
La disabilità manifesta.
Non è un aggettivo, ma un verbo. È azione, presenza, consapevolezza.
Un modo di dire al mondo: ci siamo, e non chiediamo permesso.
È stato un viaggio lungo, iniziato nel secolo scorso, per accendere il riflettore sulle esistenze e sulle soggettività di una parte di umanità che troppo a lungo è stata invisibile.
Oggi quella luce non basta mantenerla accesa: va alimentata ogni giorno da una politica capace di ascoltare e di costruire diritti, non solo di enunciarli.
Il rispetto per chi vive una condizione di disabilità non può ridursi a una legge, per quanto ben scritta.
Non basta che il Governo di turno promulghi un testo per dire che una società è giusta.
Serve un cambiamento culturale, ed è questo che il Partito Democratico sostiene da tempo, con una riforma della disabilità che parla di autonomia, dignità e partecipazione.
Una riforma che mette al centro:
Il progetto di vita personalizzato, fondato sulle funzionalità individuali e non solo sulla capacità lavorativa.
La semplificazione delle procedure e la fine delle attese infinite.
L’accertamento unico della disabilità, per rendere il percorso più umano e meno burocratico.
L’inclusione sociale e la partecipazione attiva, nella scuola, nel lavoro, nella vita pubblica.
La promozione di una cultura della diversità come ricchezza comune.
Il diritto alla cittadinanza piena, anche attraverso strumenti come il voto elettronico da remoto.
L’accessibilità e la tecnologia, come porte da aprire e non barriere da moltiplicare.
Essere sensibili non basta: serve essere presenti.
Perché dietro ogni parola ci sono vite vere, di chi convive con la disabilità e di chi se ne prende cura ogni giorno, troppo spesso ai margini di una società che si dice solidale, ma che ancora fatica a esserlo davvero.
La manifestazione di sabato, il Disability Pride di Orvieto, richiama ogni nostra convinzione e rinnova il nostro impegno: fare in modo che la disabilità non sia più letta come una condizione medica, ma come una relazione tra potere e società.
Una sfida politica e culturale, in cui il potere serve non per definire chi è “abile” o “meno”, ma per abbattere ogni barriera, fisica, mentale, simbolica, che ancora limita la libertà delle persone.
Sì, il Pride è orgoglio.
E la disabilità, oggi, è anche questo: la forza di rivendicare il diritto di essere visti, di essere parte, di essere uguali nella differenza. Perché l’utopia di una società più equa e più umana non è un sogno altrui.
È il sogno che ci riguarda tutti.
Partito Democratico di Orvieto








