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Home Archivio notizie

ALFABETO PER ORVIETO: “C” COME CULTURA

Redazione by Redazione
3 Maggio 2012
in Archivio notizie
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Sono un ignorante: lo confesso. Peggio; per quanto mi arrabatti tra libri e documenti, e nonostante il mio lavoro di docente, ho la pretesa di comunicare col pretesto di fornire un contributo intellettuale. Ciò nonostante, mi sento di proporre una piccola riflessione sull’idea e concetto di Cultura; giusto nella settimana in cui si vuole celebrarla.

Mio nonno Averino Monachino era contadino figlio di contadini nell’epoca in cui i braccianti erano robba del padrone delle terre; come le pecore, le vaccine, la piantata; non eran loro riconosciuti diritti alcuni e dovevano solo obbedire e lavorare come bestie. Se il padrone era intelligente non li affamava, perché la somara senza l’orzo buono o la cavalla senza biada, poco fanno e poco danno. Il proprietario del fondo, nella tenuta del Romitorio, era il Conte Fumi, al quale interessavano più la ricerca storica ed archeologica che le rendite dei terreni. In realtà, la famiglia di mio nonno Averino, in quella trista condizione era pervenuta per sorte avversa. Ad inizio Ottocento, i Monachino erano ancora proprietari delle terre che coltivavano, originari dell’Alfina tra San Lorenzo Nuovo e Castel Giorgio, dove ancora esiste il toponimo “Podere Monachino”, stupendo complesso rurale settecentesco oggi purtroppo abbandonato, a ridosso del castello di Montalfina. Mio nonno, del ramo suganese, caduto in disgrazia, nacque nel palazzo Casini a Canonica; successivamente divennero coloni dei Fumi al podere Palombaro, detto “l’Olmone”, tra Monte Tigno, San Quirico e Rocca Ripesena. Nonno Averino si ricordava dei libri di agraria ed agrimensura ‘buttati’ in una cassapanca nel cellaio. Erano, insieme ad altri ‘cimeli’ famigliari, quel che restava loro di un passato perduto assai diverso dalla condizione presente. Imparato a leggere, scrivere e far di conto alle elementari della Rocca, di nascosto, trascorreva i rari attimi di distrazione dalle fatiche abbeverandosi di nascosto a quel tesoro rinvenuto sotto montagne di polvere e ragnatele. Il ramo di San Lorenzo fu invece più fortunato e da lì discende Padre Vincenzo Monachino, gesuita, preside e professore alla Gregoriana, fondatore della moderna Archivistica pontificia. Questi due estremi, mio nonno contadino e l’avo accademico, ben si prestano a rappresentare quelli che potrebbero essere considerati come gli estremi della Cultura.

La Cultura è solo un contenitore. Dentro c’è la Vita. Vita fatta di Memoria e Ricordo. Vita fatta di Esperienza. Esperienza, Memoria e Ricordo sono i pilastri della Conoscenza. Non c’è conoscenza però senza la consapevolezza del sapere e del riconoscere quel che si stia facendo – in base al proprio ruolo ed al proprio essere –, dove lo si stia facendo, come e perché. La cultura non va confusa con la sapienza, né tantomeno con la cosiddetta saggezza. La cultura non è nozionismo. La cultura non è capacità mnemonica.

La Cultura è una strada, una via di tante vie, un percorso, un processo legato alla partecipazione, alla libertà, alla volontà. La Cultura non può essere un fatto personale. È vero che ciascuno possiede il proprio livello e bagaglio culturali, ma significa un’altra cosa rispetto alla privatizzazione e personalizzazione della cultura.

Non si può essere gelosi ed invidiosi nelle Culture. Tutte possono concorrere insieme. Le scuole e i docenti hanno in questo ruoli e responsabilità primari e fondamentali. Siamo strumenti ed opportunità per l’approccio al far Cultura.

Personalmente, provo ribrezzo e repulsione per chi strumentalizzi e finalizzi l’uso di prodotti e risorse culturali a scopi ed interessi personalistici, di bottega, di tornaconto. Magari per accedere a qualche soldino o per pubblicare qualche libricino. Fare Cultura è l’esatto contrario dello sgomitare per stare più a galla di qualcun altro. La Cultura deve essere accessibile e fruibile per e da tutti; gratuitamente, ovvero, contribuendovi nella misura in cui tutti si debba poter partecipare al processo di costruzione e crescita culturali. È il Popolo che fa la Cultura e la Cultura non può essere che del Popolo. I guasti della cultura derivano dai travisamenti di quel processo culturale. Peggio ancora quando sono effetti di disegni aberranti di propaganda e manipolazione sociale e politica: esempi non mancano, dal MinCulPop (pure sarcastico e volgare) al dominio delle masse attraverso certi media (social network compresi; ancor più pericolosi e perniciosi in quanto – in apparenza – strumento di compartecipazione e libertà espressiva). La Cultura non ha chiese, parrocchie, razza; non può essere relegata a prerogative di schieramenti di parte, di destra o di sinistra, laici o cattolici. Ognuno di noi deve sforzarsi e riuscire a ricavarsi un piccolo angoletto di tempo quotidiano per abbeverarsi a storie, memorie e ricordi, sepolti, nascosti, dimenticati. Bisogna imparare a cercare Cultura, come per i funghi. Ne va della partecipazione alla Vita che altrimenti sarebbe relegata a mero rituale di sopravvivenza istintuale, in cui la sola unica esperienza sarebbe quella del sorcetto cavia nel labirinto alla ricerca di un briciolo di cacio raffermo del quale accontentarsi: chi s’accontenta non è vero che goda, forse campa, ma non gode. Cultura non è accontentarsi. È cercare continuamente. E ricercare. Dialogare, confrontarsi, porsi dubbi, criticarsi e saper rivolgere critiche con onestà intellettuale per costruire insieme. Avere la sensibilità e la capacità di rivedere le proprie posizioni, di cambiare idee ed opinioni. La Cultura è un Dono. Gratuito. Per tutti. Solo la Cultura può rendere liberi, attraverso la compartecipazione alla conoscenza.

Orvieto è una cornucopia di Cultura. La Biblioteca Comunale, gli archivi di Stato e Vescovile, i musei, i monumenti. Le scuole e i docenti di Orvieto sono la prima frontiera per accedere a tanta enorme ricchezza.

La Cultura vince il potere e la prepotenza, l’arroganza e la violenza. Approfittiamone. È l’ultima risorsa che ci resta e che nessuno potrà mai portarci via, anche se ridotti alla condizione di schiavi o prigionieri. Se l’uomo è un animale politico lo è in virtù delle proprie capacità culturali.

In questi tempi tristissimi di induzione alle paure, non bisogna temere la crisi della politica, bisogna scongiurare semmai la sistematica distrazione dalla Cultura e dai processi culturali, senza i quali non possono sussistere né politiche, né tutele e promozioni sociali, ambientali e culturali stesse. Non ci può essere alcuna Libertà senza Cultura. Ed Orvieto non si potrà mai dire libera se il Popolo orvietano non potrà e non sarà capace di recuperare la voglia di conoscere e fare la propria storia.

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