Ritenendo non del tutto esauriente il pregresso digredire sul concetto di “Potere”, mi sento in obbligo di precisare alcuni elementi di giudizio che affido all’odierno corsivo. Oltretutto sarà così felice, se uso il termine “corsivo”, il sig. G.P. Aceto al quale, solo rammento, una antica locuzione latina: “Nomen est omen”. Ovverosia, nel nome è scritto molto di noi; in quello di lui è compresa la presenza di acido acetico.
Veniamo alla questione in oggetto, quella che mi preme seriamente affrontare al di là di schermaglie querimoniose e prive di costrutto.
Tra i valori ideali da sempre agognati dalle donne e dagli uomini che hanno popolato e popolano il nostro Pianeta, due possono essere evidenziati per la loro antipodicità, in verità solo apparente: la libertà e l’ordine costituito.
Sembrerebbero, infatti, cozzare l’una contro l’altro dal momento che le leggi, naturali e scritte, parrebbero tendere a limitare e/o a delimitare entro confini rigidi e stretti gli spazi della libera esplicazione delle personalità, singole o raggruppate, quando invece quest’ultime, solo se costituzionalmente preordinate, conservano appieno la potenzialità della manifestazione espressiva.
Necessita e occorre, allo stadio iniziale della susseguente riflessione, operare una fondamentale distinzione tra “Politica” e “Potere”.
La Politica, quale disciplina finalizzata a dirimere tensioni prima e a comporre poi uno stabile ordinamento sociale nella sua veste di indirizzatrice dei destini di una comunità (polis-tuke), è una “monade magna” assoluta e ideale che vive e brilla di luce propria e non ha quindi necessità né di essere dimostrata, né giustificata, né legittimata; nella sostanza, essendo la causa efficiente di se stessa, trova appunto in se stessa la sua ragion d’essere e di esistere.
Il Potere, al contrario, quale strumento operativo ed effetto causale della medesima, vive e brilla di luce riflessa e, dunque, abbisogna di essere dimostrato, giustificato, legittimato.
Nei regimi totalitari e dittatoriali, la storia tutta lo prova, il potere nasce, si fonda e si consolida sull’uso della forza bruta in una micidiale miscela di sopraffazioni e di utilizzo di armi cruente e, quindi, non può che sostanziarsi in un potere cinicamente crudele e scientemente violento tanto da arrivare ad eliminare, anche fisicamente, ogni forma di opposizione, di dissenso o di avversione che tenti di frapporsi tra esso stesso e il suo autodiritto a dispiegarsi, imposto coercitivamente.
Nei sistemi democratici, al cui nucleo centrale è posto il principio che fonte della rappresentatività giuridica non altro vi è se non la rappresentanza politica e istituzionale, il potere ottiene la sua piena legittimazione dal libero consenso popolare, anche se solo maggioritario, e così, solamente così, viene giustificato il suo esercizio nel rispetto delle deleghe conferite. Oltre di esse, si apre la pericolosa avventura dello sconfinamento nei terreni dell’arbitrio potestativo e dell’abuso normativo.
Non è, dunque, sufficiente il consenso liberamente espresso a garantire il legale e ordinato funzionamento delle istituzioni democratiche se, coloro ai quali è stato demandato, non possiedono valori e virtù tali da non disperderli in ragione dei loro tornaconti e dei loro interessi di parte.
La democrazia è un’entità morale e intellettuale a corpo unitario e deve tener conto dell’insieme al posto del frazionale e, se così non fosse, la si potrebbe dipingere in tutt’altre maniere ma, chiamarla democrazia, suonerebbe come ingiuria e bestemmia.
Qualora, a sostituzione dei poteri costituzionalmente statuiti e legittimamente esercitati dovessero subentrare dei contropoteri od anche degli pseudopoteri, pur forti e radicati, l’ordinamento democratico entrerebbe inevitabilmente in sofferenza e sarebbe costretto a convivere con delle realtà fuorilegge che, prima o poi, ne decreterebbero la sua estinzione.
Gli abusi di potere, il mancato rispetto dei mandati ricevuti, la perdita progressiva della fiducia popolare fondata sul consenso, minano le fondamenta della democrazia e offrono spalla al formarsi e all’affermarsi di enclavi materialmente illegali all’interno dello Stato formalmente legale: ne sono esempi la mafia, la camorra e ogni altra organizzazione che opera per sovvertire la democratica convivenza sociale e civile.
Recenti studi di filosofia dogmatica mi hanno portato a considerare che, qualora il potere non sia diretta emanazione di volontà libere e responsabili, il popolo sovrano meriterà di essere giudicato per “culpa in eligendo et in vigilando” mentre, i suoi governanti, non potranno sfuggire alla severa condanna della storia per essere incorsi nella ben più grave “culpa in educando”.