Giovedi scorso un programma RadioRai dedicato all’Umbria, trasmesso in un ora di massimo ascolto, dopo aver citato e illustrato tutte le località che lo meritavano, ha esortato gli ascoltatori a visitare anche Orvieto “nota per il pozzo di S. Patrizio e per le sue caverne”! Ha detto proprio così: “per le sue caverne!”.
Tempo fa, in Perugia, dopo aver dichiarato, a seguito della domanda di un impiegato, di essere nato e residente in Orvieto, il medesimo completò il quadro chiedendomi: “provincia di Viterbo, vero,….?!”
Ora questo guazzabuglio di superficialità e di ignoranza, non si sa come e quando seminato, ma nato, forse coltivato, comunque lasciato crescere, non aiuta certo la nostra città nel suo affaticato e sfigato assalto all’avvenire.
Assalto che poi, a ben pensarci, noi stessi conduciamo in modo concitato e confuso. C’è difatti chi spinge, chi si arrampica, chi si attacca a quello che si arrampica, chi scivola,…c’è chi si appoggia,… c’è chi si appoggia a quello che si appoggia,…poi c’è chi si riposa,…ma c’è anche chi pensa, chi prende di petto i problemi e ti sventola in faccia le soluzioni! Poi c’è chi scrive, me compreso, e, scrivendo, discetta, ammaestra, sfoggia, cita, ricorda, esorta, predica, inveisce, spiega, propone e satireggia senza riuscire però a decidere se le idee vengano solo a quelli che non hanno denaro, se invece sia vero che quelli che lo hanno le idee non se le fanno venire o se invece abbiamo in repertorio soltanto parole e parole fritte e rifritte e tanti se e tanti ma.
Così questo inconcludente rumorio, dove nessuno ascolta nessuno, ha occupato il posto delle animose discussioni in crocchio che nei tempi andati si celebravano in piazza o nei crocevia e che di solito si concludevano con una salva di sfottò, di imprecazioni e con auguri di “buon pranzo” o di “buona notte”. Forse non saremo una città depressa ma un po’ confusa sì.
Ma cosa ci manca per vivere felici?! O più esattamente cosa manca a questa città per sopravvivere alla meno peggio?!
Chiaramente i soldi, le entrate, i fondi, gli stanziamenti, i flussi, le coperture, il denaro, la pecunia, la moneta, la grana, gli sghei, i dindi, le quatrine, le bajocche, chiamateli un po’ come volete ma quelli mancano sempre anche a chi ne ha parecchi.
Se i banalissimi auguri natalizi, pasquali o matrimoniali venissero addebitati sulla carta di credito anche ad un centesimo l’uno, prima di declamare o scrivere “mille auguri”, ci si penserebbe due volte e sicuramente il Governo tasserebbe anche quelli.
Certo, qualcuno ci dirà che in fondo il denaro non è tutto e che oltre al denaro ci sono tante altre gioie nella vita. Ed è vero! Basta pagarsele!
Abbiamo poi, un deficit di strutture politiche efficienti. In parole più semplici non abbiamo nemmeno le parvenze di partiti riconoscibili né notizie di leaders consacrati o potenziali.
E visto che chi trova il fegato di proporsi e fare appelli è grassa se viene ascoltato dal vicino di casa, perché i familiari fuggono nel sentirlo minacciandolo di ricovero coatto, io, dotandomi di una sera di cielo limpido, niente luna, aria fina dal nord e delle schiace del Duomo dove ti sbrachi, guardi in alto e ti perdi fra le stelle, insomma affondato in questa pacchia ho immaginato anch’io una provocazione, provocazione come atto inteso appunto a produrre una conseguenza. Tanto, mi sono detto, non costa niente, nessuna legge lo vieta e non fai del male. Al massimo rimedierai qualche pernacchia!
Scrissi diversi anni fa, e insieme a Guglielmo Portarena, a mio figlio Leonardo ed altri rappresentai al “Mancinelli” una commedia che ebbe tre pienoni da platea a loggione. Era “La fine de ‘r monno”, dove però il mondo non finiva perché veniva salvato dalle donne.
Già, le donne,…! Le donne che dopo millenni di soggezione, teorizzata anche da menti eccelse, e che per secoli sono state lasciate nel dubbio se fossero solo corpi da usare, privi cioè di quell’anima che avrebbe loro consentito di coltivare almeno la speranza, le donne che solo da qualche decennio hanno dato senso, verso e continuità ad una loro lotta di liberazione e che stanno pagando caro il loro assalto all’avvenire ma che non mollano consapevoli del fatto che, essendo quotidianamente sotto tiro, se lo facessero rischierebbero di dover cedere le posizioni già conquistate, le donne, pensavo, potrebbero diventare una parte importante della soluzione di molti problemi.
Al di là delle qualità e dei limiti strettamente personali, le donne sono in genere più prudenti degli uomini, hanno un intuito sicuramente a più alta risoluzione e sono più abili nell’amministrare le loro possibilità arrivando prima a delle decisioni. E poi sono la maggioranza.
Ma, e allora, tanto così per provocare, perché non si organizzano in un’associazione, in un’intesa, in una lega, in un’alleanza, insomma in un qualcosa di “rosa” tale da avere la consistenza, l’impatto e la dignità di una vera e propria forza politica e, come tale, contare, assumere dignità e incutere rispetto?
Con il tramonto del rosso e del nero e con una città da salvare in un mondo da salvare dovrebbe essere più facile anche per chi ha radici diverse sedere vicine, discutere e convergere su degli accordi, insomma amministrare la città così come si amministra la propria famiglia.
Non scendo in particolari anche perché, mancando la materia del discutere sarebbero solo fantasie, credo però che se la materia si reperisse la forma ne conseguirebbe e la discussione prenderebbe corpo e senso.
Ed Orvieto è ricca di tale materia. Molte e di prim’ordine sono infatti tra noi le competenze femminili. Qualcuna dovrebbe solo pensarci, crederci e partorire l’idea, il consenso seguirebbe di suo cosi come seguirebbero l’armonia e le operatività necessarie.
“Orvietorosa” dunque, ovvero il Partito delle Donne! Molti uomini lo voterebbero. Qualche donna, forse, no!
E se qualcuno, temendo di giocarsi il posto, e sghignazzando, ritenesse l’idea stravagante e paradossale potrei osservare che negli ultimi decenni e anche in tempi recenti cose ben più stravaganti e paradossali si sono viste in politica sia in Orvieto che altrove. Ed in assenza di iniziative sensate se ne vedranno ancora. L’idea non è stravagante, ma come tutte le cose nuove e mai sentite può generare dubbi ed è facilmente scoraggiabile, e noi in città non difettiamo certo di scoraggiatori. Certamente avrebbe un costo personale, uno politico ed uno economico.
Comunque la mia è solo una voce, una tra le tante che si levano tutti i giorni tra i giovani, i maturi, gli anziani, i vecchi, i vegliardi, i venerandi, le matricole, i combattenti e i reduci. Ma qualcosa di questa voce forse resterà e forse qualcuno ne avvertirà un ‘eco e forse l’eco verrà fecondata. Chissà! A questo punto però la provocazione è finita,…andiamo in pace.
Un saluto a tutti e senza assolutamente badare a spese. I saluti non sono ancora stati tassati e dispongono a tuttoggi di sufficienti fondi di copertura.
P.S. ultimi soprannomi pervenuti: – Bazooka – Bazzicotto – Candela – Callarella – ‘r Consumato – Gigolè – la Pulce – Pennello – Pennellone-.