
di Mirabilia Orvieto
“Orvieto è un racconto del Medioevo, segnato da un’arte sottovalutata nei libri di testo. Un ritorno alle fonti che sono gli inizi della cultura europea“(Zbigniew Herbert, scrittore).
I fatti straordinari del 1263 lasciarono ad Orvieto un’impronta così profonda da indurre la città a costruire una cattedrale, dedicata a Maria, che contenesse il santuario dell’eucarestia. Gli artisti che, sotto la guida dei teologi domenicani, contribuirono alla decorazione della cappella del Corporale, tra il 1357 e 1364, si prodigarono affinché le scene degli affreschi risultassero così convincenti da persuadere i credenti sul vero significato di quel “eccelso e meraviglioso sacramento” (Bolla Transiturus), istituito da Cristo nell’Ultima Cena.
La cattedrale, così imponente per una piccola popolazione, doveva costituire il tributo più alto ad un miracolo e ad un papa, Urbano IV, che lasciò un’eredità importantissima nell’immaginario della città. L’ingente somma di denaro impiegata per il prezioso reliquiario di Ugolino di Vieri, ove custodire il Corporale di Bolsena, testimoniava le speranze di vita eterna e di benessere spirituale del popolo orvietano, spesso tormentato da interminabili divisioni. Risuonavano ancora le gesta di Innocenzo III(1198-1216), il papa delle crociate e della lotta contro gli Albigesi, dei concistori e dell’approvazione degli ordini religiosi francescani e domenicani, dell’Inquisizione e della ‘ruota degli esposti’ dove venivano raccolti gli orfani, immagine del Cristo-fanciullo. Ma anche del primato della Chiesa sull’Impero, con la costituzione di una federazione di stati europei, e del IV Concilio Lateranense del 1215, nel quale venne definito per la prima volta il dogma sulla transustanziazione che da allora entrò nell’uso comune.

Solo il potere di Cristo, e cioè “del Suo corpo e del Suo sangue“, avrebbe potuto porre rimedio ad una cristianità minacciata dalle eresie e fortemente indebolita dalla rovinosa caduta di Costantinopoli del 1204 e, prima ancora, dal Grande Scisma del 1054. In quel tempo l’eucarestia non era solo un simbolo, ma la realtà stessa del presenza del Signore da far risplendere come “lucerna posta sul candelabro“. I più grandi teologi ed esegeti arrivarono a compiere ogni sforzo per far comprendere al popolo di Dio la verità dell’ostia, esaltata persino dal leggenda cristiana del Graal che Boron finì di scrivere agli inizi del XIII secolo.
In quel tempo l’immaginario popolare era sempre più legato ai tanti miracoli eucaristici diffusi in tutta Europa, ma anche all’esperienza mistica delle beghine del sud della Francia, le quali fecero del culto eucaristico il centro della vita spirituale. Fu proprio una di queste donne, la beata Giuliana di Mont-Cornillon (1), dedita allo studio, alla preghiera e alla carità verso i poveri, che infuse nel cuore di Jacques Pantaléon di Troyes, il futuro papa Urbano IV, la devozione per l’eucarestia. Dopo essere stato eletto nel 1242 arcidiacono di Liegi, venne nominato patriarca di Gerusalemme nel 1255 e poi legato pontificio per l’esercito crociato in Terra Santa(1256), giungendo a san Giovanni d’Acri (2). Qui svolse un ruolo decisivo nella riconciliazione fra Genovesi, sostenuti dall’Ordine degli Ospitalieri, e Veneziani, alleati dei Templari e dei Teutonici, che si stavano combattendo aspramente per il controllo militare del monastero di san Saba nel 1258. Nonostante l’intensa attività politica e diplomatica, Urbano IV non distolse mai lo sguardo dalla sua vocazione. L’11 agosto 1264, appena un anno dopo il miracolo di Bolsena, il papa promulgò da Orvieto la bolla Transiturus che inviò al Patriarca di Gerusalemme e l’8 settembre alla reclusa Eva di Saint-Martin, figlia spirituale di Giuliana.

Da allora il movimento eucaristico femminile, nato in Francia tra la fine del 1100 e l’inizio del 1200, trovò la sua piena legittimazione unendosi alla gloriosa chiesa di Gerusalemme e di san Giovanni d’Acri, una delle maggiori città-simbolo del cristianesimo dove, proprio nello stesso anno del miracolo di Bolsena (1263), Papa Urbano IV aveva trasferito il Patriarcato. Con la proclamazione della Bolla Transiturus, accompagnata dal nuovo ufficio liturgico della festa del Corpo Domini attribuito a San Tommaso, egli volle dare nuovo impulso al grande progetto politico-religioso di Innocenzo III, inaugurato con la quarta crociata (1202-1204). Era il sogno di riunire, sotto il potere dell’eucarestia, l’Oriente con l’Occidente cristiano creando quell’unità spirituale suggellata proprio dal sacro Corporale di Bolsena, la cui devozione rievocava potentemente quella delle reliquie della Passione custodite a Gerusalemme.
La storia del prodigio dell’ostia di Bolsena, le cui gocce di sangue lasciarono impresse “figure a somiglianza di uomo“, si sovrapponeva così alle visioni di Giuliana di Mont-Cornillon, Cristina di Saint-Trond, Ida di Nivelles, Isabella di Huy, Eva e Maria d’Oignies (3) che al suo confessore Jacques de Vitry (4) rivelava come, durante la messa, le appariva un’ostia che si trasformava in “un bel fanciullo e un esercito di spiriti celesti discendere in mezzo a una gran luce“. Subito dopo il miracolo di Bolsena si accesse, nel centro d’Italia, un fervente movimento eucaristico animato da Margherita da Cortona e da alcune mistiche umbre, quali Chiara da Montefalco e Angela da Foligno, la quale, chiusa nella sua cella, diceva di rivivere misticamente la Passione di Cristo, mentre gli appariva “un’ostia sotto le spoglie di un bambino, avvolta da uno splendore e una bellezza maggiori dello splendore del sole“.

Ebbene quel meraviglioso fanciullo, che prendendo il posto del pane si era manifestato nel segreto di un monastero o in mezzo al campo di battaglia nella messa miracolosa di Acri, era lo stesso di quello descritto da Boron nel suo celebre romanzo. Tra storia e leggenda, fu proprio la letteratura epico-cavalleresca del tempo, ispirata alla spiritualità del monachesimo cistercense di Bernardo di Chiaravalle e di Guglielmo di Saint-Thierry, a rappresentare la più completa ed affascinante narrazione simbolica del cristianesimo e dell’eucarestia. Secondo la medioevale leggenda francese, ispirata al vangelo apocrifo di Nicodemo (II sec.), fu proprio il prezioso vaso di Giuseppe d’Arimatea contenente il sangue della Passione, perché raccolto dal discepolo nel sepolcro di Cristo, a rivelare per la prima volta il segreto dell’eucarestia racchiuso nell’ostia-bambino. Durante la celebrazione della messa, Giuseppe estrasse infatti “dal Santo Vaso un’ostia in forma di pane e, al momento dell’elevazione, una figura di bimbo discese dal cielo e penetrò nell’ostia“, la quale assunse poi “la forma di uomo carnale…che si tramutò in un uomo in croce con una lancia conficcata nel costato e delle gocce di sangue vermiglio che cadevano dentro il calice“.
Storia, spiritualità e leggenda s’intrecciavano allora in un unico affascinante racconto che, come le pagine di un libro, si snodava sulle pareti della cappella del Corporale: quei prodigi eucaristici rappresentati nel ciclo pittorico di Ugolino, che richiamavano alla memoria le mistiche visioni delle beghine, tramandate dalle cronache, nonché i suggestivi racconti dei romanzi cavallereschi con le meravigliose liturgie del Graal, erano lì per esaltare tutta la verità dell’eucarestia attraverso quel mondo mistico-leggendario che, nel medioevo, arrivò persino ad ispirare eventi straordinari come la crociata dei fanciulli (5). Era lo stesso fanciullo delle messe leggendarie di Scete e dell’anacoreta dubbioso, anch’esse rappresentate nella cappella, che mostrava ai fedeli il mistero stesso della transustanziazione.
Qui, nel miracolo dei miracoli, i credenti potevano finalmente contemplare che non è il pane a diventare Cristo, e quindi la materia a trasformarsi in spirito, ma è Cristo stesso che in modo invisibile torna ad incarnarsi nell’ostia, prendendo le sembianze di un bambino il quale, alla consacrazione del vino, fa sgorgare dal suo costato il sangue della Passione nel calice eucaristico. E tutto ciò in ricordo delle parole di Urbano IV che nella Bolla Transiturs, parlando del mistero della santa messa, confermava la natura divina dell’ostia dove lo stesso Cristo “è con noi, presente sotto altra forma, ma nella propria sostanza, veracemente“.

(fine quarta parte)
Prima parte: Giuseppe d’Arimatea, una storia mai raccontata
Seconda parte: La Cappella del Corporale, tra dogma e leggenda
Terza parte: La Cappella del Corporale, nel cuore dell’Eucarestia
Note:
1. Nell’estate del 1246, data la grandissima devozione locale per il Corpo del Signore, il principe-vescovo Roberto di Thourotte, su pressione di Santa Giuliana(1192-1258) e delle sue incessanti apparizioni dell’ostia, ne autorizzò il culto nella diocesi di Liegi legandolo a una speciale festività da celebrarsi il primo giovedì successivo alla domenica dopo Pentecoste, festa della Santissima Trinità.
2. La città marittima di Acri, roccaforte crociata, era stata eletta a capitale del Regno di Gerusalemme dopo la perdita della Città Santa per mano dei musulmani nel 1187. Al suo interno si contavano chiese, conventi, monasteri che accolsero tutti coloro che avevano dovuto lasciare Gerusalemme; ma era considerata anche un vero e proprio santuario dove venne trasferito l’archivio e la Biblioteca gerosolimitana, insieme allo Scriptorium del Santo Sepolcro da cui uscirono importanti testi liturgici, tra cui il messale di Acri, noto per le sue pregevoli miniature, e una Bibbia illustrata per l’uso personale di san Luigi IX, il re cristiano di Francia che si ritirò ad Acri dopo la sconfitta della VII crociata.
3. Maria d’Oignies, beghina e mistica, nacque a Liegi nel 1177 circa da famiglia benestante. All’età di 14 anni si sposò, ma in seguito decise con il marito di dedicarsi ad una vita apostolica di castità e carità, lavorando in un lebbrosario. All’età di 30 anni, nel 1207, si ritirò in una comunità di conversi, ossia di suore e fratelli laici, guidata da un gruppo di preti, fra cui Jacques de Vitry, futuro Cardinale d’Acri in Palestina e protettore del movimento delle beghine. Nonostante le accuse di eresia che sarebbero state mosse al movimento negli anni successivi, Maria fu sempre molto ortodossa nelle sue convinzioni, tant’è che appoggiò con entusiasmo la Crociata contro i catari, indetta da papa Innocenzo III nel 1209. Nel 1212 si racconta che Maria avesse ricevuto le stimmate, ben 12 anni prima di San Francesco. Morì nel 1213 all’età di 36 anni.
4. Jacques de Vitry(1165-1240) giunse nel 1208 a San Nicola d’Oignies, nella diocesi di Liegi, dove risiedeva la beata Giuliana. Qui conosce anche Maria d’Oignies, una beghina che si era stabilita nel priorato d’Oignies già nel 1207. Nel 1211 riceve dal nunzio papale Raymond d’Uzès il compito di predicare contro gli Albigesi nel nord della Francia e nel principato di Liegi. Egli diventò confessore e direttore spirituale di Maria d’Oignies, scrivendo per lei l’opera biografica intitolata “Vita Marie Oigniacensis” come esempio da portare contro l’eresia dei Catari. Grazie ai suoi successi oratori, Jacques viene eletto vescovo di San Giovanni d’Acri e nel luglio 1216 si reca a Perugia per essere consacrato vescovo da Papa Onorio III. Giunto poi in Palestina, Jacques de Vitry svolgerà una fervente attività durante la quinta crociata, partecipando all’assedio di Damietta, dal 1218 al 1221; qui, nel 1219, ebbe modo di conoscere san Francesco d’Assisi che si era recato in Egitto per predicare davanti al Sultano.
5. In un anno denso di eventi politici, religiosi e militari, come la cacciata dei musulmani dalla Spagna, la lotta per il dominio del Sacro Romano Impero, l’approvazione da parte di Innocenzo III della regola di san Francesco e la crociata contro gli albigesi in Francia, si narra che nel mese di maggio del 1212 un pastorello dodicenne di nome Stefano si presentò alla corte del Re di Francia, Filippo II, dicendo che Cristo in persona gli era apparso durante la messa e gli aveva ordinato di radunare, da tutta Europa, dei giovani fedeli alla volta della Terrasanta per liberare Gerusalemme e il Santo Sepolcro dagli infedeli. Dopo aver iniziato a predicare all’abbazia di Saint-Denis, 30.000 piccoli proseliti lo seguirono e, attraversando le Alpi, salparono dal porto di Genova al grido di “Dio glorifica la Cristianità!“. Ma “l’inaudita e meravigliosa” avventura, così definita dalle cronache, di quell’eroico esercito di ostie viventi partito alla ricerca della vera croce del Signore, finì tragicamente quando le sette navi messe a disposizione da alcuni mercanti furono investite da una tempesta e i superstiti venduti come schiavi al sultano d’Egitto.








