Il settembre orvietano di non molto tempo fa portava con sé un rito consolidato, anche se non scritto: un addio e un saluto che affascinava e commuoveva grandi e piccini, la partenza delle rondini.
Le si vedeva nei primi giorni di settembre, in ordinata e affollata fila indiana sui cavi dei tralicci e sopra le punte dei tetti. Quasi intente a voler salutare le case che avevano sorvegliato e custodito per tutta la calda stagione. Gli orvietani, sopra e intorno alla Rupe, sapevano che la loro partenza era un segnale inequivocabile: l’estate stava lasciando spazio ai primi colori, sapori e atmosfere dell’autunno.
Nella cultura popolare orvietana – e non solo – vedere le rondini riunite e pronte per affrontare il lungo viaggio di rientro era considerato un momento sacro, quasi un annuncio del cielo. Il loro volo ricordava a ciascuno che ogni essere umano ha un tempo limitato di permanenza e una direzione ben precisa da percorrere, che la vita non è mai statica ma contraddistinta da continue partenze e altrettanti ritorni.
Nella tradizione locale era insita la certezza che chi alzava lo sguardo al cielo e accompagnava, con gli occhi e con il cuore, l’inizio di quel lungo viaggio, avrebbe ricevuto fortuna e buoni auspici. Come se quel percorso intrapreso dalle rondini appartenesse, in qualche modo, anche a chi accennava a seguirlo.
Dopo la loro partenza, l’area sopra e intorno alla Rupe rimaneva immersa in un affascinante silenzio. Ma il ricordo delle rondini restava impresso nella memoria degli orvietani, insieme all’attesa e alla certezza – quasi una promessa sancita – di un dolce e rassicurante ritorno nella primavera successiva.









