di Valeria Cioccolo
Maria Luisa Gatto: il diritto alla libertà religiosa non è facoltativo ma essenziale e pilastro di ogni sistema democratico. Non schiacciare la propria cultura, ma dialogare, nel rispetto reciproco.

Dialogo autentico, interdipendenza tra persone e popoli, riconoscimento del valore dell’altro: queste le parole chiave emerse nell’ultimo incontro organizzato da Nova Civitas, percorso su fede e bene comune, dedicato a un tema di grande attualità: “Libertà religiosa come via per la pace”, secondo appuntamento del ciclo formativo 2025-2026 “La Pace sia con Te” (LINK).
Un incontro che ha sollevato molte questioni che si affacciano alle cronache ogni giorno, dal rapporto con tra varie religioni, cosa si intende per “laicità” dello Stato, come tutelare le minoranze senza perdere la propria identità. La religione, lo si vede nella storia e fortemente nell’attualità, non riguarda solo la sfera morale privata, ma sottende spesso i numerosi conflitti sparsi per il mondo che, lo ricordiamo, Papa Francesco definiva “La terza guerra mondiale a pezzi”. Ma allora, di quale pace e quale libertà parliamo oggi, anche in Italia, la cui storia si intreccia strettamente con quella della cristianità? Ripercorrendo le parole di Nicola Pepe, esperto in Corte dei Conti e di Fabrizio Urbani Neri, Avvocato dello Stato, entrambi componenti dell’associazione Comunità di Connessioni e relatori all’ultimo incontro di Nova Civitas dedicato al tema, si vede come molte problematiche siano tuttora aperte e frutto di diverse posizioni.
A conferma di ciò Nicola Pepe ha posto all’inizio del suo intervento due domande provocatorie: Perché nelle aule scolastiche italiane c’è il crocifisso? Ed è compatibile con uno Stato laico?

Quesiti che hanno animato il dibattito politico e pubblico alcuni anni fa e che, poste in questo contesto, sottolineano anche come in Italia la stessa Costituzione, a ragione definita “la Carta più bella del novecento europeo”, contiene una “tensione” aperta. La Costituzione italiana riconosce giustamente la laicità come principio supremo, e in tal senso garantisce pluralismo e pari dignità per tutte le confessioni religiose, libertà e pari diritti, si vedano su questo gli articoli 3, 8, 19. In particolare quest’ultimo assicura il diritto di “professare liberamente la propria fede religiosa (…)” ma nel “rispetto del buon costume”, laddove per buon costume si intende una libertà che ha il suo limite nell’ordine pubblico e nell’incontro con i diritti degli altri. Dall’altro lato, abbiamo all’articolo 7 un aggancio pattizio con la Chiesa cattolica. Questo articolo fu infatti il frutto di un compromesso tra partiti nel dibattito costituente del dopoguerra, a seguito del quale si elevarono gli accordi del 1929 a rango costituzionale, sancendo la religione cattolica come religione di Stato. Una questione rivista solo con il Concordato del 1984. Permane, per altro, nel nostro Paese una sfida culturale di fondo legata alla mancanza di una legge organica sulla libertà religiosa. Un vuoto normativo che alimenta la percezione, da parte di cittadini di fede non cattolica, di vivere in una “gerarchia di diritti” rispetto alla maggioranza, come ha ben spiegato Nicola Pepe, una fragilità giuridica che si intreccia con la crisi contemporanea: assistiamo oggi a un eterno presentismo materialista (richiamando Galimberti) e a una profonda crisi della spiritualità che non aiuta a rapportarci con i cambiamenti profondi che attraversano le nostre società.
Allargando lo sguardo a come, da parte sua, la Chiesa si è pone rispetto alle altre religioni e le tappe che ha percorso in particolare nell’ultimo secolo, si può indicare un periodo che può considerato uno spartiacque e diversi Papi che si sono fatti promotori di incontro e dialogo. Negli anni 60 del secolo scorso la chiesa afferma nel suo pensiero sociale – ha ricordato Suor Maria Luisa Gatto del coordinamento di Nova Civitas nei saluti iniziali – la libertà religiosa deve essere collocata dentro un quadro giuridico che salvaguardi il bene comune, ma è riconosciuta come “diritto fondamentale dell’uomo”. Benedetto XVI, nel messaggio Libertà religiosa, via per la pace (2011), indica che tale la libertà non è patrimonio esclusivo dei credenti, ma dell’intera umanità, ma che purtroppo viene violato in molti Paesi, non solo sotto forma di guerra, ma negando diritti e in forme sofisticate di ostilità, rinnegando la storia e i simboli religiosi, nei quali si rispecchiano l’identità e la cultura della maggioranza dei cittadini. Leone XIV ha affermato più recentemente come il diritto alla libertà religiosa non è “facoltativo ma essenziale e pilastro di ogni sistema democratico e fondamento della vera pace”. Ma la libertà religiosa è “una categoria giuridica che richiama anche un discorso morale”, ha indicato Fabrizio Urbani Neri nel suo intervento durante l’incontro. Nel ripercorrere l’evoluzione del pensiero della Chiesa, ha individuato nel dialogo lo strumento concreto per costruire la pace. L’evoluzione della posizione ecclesiale inizia con il Concilio Vaticano II, 1965, considerato uno spartiacque tra un “prima” in cui “l’errore non ha diritti” e un “poi” in cui la Chiesa comincia a esaminare con maggiore attenzione le relazioni con le religioni non cristiane. Nasce il concetto di interdipendenza che, se negli anni ’60 era intuizione, diventa nel tempo realtà concreta grazie ai crescenti spostamenti di persone, viaggi, scambi culturali e migrazioni. Interdipendenza significa che, per vivere in pace, è necessario aprirsi a una conoscenza reciproca sempre più profonda.

Ma di quale pace e di quale libertà si parla? Richiamando la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 e il pensiero di Mounier, la libertà, per essere tale, deve comprendere il “di” professare la propria fede, il “da” non essere ostacolati, il “per” agire in relazione e con una missione. Un cammino è stato arricchito anche successivamente da Papa Francesco, con il Documento sulla fratellanza umana (2019), co-firmato con l’Imam di Al-Azhar, in cui si adotta la “cultura del dialogo come via” e si afferma che Dio ha creato gli uomini diversi perché si conoscano. Eccolo il modello di dialogo proposto. Da non il dialogo dialettico, competitivo e dualistico, finalizzato alla vittoria della propria tesi, ma un dialogo dialogale, basato sull’ascolto socratico del “so di non sapere”, per arricchirsi nel confronto con l’altro, conoscere senza pregiudizi e approfondire la propria verità. Mettersi in ascolto, farsi “parrocchia” nel senso originario del termine (in greco paraoikìa), andare intorno alla casa, essere pellegrini, incontrare gli altri, come facevano in origine gli Apostoli.
E in questo quadro allora, cosa significa tutelare delle minoranze? Non schiacciare la propria cultura e le proprie radici, ma scegliere nei confronti delle altre religioni, tolleranza o chiusura, è necessario l’ascolto per rendersi prossimo all’altro e, secondo le parole di Leone XIV, spuntare le armi affinché la pace sia “disarmata” ma anche “disarmante”. Concludendo si possono citare le parole di Paolo VI: “Occorre dare alla Pace altre armi, che non quelle destinate ad uccidere e a sterminare l’umanità. Occorrono sopra tutto le armi morali, che danno forza e prestigio al diritto internazionale; quelle, per prime, dell’osservanza dei patti”.

Prossimo appuntamento di Nova Civitas: “Intelligenza artificiale risorsa per la pace?”, il 13 dicembre ore 16 presso Lo Scalo Community Hub.








