibilità, fu raggiunta quota 400 ma la numerosità non aggiunse nulla al colpo d’occhio ed ad una considerazione d’insieme, anzi con la pletora cominciarono ad emergere dei problemi circa il reclutamento e la qualità tanto che divenne obbligo e consuetudine far ricorso ai militari dell’ 8° C.A.R.
Oggi le cose sono cambiate, l’afflusso si è rarefatto per stranoti motivi e la faticosità della gestione è enormemente aumentata essendo d’altra parte cosa nota che gestire è molto più difficile che creare ed anche meno, molto meno, gratificante.
Non so se sia mai stata scritta una storia del Corteo storico ma ne sono accadute di cose curiose negli anni: dall’acquazzone che ci costrinse a rifugiarci entro chiese o sotto archi, archetti e portoni, fino al tonfo sordo di un armato cotto dal sole a Piazza del Popolo e al suono del ruzzolar del suo elmo sul selciato che strappò ad uno tra la folla il seguente, appassionato, commento: “Anvedi aoh…! Er gueriero s’è perso la cazzerola,…!”
Ed aveva ragione perché quegli elmi erano stati tutti tirati a martello presso la bottega Conticelli da casseruole d’alluminio comprate a Piazza.
Tra le altre curiosità circa i problemi di gestione del corteo ce n’è una relativa a un tentativo di “golpe” o di defenestrazione della signora Pacini, peraltro fallito, da parte di un gruppo di volenterosi che avevano la smania di prendere nelle loro mani le redini del complesso e della manifestazione, episodio simpatico e da ricordare ma sul quale forse dovrei documentarmi meglio, ammesso che ancora sia possibile farlo.
Lo scorso anno proprio di questi tempi annotai in un corsivo la sensazione di incoerenza che provai nel vedere per la prima volta, come spettatore il Corteo storico e cioè un susseguirsi di figuranti ben vestiti e ben prestanti, in maggioranza armati fino ai denti, precedere con trombe e tamburi una Processione religiosa.
Sì è vero che il Corteo nasce secoli dopo la processione ed è anche vero che in un certo qual modo le fu appiccicato addosso, ed è anche vero che io me ne sono accorto dopo quaranta anni, ma me ne sono accorto.
La questione non è formale. Il Corteo, se sfila bene, se la regìa è buona e l’organizzazione pure, è senza dubbio di grande effetto spettacolare e merita tutti gli aggettivi elogiativi disponibili. No, la questione è sostanziale. Una processione religiosa, sia che rievochi un Entità sia un evento, è sempre una manifestazione di pace che ostenta e si serve di veli, di candele, di stendardi, di preghiere, di statue, di canti e dei suoni della banda che servono a dare il passo ai procedenti. I simboli di una Processione suscitano, o almeno dovrebbero suscitare, sentimenti di pace, di speranza e di perdono, cosa che non fanno invece le picche, le asce, gli spadoni, le balestre e le alabarde. Ho letto che quest’anno sfileranno anche degli arcieri, naturalmente con archi e frecce.
Rifletto come dal corteo alla parata militare il passo sia breve, anche perché allora nulla vieterebbe in futuro, fondi permettendo, di accodare al Corteo stesso anche quattro catapulte, alcune macchine da assedio e qualche pentolone per l’olio bollente di quelli usati a difesa delle mura. Lo spettacolo ne guadagnerebbe senza dubbio, la Processione forse meno.
Scherzi a parte, (ma mica tanto), e sempre esclamando “Evviva il Corteo Storico”, voglio chiudere con un ultimo retroscena che non molti ricordano e che, forse, avrebbe potuto conferire al corteo medesimo quel senso di funzionalità e complementarità che a tutt ‘oggi, in rapporto ad una manifestazione religiosa, a me ancora sfugge.
Sul finire degli anni ’50 la creatura era ancora giovane, povera e mingherlina, ma già prometteva bene tanto che a qualcuno venne l’idea di utilizzarla, come del resto accade un po’ dappertutto, come prologo e cornice per una manifestazione competitiva d’epoca. Qualcuno ne elaborò le regole, furono cuciti i primi costumi e come nome fu proposto la “ Giostra (o sfida ) del Mazzascudo”. Furono fatte anche delle prove, poi di botto, la cosa morì li, non se ne fece nulla e nessuno ne parlò più. In seguito si sussurrò che qualcuno avesse sollevato delle obiezioni concretizzatesi poi in un pesante veto.
Per concludere, e al di fuori delle mie personalissime valutazioni sostanziali, rivolgo i più robusti auguri di veterano, a chi si cimenta oggi in un esperienza tuttora esaltante e per l’occasione mi faccio tornare in mente quanto, al momento di indossare il costume, veniva a noi raccomandato, e cioè la serietà e l’armonia dei movimenti, insieme all’ammonimento che la distanza tra l’essere un figurante o un fantoccio è molto, ma molto piccola.(molti anni fa assurse agli onori della cronaca l’immagine di un figurante sorpreso dal fotografo con un dito nel naso).
In bocca al lupo a tutti.