“Mostra dedicata a Luca Signorelli. …L’esposizione dal titolo Luca Signorelli ‘de ingegno et spirto pelegrino’ (come lo definì il padre di Raffaello, Giovanni Santi) segna un’ulteriore tappa del percorso intrapreso dalla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici dell’Umbria e dall’Università degli Studi di Perugia per valorizzare gli artisti più rappresentativi della stagione rinascimentale in Umbria, inaugurato nel 2004 con la mostra Perugino il divin pittore, proseguito nel 2008 con la mostra dedicata a Pintoricchio e nel 2009/2010 con la mostra dedicata a Piermatteo d’Amelia…”.(Notizia del 17.04.2012 su OrvietoSi.it)
Sabato scorso, presso i locali del Museo Emilio Greco, è stata inaugurata la grande mostra dedicata a Luca Signorelli (Cortona, 1450 ca – 1523) nel quadro delle iniziative della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici dell’Umbria e dell’Università degli Studi di Perugia per valorizzare gli artisti più rappresentativi della stagione rinascimentale nella nostra regione. Quelle precedenti, dedicate al Perugino (2004), al Pintoricchio (2008) e a Piermatteo d’Amelia (2009/2010), hanno avuto un grande successo e si spera che questa di Signorelli non ne abbia di meno.
La mostra si articola in diversi punti espositivi, che tutti insieme costituiscono un percorso di conoscenza ricco non solo di opere pittoriche ma anche di riferimenti, stimoli culturali e occasioni di riflessione. I tre punti in questo caso sono Perugia (Galleria Nazionale dell’Umbria), Orvieto (Duomo, Museo dell’Opera e chiesa Santi Apostoli) e Città di Castello (Pinacoteca Comunale in Palazzo Vitelli).
La parte orvietana è particolarmente ricca, essendo costituita non solo dal ciclo pittorico del Giudizio Universale nella Cappella di San Brizio in Duomo, il capolavoro di Luca Signorelli e in assoluto uno dei capolavori dell’arte rinascimentale (sintesi magnifica di un genio, fonte di ispirazione per altri geni – basti pensare a Michelangelo – , meta per spiriti inquieti, occasione di pensamento per pellegrini o visitatori occasionali), ma anche dalle tele esposte nella sede dell’Opera arricchite dalla possibilità di visita alla Libreria Albèri con i preziosi incunaboli prestati dalla Biblioteca Comunale, nonché dalla rassegna di opere “signorelliane” di pittori novecenteschi come Fabrizio Clerici e Livio Orazio Valentini esposte nella chiesa dei Santi Apostoli.
Non so se interpreto bene, ma la proposta del nostro Direttore di occuparci questa volta di un’iniziativa culturale di questo tipo e di questo livello non credo sia dovuta ad un suo desiderio (che nel caso mi sembrerebbe sottilmente cattivo e come tale improbabile) di mettere alla prova la nostra capacità di muoverci con disinvoltura all’interno degli aspetti squisitamente artistici dell’evento, quanto piuttosto alla sua curiosità (questa sì probabile) di verificare se, ragionando sul significato e sulla portata culturale di simili eventi, si possono trovare nuove fondate ragioni di fiducia nel futuro delle città che li ospitano, in primo luogo ovviamente della nostra.
Per questa seconda ipotesi, che mi sembra quella vera, mi tuffo nella questione e cerco di sviluppare qualche ragionamento. Ma non creda il nostro Direttore, e se è consentito nemmeno Pier Luigi (che non c’entra nulla, ma ce lo faccio entrare lo stesso, visto che stiamo sulla stessa barca), che non mi piacerebbe commentare almeno il titolo della mostra, quella straordinaria definizione “de ingegno et spirto pelegrino” che di Luca Signorelli diede a suo tempo il padre di Raffaello. Se però l’obiettivo è un altro, ad esso obtorto collo ci pieghiamo. Allora finalmente veniamo al dunque, che in verità è presto detto.
Si tratta di due questioni fondamentali e di una derivata. La prima questione fondamentale ritengo sia l’identità culturale del nostro territorio, che, come dimostra questa iniziativa, è segnata dal suo essere sia parte dell’Umbria e dell’Italia mediana, sia però, proprio per questo, anche punto di bellezza universale, dunque non un’enclave chiusa e debole, ma al contrario una terra con le stigmate dei messaggi universali permanenti. Come non collegare allora l’opera universalistica di Luca Signorelli al messaggio universalistico che promana, da una parte dal miracolo di Bolsena, e dall’altra dalla cattedrale, che tutto questo contiene e trasmette potentemente alla città, facendola diventare così (insieme al suo ambiente naturale, al suo territorio e a tutte le altre opere con cui l’uomo ne ha caratterizzato la storia) uno degli scrigni più preziosi del mondo? Semmai viene da chiedersi quale perverso spirito continui a complottare per impedire che esploda il potenziale racchiuso in questo scrigno.
L’altra questione fondamentale mi pare emerga dall’essere tale evento parte di una grande operazione di valorizzazione del patrimonio culturale dell’Umbria, di cui sono altissima espressione appunto gli artisti della stagione rinascimentale protagonisti della trilogia di mostre sopra descritta. E questo che cosa ci dice? Ci dice semplicemente che abbiamo una miniera che attende di essere compresa e ben utilizzata sia per finalmente scoprire a pieno, o forse meglio riscoprire, i diritti dello spirito in un’epoca di incombente imbarbarimento, sia per costruire occasioni generatrici di futuro e strumenti concreti di benessere per la popolazione. Anche qui sorgono inevitabilmente domande del tipo: ma com’è possibile che nessuno dei decisori pubblici di questa città e di questo territorio sia stato nemmeno sfiorato dall’idea di inserire la nostra città nel progetto “PERUGIASSISI 2019”, per essere proclamata, appunto insieme ad Assisi e Perugia, “Città europea della cultura 2019” con tutto ciò che questo significa in termini di occasioni di sviluppo? Qualcuno ricorderà che posi questo problema quando si era ancora in tempo, purtroppo invano. Ma le potenzialità restano e suscita un grido di dolore il fatto che prevalga un atteggiamento passivo che aspetta solo il ricasco di iniziative peraltro quasi sempre nate altrove.
La questione derivata (che per essere tale non vuol dire affatto essere secondaria e marginale, anzi, il contrario) è, infine, la naturale disposizione di Orvieto ad essere sede di mostre ed eventi culturali di grande significato e portata. Non si dica che non ne ha le caratteristiche e non ne possiede i contenitori adatti o adattabili allo scopo. Vogliamo dire l’ex ospedale? Vogliamo dire uno spazio all’interno dell’area di Vigna Grande? Vogliamo dire almeno altre due o tre soluzioni, anche in spazi diversi? Anche qui però, come ho detto tante volte, il punto è di strategia, cioè, prima che di soldi, si tratta di visione della città. E mi sorge spontanea un’altra angosciante considerazione: quando mai si sarà in grado di inserire questa opportunità in un progetto di sviluppo e di rinascita se ogni volta che si parla di risorse culturali hai l’impressione che ad un sacco di gente non solo non importi nulla ma addirittura gli venga l’orticaria! A questo proposito non posso evitare di ricordare che nel progetto RPO per Vigna Grande era previsto un importante spazio per grandi mostre con tutti gli annessi e connessi: interrelazioni con turismo, economia della cultura, proiezione internazionale, ecc. ecc. Ma ricordate le crasse ignorantate di più di un “politico” solo per il fatto di aver usato l’espressione evocativa “Teatro di Vigna Grande” per definire lo spazio adibito a convegni e spettacoli e appunto connesso agli eventi dello spazio-mostre? Si poterono ascoltare esclamazioni di questo livello: c’è già un teatro che è un peso, sta a vedere che adesso se ne fa anche un altro! Non ci si fermò nemmeno a pensare che si trattava di ben altro e di tutt’altro.
Le cose oggi sono cambiate? Mi dispiace pensarlo e dirlo, ma ho il forte dubbio che non lo siano. So però che dalle nostre difficoltà non usciremo se, come abbiamo detto ancora una volta la settimana scorsa, non batteremo scetticismo e rassegnazione. Ci sono occasioni perdute, ma altre occasioni si presentano sempre, e altre ancora si possono creare. Per coglierle e crearle bisogna avere una giusta predisposizione dell’animo, il coraggio della mente e del cuore. È ora che quelli che ce l’hanno si facciano avanti.
Franco Raimondo Barbabella
Le questioni sollevate da Franco sono più che importanti: sono vitali. Allora bisogna capire perché la nostra città, come civica amministrazione, come élite intellettuale, economica e finanziaria e come pubblica opinione, sia pervicacemente deludente nel rendersi consapevole delle sue ricchezze e nell’adoperarsi per valorizzarle.
Poiché sono convinto del valore strategico di Orvieto, di cui spesso si parla, e che Franco più volte ha messo in evidenza con lucidità, passione e amarezza, mi arrischio a un tentativo di spiegazione dell’inadeguatezza orvietana.
Ebbene, il fatto di vivere a Orvieto da molti anni, e di aver sempre trovato il tempo per leggere molto, per frequentare buone compagnie e per viaggiare, mi ha portato alla convinzione che la dimensione demografica ed economica di quello che resta uno dei cinquanta territori comunali più vasti d’Italia, sia un terreno di coltura per un certo miope provincialismo, quello che tarpa le ali alle persone di talento o le induce a volare altrove, quello stesso provincialismo inospitale per i talenti forestieri che sono attratti o potrebbero essere attratti da questa illustre città.
«La città d’Urbivieto è alta e strana; questa da’ Roman vecchi il nome prese, / ch’andavan là perché I’aere v’è sana» scriveva, un po’ a vanvera, Fazio degli Uberti nel Milletrecento. Forse quei versi furono scritti dopo la peste nera che ammazzò sette orvietani su dieci e mandò in rovina la città. Ciò potrebbe spiegare perché Fazio contrappone la stranezza attuale alla sanità antica. Comunque l’aggettivo «strana» è rimasto appiccicato a Orvieto, che ancora oggi fa del tutto per meritarlo.
Eppure la ricchezza monumentale di Orvieto è dovuta alla straordinaria saggezza con cui gli antenati seppero valorizzare talenti locali come Angelo da Orvieto, Ugolino di Prete Ilario, Ippolito Scalza, Cesare Nebbia ecc., ma anche ricercare e accogliere talenti forestieri come Lorenzo Maitani, Beato Angelico, Luca Signorelli, Francesco Mochi, Antonio da Sangallo il Giovane ecc.
Mi sembra quindi indispensabile ripristinare il metodo intelligente degli antenati applicandolo a tutti i settori dove è necessario il talento.
E quanto al settore della valorizzazione del patrimonio culturale, forse è utile richiamare alcuni stralci del manifesto che è stato diffuso dalla stampa nazionale e sta riscuotendo notevole successo presso i candidati sindaci alle prossime elezioni comunali nelle città d’arte.
«Occorre una vera rivoluzione copernicana nel rapporto tra sviluppo e cultura. Da “giacimenti di un passato glorioso”, ora considerati ingombranti beni improduttivi da mantenere, i beni culturali e l’intera sfera della conoscenza devono tornare a essere determinanti per il consolidamento di una sfera pubblica democratica, per la crescita reale e per la rinascita dell’occupazione. […] Niente cultura, niente sviluppo. Dove per “cultura” deve intendersi una concezione allargata che implichi educazione, istruzione, ricerca scientifica, conoscenza. E per “sviluppo” non una nozione meramente economicistica, incentrata sull’aumento del Pil, che si è rivelato un indicatore alquanto imperfetto del benessere collettivo. […] È importante anche che l’azione pubblica contribuisca a radicare a tutti i livelli educativi, dalle elementari all’università, lo studio dell’arte e della storia per rendere i giovani i custodi del nostro patrimonio, e per poter fare in modo che essi ne traggano alimento per la creatività del futuro. […] Ciò non significa rinunciare alla cultura scientifica. […] La dicotomia tra cultura umanistica e scientifica si è rivelata infondata proprio grazie a una serie di studi cognitivi che dimostrano che i ragazzi impegnati in attività creative e artistiche sono anche i più dotati in ambito scientifico. […] La complementarità pubblico/privato, che implica una forte apertura all’intervento dei privati nella gestione del patrimonio pubblico, deve divenire cultura diffusa e non presentarsi solo in episodi isolati. Può nascere solo se non è pensata come sostitutiva dell’intervento pubblico, ma fondata sulla condivisione con le imprese e i singoli cittadini del valore pubblico della cultura. Si è osservato in questi anni che laddove il pubblico si ritira anche il privato diminuisce in incisività, mentre politiche pubbliche assennate hanno un forte potere motivazionale e spingono anche i privati a partecipare alla gestione della cosa pubblica.»
Ma come passare dalla teoria alla pratica?
Non mi piace vantare ciò che faccio dentro e fuori del consiglio comunale, anche perché chi lo vuol saper già lo sa. Mi limito a richiamare l’ultimo emblematico fatto. Una mozione per convocare il consiglio comunale, allo scopo di fare il punto sulle prospettive (sempre più misteriose) di valorizzazione del patrimonio comunale, ha ottenuto una firma (la mia) su 20 consiglieri interpellati. Non ho la minima intenzione di mollare l’osso, ma l’osso è duro e non possono bastare i miei denti, sebbene ancora solidi.
Franco, che è uomo di scuola ed è stato sindaco, consigliere provinciale e consigliere comunale, sa quali sono i problemi della nostra città. Ad essi ha dedicato una vita ricavandone successi ma anche delusioni; e, secondo me, anche persecuzioni. Il fatto che non demorda m’incoraggia a non demordere.
Pier Luigi Leoni
Ping Pong è la rubrica di Orvietosì curata da Franco Raimondo Barbabella e Pier Luigi Leoni. Un appuntamento del lunedì in cui i due nostri “amici” raccontano la loro su una frase apparsa sul nostro giornale durante la settimana, una palla che io lancio ad uno dei due e che loro si rimpallano. Ci auguriamo che questo gioco vi piaccia e si ripeta il successo di “A Destra e a Manca”. Naturalmente tutti i lettori sono invitati la tavolo di Ping Pong. Basta inviare una e-mail a dantefreddi@orvietosi.it
Questa è la puntata 31