
Il Santo Sepolcro nel Medioevo
di Mirabilia Orvieto
“Cosa manifesta è che in questo mondo siamo pellegrini, e passiamo per questo mondo come tu passasti pellegrinando per le terre d’oltremare. Tutti siamo pellegrini, come tu vedi…sempre va la nave nostra, che ci porta al porto della vita eternale” (Giovanni delle Celle, 1390).
Nel ‘Breviario di Gerusalemme’ di autore anonimo, scritto nel 530, si diceva che il monte Golgotha fosse il luogo nel quale Dio aveva plasmato Adamo e che proprio lì Cristo venne crocifisso, affinché l’umanità potesse riacquistare la salute dell’anima e dello spirito. A confermarlo era il racconto medioevale ‘Peregrinazione a Gerusalemme e in Terra Santa’, dove si leggeva che il corpo di Adamo, sepolto sotto il Calvario, era stato resuscitato dal torrente del santo sangue del Salvatore. E che quel luogo fosse il Centro della Terra, lo attestava il fatto che già attorno al 638, il califfo Umar, il conquistatore musulmano, venne condotto dal patriarca di Gerusalemme alla basilica della Resurrezione per onorare il sepolcro di Cristo.

Crocifissione, Cappella del Corporale
Sotto di esso – ribadiva nel 1298 Iacopo da Varazze – si trovava la tomba di Adamo, dove crebbe l’albero dal quale venne ricavata la santa croce. A piantarlo fu uno dei figli di Adamo, Seth, grazie a un virgulto donatogli da un angelo e preso “dal legno in cui Adamo peccò”. Gli stessi crociati adibirono quel giardino, appartenuto a Giuseppe d’Arimatea, a luogo di preghiera perché proprio lì ”cadde l’uomo per il cibo del legno portatore di morte”, ma dove venne anche “rialzato per il cibo del legno che dà la vita”(Bolla Transiturus, 1263).
Per i pellegrini che giungevano ad Orvieto, entrare nella cappella del Corporale significava dunque varcare le porte di Gerusalemme per rivivere spiritualmente gli ultimi istanti della vita di Cristo. Di fronte alla scena della Crocifissione l’assemblea cristiana s’immergeva nel dramma della Passione di Cristo, che Ugolino di Prete Ilario rappresentò proprio nella parete centrale della cappella. Qui le immagini della Passione e della Resurrezione dovevano accompagnare i fedeli durante la santa messa, rendendo più vivo e credibile il mistero di salvezza celebrato sull’altare. Al momento della consacrazione l’ostia veniva elevata dal sacerdote, a significare che il corpo del Salvatore era innalzato sul monte Golgotha; e quando deponeva l’ostia accanto al calice, era il corpo di Cristo che fatto scendere dalla croce veniva deposto nel sepolcro. I vangeli canonici tramandavano che fu proprio Giuseppe d’Arimatea, insieme a Nicodemo, a “staccare il corpo del Signore dalla croce” e a deporlo nel “sepolcro nuovo” che l’autorevole membro del Sinedrio aveva fatto scavare per sé, e che invece donò al suo Maestro. Tuttavia i grandi esegeti del medioevo, come Alcuino e Onorio di Autun, non esitarono a riportare anche quanto raccontato dal vangelo apocrifo di Nicodemo(II secolo).
Deposizione, Cappella del Corporale
Un vero corpo e un vero sangue, quello che Giuseppe custodì nel segreto del sepolcro, ben presto confutato dall’eresia di Basilide e di Simon Mago. Furono proprio loro a negare, fin dai primi secoli del cristianesimo, l’esistenza carnale del Signore sostenendo la natura angelica di Cristo, dotato solo di un corpo apparente. Ma a difendere la storicità della passione e morte di Cristo dalle tesi eretiche del docetismo (1), riprese più tardi da Catari e Albigesi, fu l’insegnamento della Chiesa (2) a cui si unì la Leggenda di Giuseppe che, nel medioevo, aveva acquistato la stessa autorevolezza dei testi evangelici.
È quanto testimoniato da Gregorio di Nazianzo e Giovanni Crisostomo nel IV secolo quando, parlando del corpo carnale di Gesù Cristo, specificarono che non venne gettato al pari di un criminale nella fossa comune, ma di esso si prese cura quel Giuseppe d’Arimatea che, l’unico fra tutti gli apostoli, diede degna sepoltura al Signore “come era usanza dei Giudei seppellire un uomo importante ed esemplare”. Secondo la leggenda, Cristo risorto apparve non solo agli apostoli, ma anche al discepolo Giuseppe (rinchiuso in prigione dai Giudei per aver trafugato il corpo di Gesù!) e dopo avergli riconsegnato il suo vaso, ne rivelò anche il significato a conferma della vera umanità di Cristo, e cioè della sua morte e della sua sepoltura: “Il vaso nel quale si farà il sacrificio simboleggerà il sepolcro in cui tu, Giuseppe, mi deponesti; la patena che vi sarà posta sopra simboleggerà la lapide con la quale tu mi copristi; e infine la stoffa che sarà chiamata corporale simboleggerà il sudario (3) in cui tu mi avvolgesti…e non verrà mai celebrato il rito della messa senza che anche tu, Giuseppe, venga ricordato”.

Miracolo di Bolsena, Cappella del Corporale
Note:
- Il docetismo, nato nei primi secoli del cristianesimo, negava la natura umana e corporea del Cristo, disconoscendo la realtà della sua vita terrena; per esso il corpo di Cristo sarebbe esistito solo come “fantasma”, e cioè senza la sostanza della carne. Considerando il Cristo privo di un vero corpo, si arrivò persino a credere che un angelo avesse preso sulla croce il posto di Gesù il quale, nel suo apparente sacrificio, non patì delle vere sofferenze e una vera morte. Tale concezione venne ritenuta eretica dalle chiese cristiane del I Concilio di Costantinopoli nel 381.
- In una omelia di Cirillo di Gerusalemme, nel IV secolo, si legge: “Vera la morte di Cristo, vera la separazione della sua anima dal suo corpo, vera anche la sepoltura del suo santo corpo avvolto in un candido lenzuolo”.
- La sindone fu inizialmente conservata dalla primitiva comunità cristiana come ricordo della Passione. Portata alla città di Edessa, tra il V e il VI secolo, prese il nome di Mandylion. Del telo di lino in cui fu avvolto il corpo di Cristo ne parlarono, oltre che i vangeli e alcune fonti apocrife come il Vangelo degli Ebrei, di Nicodemo e di Gamaliele, anche il vescovo Braulione e Arculfo(VII secolo). Del sacro lino non si seppe più nulla fino al 1353 quando, a Lirey in Francia, venne esposto dai canonici di una chiesetta, fatta costruire dal cavaliere Goffredo di Charny. Nel 1389 il vescovo di Troyes, la città natale di Robert de Boron, autore della Leggenda del Graal, si pronunciò sulla veridicità della sindone definendola per la prima volta una raffigurazione artificiale: dopo il divieto di esporla pubblicamente, la preziosa reliquia fu tenuta nascosta in un luogo imprecisato, fino al 1418 quando, durante la Guerra dei Cent’anni, Margherita di Charny(figlia di Goffredo) la ritirò dalla chiesa di Lirey e nel 1453 fu venduta al duca Ludovico II di Savoia, principe del Piemonte. Attualmente si trova custodita nel duomo di Torino.

La sepoltura di Gesù e la Sindone nel sepolcro vuoto, Codice Pray








