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“Riscoprire la programmazione per contrastare la crisi di Orvieto. Siano le associazioni a battere il colpo decisivo”

Redazione by Redazione
11 Settembre 2025
in Corsivi, Secondarie, Archivio notizie
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di Claudio Lattanzi

È da tempo relegata nel baule lessicale delle parolacce politiche, eppure la programmazione è l’unica strada razionale per cercare di arrestare il declino orvietano e provare ad avviare il percorso della crescita. Programmazione significa fare una foto dell’esistente, porsi degli obiettivi per il futuro e indicare le strategie per raggiungerli in un determinato periodo.

L’importante e recente studio effettuato da Cts dimostra, dati alla mano, che il sistema produttivo di Orvieto ha perso 500 posti di lavoro dal 2019 al 2025. Una realtà spaventosamente allarmante eppure nessuno si è scomposto di fronte a questa Caporetto. Tutti indifferenti come fosse stata la notizia di un pareggio dell’Orvietana.

In una comunità che appare ormai apatica, indifferente e capace solo di commentare le luminarie del Natale, l’ennesima statistica che fotografa il baratro nel quale la comunità sta scivolando ogni anno di più non suscita la minima reazione. A nessuno sembra interessare il futuro della città. Dove sono le associazioni di categoria? Dove sono i sindacati? Dove sono gli ex primi cittadini? Dove sono i cittadini? La sensazione inquietante è che qui la politica sia ormai morta e che ad ucciderla sia stata la rassegnazione generalizzata che il futuro non esista.

Chi vive qui lo fa cercando di ritagliarsi una nicchia individuale e familiare più o meno confortevole, mentre la stragrande maggioranza dei giovani immagina e si organizza un futuro che non sarà ad Orvieto. Come sarebbe del resto possibile farlo in un posto che non si pone il minimo problema di favorire i due pilastri della rinascita sociale che sono occasioni di lavoro e abitazioni a prezzi umani?

L’esempio storico dell’Umbria social-comunista. Pensare in termini di programmazione significa innanzitutto ragionare su come e dove i posti di lavoro debbano essere recuperati. Un esempio fondamentale di programmazione applicata al nostro territorio fu quello messo in atto dalla classe politica social-comunista nei primi due decenni di governo regionale, dall’avvento della Regione nel 1970 fino alla fine degli anni 80. Il ceto politico rappresentato da Pietro Conti, Germano Marri, Francesco Mandarini, Alberto Provantini e gli altri partì da un’analisi molto realistica delle condizioni della neonata regione e delle condizioni di vita dei ceti popolari.

L’Umbria che era rimasta esclusa dal boom economico degli anni Sessanta e che aveva un livello di retribuzioni più basso della media nazionale (primato negativo che ancora perdura), aveva bisogno di un sistema di welfare molto potente, ispirato dal modello emiliano, per compensare i bassi salari attraverso un sistema di protezione sociale che andava dagli asili ai trasporti pubblici, dalla rete degli ospedali ai consultori, dai dopolavoro aziendali alla diffusione delle mense, dagli ambulatori medici all’assistenza sociale per le disabilità fino agli assegni integrativi alle famiglie numerose.

Questa scelta di puntare con forza sul welfare divenne ancora più marcata negli anni 80 di fronte alla prima grande crisi del capitalismo famigliare perugino e ai primi scricchiolii dell’apparato industriale pubblico di Terni, incentrato su chimica e siderurgia. Dal 1975 al 1980, la Lega delle Cooperative ricevette dalla Regione trasferimenti diretti per 19 miliardi di lire. Fu un tentativo necessario per arginare la crisi che ebbe come effetto collaterale quello di gonfiare l’elefantiaco apparato clientelare che ha poi consentito alla sinistra umbra di macinare consensi fino al 2019.

Cosa fare e chi deve farlo. Aggredire sul serio il declino di Orvieto, una città paralizzata da un immobilismo asfissiante in cui ci vogliono mesi per cercare di collocare un semaforo in una strada e dove non si riesce nemmeno a far ripartire un progetto salvavita come quello della cardioprotezione, è qualcosa che supera di molto le debolissime energie della classe politica che naviga a vista e campa alla giornata. I buchi nell’acqua che si stanno facendo con la duplice programmazione delle Aree interne lo dimostrano chiaramente.

Chi può allora farsi carico di indicare una possibile rotta per il domani e indirizzare la politica? Possono provare a farlo solo le associazioni che, in questi anni, hanno rappresentato l’unica luce di vitalità in un deserto dei Tartari in cui solo adesso ci si comincia a ridestare dal sonno ipnotico del villaggio turistico come panacea di ogni male, ma che da 24 anni si porta dietro anche il vuoto mai colmato dovuto alla scomparsa dell’economia militare. Alcuni coraggiosi orvietani hanno deciso che non vogliono affatto rassegnarsi.

Sono quelli che hanno creato “PrometeOrvieto”, che hanno dato via al “Comitato Orvietano per la Salute Pubblica”, al Cittadinanza Territorio Sviluppo”, sono le associazioni da sempre impegnate sul versante ambientale e su quello sociale ed assistenziale come “Orvieto Contro il Cancro”, sono quelli di “Orvieto Città Aperta” che hanno tentato di proporre una soluzione per la Piave, sono quelli che si impegnano per una città inclusiva con “CiCasco”, sono quelli che lavorano per progetti di rigenerazione urbana come “Val di Paglia Bene Comune”, sono quelli di “Cantiere Orvieto”, quelli di “Abitare Orvieto”, sono quelli che lavorano per diffondere nuove forme di turismo, sono le cooperative sociali che operano nel nome dell’integrazione come “Mir” e “Tartaruga Xyz”, c’è l’importante realtà rappresentata da Cesvol e Uisp, da A.Ge. e Rotary e Lions, c’è “Piano Terra” che si occupa di commercio solidale, c’è “Andromeda” ci sono i gruppi politici di ispirazione civica come “Nova” e tanti altri ancora.

Persone che non si arrendono e che hanno molte energie, ma che finora non hanno mai iniziato a dialogare tra loro. Adesso c’è una prima occasione per poterlo fare. Si tratta la discussione da avviare (velocemente) sul piano socio sanitario regionale, per far emergere le esigenze di Orvieto e dell’orvietano. Potrebbe essere un esperimento interessante per gente che odia gli indifferenti e ama costruire.  In questo strano posto “Collaborare” è una parola dal significato rivoluzionario.  Vogliamo provarci?

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