Via sedie ed ombrelloni colorati, via tende a cappottina o a bauletto, via panche e teste di cinghiale dai muri. Ma via anche le insegne improprie, i serbatoi o i motori sulle facciate e i funghi riscaldanti fuori dai locali. Gli uffici comunali, in questi giorni, stanno battendo a tappeto il centro storico a suon di fotografie, per avere una mappa completa di quanti ancora devono adeguarsi al regolamento sull’arredo urbano al quale da un mese circa a questa parte si è stabilito di dare una più efficace applicazione. Da lunedì poi sono scaduti anche i termini per la presentazione delle domande stagionali di occupazione del suolo pubblico, condizionate proprio alla messa in regola da parte dei gestori dei locali. Le criticità sono ancora tante, a voler interpretare alla lettera il regolamento comunale recentemente ridistribuito a tutti gli operatori. E ovviamente non mancano neanche i mal di pancia. Togliere una panca fatta costruire su misura o comprare nuovamente l’intera dotazione di sedie del locale non è esattamente la prima cosa a cui pensano tanti negozianti o gestori di locali in un momento di grave crisi come quello attuale. Per altro non tutto ciò che non è rigorosamente a norma è necessariamente brutto a vedersi. Non solo, ad alcuni operatori non va giù che sia chiesto loro uno sforzo per il decoro della città, quando l’amministrazione non fa abbastanza sul fronte della pulizia, ad esempio. E così arrivano anche le prime proteste. C’è chi ha rinnovato l’arredo esterno del locale giusto lo scorso o pochi anni orsono con spese anche consistenti. E c’è chi come un negozio di ceramica in via Duomo rivendica il valore della tradizione e il pregio delle proprie scelte. “In ottemperanza al regolamento sull’arredo e decoro urbano – racconta la ceramista – pare che il mio negozio debba togliere la panca (dove espongo una selezione di quattro – cinque maioliche di nostra creazione) in legno naturale, discreta nelle misure e decorata con formelle in maiolica, sempre di nostra produzione, realizzate secondo gli stilemi della tradizione ceramica orvietana e metter fuori, potendo eventualmente occupare anche uno spazio maggiore di quello attualmente occupato dalla panca, un qualsivoglia insieme di trespoli e tavolinetti con tanti coccetti in bellavista o, in alternativa, allestire una variopinta ammucchiata degli stessi direttamente a terra, così tanto per valorizzare l’arredo urbano della principale via cittadina e al contempo rendere figurativamente chiaro a tutti il grado di considerazione che questa città ha del suo artigianato tipico, di se stessa, del buon senso e della mia dignità”.
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