Tra le attività introspettive del genere umano, al quale mi sento di appartenere a tutto tondo, può forse rientrare a pieno titolo quello che mi è venuto di definire “il minuto filosofico giornaliero”, nel quale trovo fertile giovamento per il mio Spirito al pari della Preghiera e del quale espongo qui di seguito le risultanze relative alla trascorsa settimana.
Alberto Moravia, durante tutto il corso della sua attività letteraria, a più riprese ha affrontato il tema dell’indifferenza incentrandolo sull’angolo di osservazione del metodo dubitativo e, quindi, elevando ad aporia dialettica la constatazione secondo la quale gli italiani, o perlomeno la maggioranza di essi, sarebbero un popolo di indifferenti.
Buona parte degli italiani sarebbe allora insensibile o non interessata ai contemporanei fenomeni sociali, economici e politici?. E ai quali risponderebbe con la “forma mentis” del disincanto, della noncuranza, del qualunquismo “menefreghista”?. O forse, rassegnati, si cullano dondolati da un torpore morale e culturale il cui destino è l’apatico appiattimento delle coscienze, delle capacità di provare sentimenti profondi?.
Se una entità ha lo stesso valore di un’altra e di un’altra ancora, e così via all’infinito, niente ha più valore. Nulla di più banale, ma nulla di più vero!.
D’altronde il padre del nichilismo, a cui corrisponde uno “status” di assoluta indifferenza per ciò che circonda l’esistente, è venuto a mancare all’inizio del Novecento e, dunque, non vi è da stupirsi se il ventesimo secolo sia stato caratterizzato proprio da quest’ultima condizione, tanto individuale che collettiva, così come era stato ipotizzato con lungimiranza dallo stesso Nietzsche.
Viene da chiedersi se codesta disincantata visione, questo non coinvolgimento, dipendano da una strutturale incapacità connaturata all’essere umano o, non piuttosto, è semplicemente il frutto di una momentanea paura o di un persistente timore. Comunque sia, paura o timore di interrogarsi o di esprimere l’autenticità e l’unicità di ognuno di noi.
Come è stato spesso sottolineato, viviamo nell’epoca delle sensazioni e non dei sentimenti, delle emozioni forti ed estreme e non della quiete, della tranquillità e della serenità esistenziale. Siamo più desiderosi di stordirci e distrarci con qualunque effimerità che ci distolga dalla vera, pur dura, realtà e dall’impegno che essa comporta. Il mondo virtuale lo abbiamo abusivamente trasferito nella nostra concreta quotidianità?.
Il suggerimento, che mi sembra di poter esternare, è quello di non essere indifferenti agli indifferenti, di non essere intolleranti verso di loro o, peggio, di non considerarli affatto. Vanno, invece, affascinati, stimolati, interessati!.
Ciò, però, non può significare semplicemente che gli indifferenti vadano lusingati con sinuose seduzioni prive di contenuto, ovvero non supportate da ragioni che possano risultare ricche di ampie e obiettive validità. Non si tratta di “persuadere” l’altro per il raggiungimento di corporativi interessi personalistici ma, al contrario, di “convincere” il potenziale interlocutore del proprio punto di vista tramite argomentazioni fondate e incontrovertibili.
E’ con l’arte della sofistica, definita da Aristotele “la sapienza apparente ma non reale”, che si incantano e indottrinano le masse, non favorendo un ragionamento basato sulla logica razionale.
Gli indifferenti non vanno persuasi per imprimere loro, passivamente, il proprio privato punto di vista, ma vanno spronati a ritrovare in loro stessi l’interesse, la curiosità e la molla che li spinga a costruire rapporti sociali tali da essere efficaci ad affrontare e risolvere, insieme, i problemi di tutti.
Quanto sopra non può che avvenire se non per il mezzo di un linguaggio popolare e democratico, non certo con l’imposizione, ma con il dialogo aperto a tutti, dove tutti si rendano disponibili ad ascoltare le ragioni altrui, non le semplici opinioni, nella prospettiva di un accordo comune che assuma le sembianze di un “Patto globale di saldezza democratica e di stabilità sociale”.
Nella filosofia critica di I. Kant, la persuasione o il convincimento sono considerati credenze soggettive e private, opinioni e non verità, mentre la convinzione ha un carattere oggettivo: i primi non possono essere argomentati e, quindi, accettati pubblicamente come validi; la convinzione senz’altro sì.
E’ di tale ritrovata convinzione nelle proprie doti d’intelletto intelligente che necessita un popolo di indifferenti per superare, coraggiosamente, gli ostacoli derivanti da riflussi privatistici sconfinanti verso l’astensione dai pubblici doveri. Vale per gli Italiani, che si debbono riappropriare dei loro diritti costituzionali scippati loro da un ceto politico prepotente e corrotto; vale per gli Orvietani, che si debbono affrancare da una Orvieto ridotta a città dimissionaria e, ancor di più, dimissionata.
La conclusione, che mi permetto di sottoporre all’attenzione riflessiva della pubblica udienza, può sintetizzarsi nella seguente immagine: sottrarre gli indifferenti dalla loro condizione di cefalopodi, cioè di coloro che strisciano con il cervello e ragionano con i piedi