“Nonostante la voglia di continuare a pensare ed agire “alto”, come tanti gruppi ed associazioni locali che si battono per valorizzare, difendere, sostenere e preservare l’ambiente, il paesaggio, la cultura di Orvieto, senza strumentalizzazioni partigiane e bottegaie, se non personalistiche, populistiche o demagogiche. Nonostante ciò, quello che passa sempre di più è ancora il fare i propri interessi, che è fare divisione, politicar contro: terrorismi politici, sociali e culturali. Tutti contro tutti. “Vieni a veder …”; non ci si crede!!!
[…] Oggi come oggi un’opportunità più che mai valida e densa di significati. Il Giubileo indetto da papa Benedetto svolge in questo un ruolo inderogabile: stolto o in malafede chi non voglia rendersene conto e ne ricerchi l’offuscamento e la disconferma. Sarebbero certo strumentali e populisti, ovvero stupidi e sciocchi, prese di posizione ideologiche, pseudo culturali, pregiudiziali e pretesti su motivi confessionali o religiosi. Scontati e inefficaci. La Chiesa sta già facendo e non potrà certo mancare di fare la propria parte.
[…]«ORVIETO CITTÀ DEL CORPUS DOMINI». Un Bene Comune ricevuto gratuitamente in dono da storia e tradizione (dallo Spirito Santo, per chi – come il sottoscritto – voglia crederci), da poter e dover mettere a frutto. In unità e spirito di collaborazione. Remando insieme tutti nella stessa direzione per uscire da un gorgo pericolosissimo verso lidi raggiungibili e sicuri, in sincronia e sinergia. Per Orvieto. Se lo merita. Ce lo meritiamo”. (Silvio Manglaviti su Orvietosì del 22 maggio 2012)
L’appassionato intervento di Silvio Manglaviti ci richiama a un atteggiamento civico positivo e costruttivo nei confronti del Giubileo Eucaristico. Egli paventa che le piccinerie umane, siano esse politiche o personalistiche, determinino una inadeguatezza nell’affrontare una occasione storica di prestigio e di sviluppo per la nostra comunità.
Lo pavento pure io e, mentre sto cercando di rendermi utile nelle sedi opportune, mi sento anche in dovere di contribuire a una riflessione per mezzo della nostra rubrica.
Ebbene, la Chiesa si è accorta da un pezzo del suo dovere di mettere in pratica ciò che la sua dottrina, conformemente all’insegnamento di Cristo, ha sempre affermato: l’uomo è immagine di Dio in quanto concorre con la sua libertà al completamento dell’opera creatrice di Dio. La vera fede in Cristo è fondata su una scelta libera “per grazia di Dio”. Cioè la fede è un dono che Cristo ha messo a disposizione di tutti per una scelta “libera” di accettazione, di indifferenza o di rifiuto.
Ai tempi di Urbano IV, la dottrina era sempre questa, ma l’applicazione da parte dei cristiani non era coerente, dato il timore che l’ateismo e, ancor più, le dottrine ereticali minassero e dissolvessero l’assetto sociale e politico. Chi conosce, per studio o per esperienza diretta, i fantasmi che rendono insonni le notti degli uomini di potere, siano essi credenti o non credenti, si meraviglia non più di tanto. E Urbano IV era un uomo del suo tempo, vissuto in un secolo in cui la Chiesa aveva istituito la famigerata Inquisizione, che ammorbò la cristianità occidentale per quattro secoli.
Ma la bolla Transiturus de hoc mundo, emanata da un papa tormentato dalle difficoltà politiche e mortalmente ammalato, è un atto purissimo di fede. La Chiesa cattolica ha sempre fondato sulle parole pronunciate da Gesù Cristo durante l’ultima cena la convinzione che con la consacrazione del pane e del vino si opera la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del Sangue di Cristo. Il modo misterioso in cui Cristo ha voluto rimanere presente nella sua Chiesa, come tutte le cose inaccessibili alle facoltà dell’umano intelletto, è materia di fede: una fede che è “realtà di cose sperate e convincimento di cose che non si vedono”, dice San Paolo. È quindi comprensibile che il mistero dell’Eucaristia sia stato oggetto di fede tenace e di coerente dottrina, ma anche di dubbi e di contestazioni eretiche. Urbano IV, che aveva già incoraggiato la istituzione delle festa del Corpus Domini da parte del vescovo di Liegi, quando era arcidiacono in quella città, decise, nel 1264, di estendere la celebrazione alle chiese dipendenti dal Patriarcato di Gerusalemme e poi a tutta la Chiesa Cattolica. Il recente miracolo eucaristico di Bolsena non viene menzionato nella bolla e neppure è certa la collaborazione di San Tommaso alla sua stesura, ma senz’altro l’opera del grande teologo domenicano è stata di sostegno al papa.
Dunque la proclamazione da parte del papa regnante di un giubileo eucaristico speciale nel 750° anniversario del miracolo di Bolsena e della bolla Transiturus de hoc mundo è un evento di straordinaria importanza dal punto di vista religioso. Ma la Chiesa cattolica sta in hoc mundo e Orvieto pure. È quindi doveroso che la comunità orvietana, composta da credenti, indifferenti e non credenti, si prepari ad accogliere degnamente i pellegrini che affluiranno senz’altro numerosi da ogni parte del mondo, apprestando non soltanto la logistica, ma organizzando eventi culturali consoni alla situazione. E Bolsena dovrà fare altrettanto. Ma la nostra città, in piena crisi sotto tutti i punti di vista, ha la forza morale per affrontare la situazione? Le prime avvisaglie non sono incoraggianti e l’aria che tira da decenni non ispira ottimismo. In un confronto con Bolsena sul tema del Corpus Domini Orvieto è perdente, basti constatare che la processione orvietana è dominata dalla spettacolarità del corteo storico, che attira i curiosi di parate vistose più che i devoti, mentre nella processione di Bolsena è più evidente il carattere liturgico. Dal 1965 Orvieto, per non disturbare il corteo storico, ha proibito l’infiorata, che invece regolarmente si fa a Bolsena ed è la più lunga del mondo e una delle più belle. E va detto che l’infiorata in terra e il gettito dei fiori dalle finestre è manifestazione di devozione popolare che ha accompagnato fin dall’origine la processione del Corpus Domini.
Orvieto rischia di perdere una occasione storica di credito e di rinascita. Spero che Franco abbia in serbo considerazioni più incoraggianti, altrimenti a che serve giocare a ping pong con le idee?
Pier Luigi Leoni
Certo, il nostro gioco ci consente ogni cosa. Meglio, ci consente quasi ogni cosa, e il quasi è parola necessaria perché comunque abbiamo a che fare con le vicende umane (“nihil sub sole stabile”, vero Pier?) di cui le idee sono sì fulgida espressione, ma lo sono come massima manifestazione di potenza (sono le idee che muovono il mondo, soprattutto oggi) e insieme di fragilità (appartengono pur sempre alla natura umana). Va aggiunto poi, e non è affatto cosa secondaria, che se il cervello funziona si possono tirar fuori buone analisi e brillanti ipotesi, ma se non si hanno gambe e braccia efficienti per fare e strumenti adeguati per realizzare, allora le idee diventano belle aspirazioni che al massimo stanno lì come testimonianza di buone intenzioni. Per carità, meglio questo di niente.
Il guaio davvero grande è quando in una comunità si manifesta e poi si consolida e diventa prevalente la tendenza a considerare secondarie e inutili, se non pericolose, proprio le idee, e a trattare conseguentemente con noncuranza i mezzi per realizzarle. Io credo che questo è proprio quanto sta accadendo ad Orvieto. Per onestà, bisogna dire non solo ad Orvieto, ma francamente è una magra consolazione. Sulle cause non mi soffermo, sia perché ne ho già parlato in questa e nella precedente rubrica “A destra e a manca” e in altre occasioni, sia perché si tratta di questioni complesse che richiedono ragionamenti non di passaggio. Accenno invece, seppure anche su questo non è la prima volta che dico la mia opinione, alle manifestazioni del fenomeno accennato, che è certamente di degrado.
Naturalmente, per parlare di degrado, bisogna ammettere che in una fase precedente la situazione era diversa. In effetti è proprio così: c’è stato un tempo, non lontanissimo, in cui anche ad Orvieto le idee erano di casa ed era prevalentemente sulle idee che faceva perno la lotta politica, quella vera, anche quella dura. Lotta sulle idee e sulle strategie per realizzarle. Una lotta che poteva essere vincente o perdente (come sempre, era il caso delle idee meno popolari), ma che era comunque tale da permettere che idee ardite potessero andare avanti e proposte sconfitte non si gettassero alle ortiche.
Quante idee elaborate nella fase del Progetto Orvieto sono state effettivamente realizzate? Un bel pacchetto, e anche gli avversari oggi lo ammettono. Quante altre sono poi transitate nei periodi successivi, magari in parte cambiate, oppure messe in deposito e lasciate lì, però almeno non negate? Credo non poche e, se è consentito, nemmeno banali. Comunque un patrimonio disponibile, seppure da aggiornare attingendo a nuovi strumenti, conoscenze e relazioni. Vogliamo dire l’idea del Parco archeologico e ambientale? O quella del sistema museale cittadino e di una struttura per grandi mostre? Oppure quella della messa a regime del patrimonio storico-artistico in funzione della produzione di cultura e dei flussi turistici stabili? Vogliamo dire l’idea di una riorganizzazione della viabilità interna al territorio e per la sua accessibilità da e verso l’esterno? Oppure quella del superamento dei confini territoriali e del ruolo di area cerniera? O anche l’idea di una stabile proiezione internazionale della città e del territorio e di un conseguente adeguamento delle strutture e delle logiche di accoglienza? Potrei ancora continuare, ma credo che quanto detto basti per sottolineare che ciò che distingue le classi dirigenti è innanzitutto proprio la produzione di idee, con cui si interpreta un determinato momento storico e si delineano le possibilità di soluzione dei problemi, che sono poi i bisogni di vita nel presente e le speranze nel futuro da costruire a partire da quei bisogni. E però, come ho detto, insieme alle idee anche la capacità di tradurle in pratica, individuando mezzi, modalità, tempi e risorse.
Quando oggi penso a ciò che offre la realtà della nostra città non posso anch’io non essere preso dallo sconforto, come Pier Luigi, come Silvio, e come altri amici con cui ho occasioni di confronto più o meno frequenti. E come potrebbe essere diversamente, se considero ad esempio il piano su cui da tanto tempo si è attestata la .lotta politica? Vogliamo dire particolaristica? A gittata corta? Stanca, incerta e rinunciataria? Personalistica? O che altro? Come potrebbe essere diversamente se penso alle occasioni già perse, che ad esempio il COVIP ha indicato o che abbiamo indicato Pier Luigi ed io o che hanno indicato altri (tanto per dire: la candidatura per essere Capitale europea della cultura 2019, che invece Perugia e Assisi hanno colto). Idem se penso alla incredibile vicenda dell’area di Vigna Grande. Idem ancora se penso alle vicende del bilancio, su cui Massimo Gnagnarini ha detto anche da poco semplicemente ciò che andava detto.
Allora solo degrado, da cui solo sconforto? No, non c’è solo degrado. Comunque non c’è il deserto. Finché ci saranno persone come Silvio Manglaviti, che hanno idee e passione civica, la speranza è d’obbligo. E d’altronde il fatto che noi stessi non ci siamo ancora stancati di discutere con slancio costruttivo credo che vada interpretato (anche se mi viene il sospetto di essere troppo buono con me stesso) come segno di uno spirito vitale della città che resiste e non vuole cedere il passo alla rinuncia.
Si potrà superare questa fase così povera? Sì, perché è nella crisi che si sprigionano le reazioni costruttive più forti e durature. Sì, perché Orvieto e il territorio orvietano hanno potenzialità straordinarie che attendono di essere messe a fuoco e organizzate. Sì, perché non mancano affatto intelligenze, che attendono di essere messe alla prova. Il grande tema è chi e come. Tema non da poco, anche perché soggetti e strumenti tradizionali sono diventati sostanzialmente inservibili. Ma con il più caparbio ottimismo della volontà dobbiamo dire, parafrasando più che Galileo il galileiano Giuseppe Baretti, “Eppur si muove!”. Vedremo, e per intanto lavoriamo a costruire.
Il giubileo eucaristico speciale nel 750° anniversario del miracolo di Bolsena e della bolla Transiturus de hoc mundo, che, come ha messo bene in evidenza Pier Luigi, è evento straordinario dal punto di vista religioso, è occasione non meno rilevante dagli altri punti di vista che interessano l’intera nostra comunità, ciò che ha evidenziato ormai in più occasioni Silvio Manglaviti e su cui noi stessi abbiamo avuto modo di ragionare in un precedente numero della nostra rubrica. Solo per questo non mi ci soffermo di nuovo qui.
Ma le preoccupazioni degli altri amici sono anche le mie, perché il tempo corre e non perdona pigrizia e ignavia. Bisogna reagire subito. E’ ora che gli individui responsabili e le forze sane della città, se esistono (ed esistono!) si manifestino e si mettano in movimento. Questa volta senza giochetti e tatticismi. Non c’è più tempo. Non c’è più spazio.
Franco Raimondo Barbabella