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Home Corsivi

Il dissanguamento finanziario che impoverisce senza sosta Orvieto. I flussi da recuperare

Redazione by Redazione
30 Settembre 2025
in Corsivi, Secondarie, Archivio notizie
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di Claudio Lattanzi

Demografia, economia e geografia. Sono le tre variabili fondamentali e connesse tra di loro da tenere presente per capire se una città cresce, è in stagnazione o declina. Un esercizio che si può applicare ad Orvieto e che ruota intorno alla teoria secondo cui l’isolamento geografico e la mancanza di politiche per lo sviluppo sono destinate ad aggravare nel futuro l’eclissi della città. Il primo tema è quello del costo della vita. Orvieto è una città cara, anzi carissima, ma siccome l’Istat misura il livello di inflazione solo nei capoluoghi di provincia, nessuno ha mai avuto l’esatta misura di quanto i prezzi qui siano alti se non per l’esperienza empirica che ognuno fa come consumatore quando acquista altrove.

La causa è sicuramente legata alla geografia, cioè al fatto che nelle immediata vicinanza di Orvieto non c’è commercialmente niente e che le ridotte dimensioni della città non favoriscono alcun fenomeno di concorrenza commerciale, ma al contrario c’è una tendenza più o meno implicita a “fare cartello” tenendo i prezzi alti. L’inflazione di Orvieto ha anche un’altra causa che è quella indotta in maniera potente dalla dimensione turistica. La carenza di offerta commerciale è collegata anche all’esodo dei consumi che è una grande voce di impoverimento finanziario del territorio. E’ un dato difficile da calcolare, ma immaginate che numeri verrebbero fuori se solo fosse possibile sapere quanti milioni di euro dei redditi delle famiglie orvietane sono stati spesi negli ultimi dieci anni solo nei negozi dell’Ipercoop di Viterbo.

Risparmio privato e welfare privato
C’è poi la tendenza al risparmio record. Orvieto è tra le primissime città umbre per depositi bancari pro capite (quasi 27.000 euro, il doppio della media umbra che si ferma a 14.000 euro), ma quale è il significato economico e sociale di questo primato? Intanto questa ricchezza privata è la vera base di un sistema di welfare territoriale che è sempre di più un welfare familiare e sempre di meno un sistema di protezione sociale garantito dal pubblico. Il 70 % delle prestazioni sanitarie ad Orvieto vengono  ormai erogate dai privati (fonte PrometeOrvieto) a prezzi elevati senza che nessuno se ne scandalizzi affatto, ma i risparmi familiari sono anche l’elemento grazie al quale viene garantita la maggior parte dei servizi di assistenza agli anziani che nel comune rappresentano ormai il 29% della popolazione totale.

Come dimostra l’analisi effettuata anni fa sui bilanci della Cassa di Risparmio di Orvieto in uno degli ultimi numeri del prezioso “Bollettino economico dell’area orvietana”, l’ingente mole dei risparmi orvietani si trasforma inoltre in impieghi per l’attività creditizia che la Cro eroga nei territori in cui aziende e famiglie ricorrono ai prestiti bancari per espandere le proprie attività e investire, il che avviene soprattutto con le filiali nel Lazio. Il risparmio orvietano come propellente per lo sviluppo altrui insomma. Amaro paradosso. Un’altra gigantesca voce di impoverimento finanziario dell’area orvietana riguarda l’assistenza agli anziani.

Moltiplicando il numero delle persone, soprattutto dell’est Europa, che lavorano come badanti private nei comuni dell’area sociale per lo stipendio medio che percepiscono, ne deriva una somma oscillante tra i 720 e i 760.000 euro al mese. Soldi che, detratte poche spese, si trasformano in larga parte in rimesse estere a favore delle famiglie delle badanti che vivono in patria.  Anche la generalizzata fuga di giovani deve essere vista come una fonte di impoverimento della comunità considerando che portare un figlio alla laurea costa mediamente ad una famiglia 140.000 euro. Un investimento destinato produrre frutti altrove. Discorso a parte è quello della svalutazione delle azioni della Banca popolare di Bari che hanno prodotto un danno al risparmio locale stimato in oltre 60 milioni di euro.

Mercato immobiliare
Inflazione e costi sociali devono poi essere accostate al valore troppo elevato del mercato immobiliare locale. Se devo pagare ogni mese una rata del mutuo molto alta avrò meno soldi da spendere qui, sia come consumo che come investimento. In questo contesto, la tendenza al forte risparmio a cui corrisponde la bassissima propensione ad investire assume anche una dimensione psicologica collegata al timore del futuro per chi ha la percezione di vivere in un posto che non offre opportunità e nel quale è indispensabile disporre di tanti soldi per vivere sicuri.

Il risultato sarà comunque sempre quello di far girare poco denaro mentre la mancata gestione politica dell’urbanistica e l’assenza di iniziative di housing sociale che prescindano dai modesti interventi dell’Ater contribuiscono a far scappare i residenti. Se questa descrizione della realtà corrisponde al vero, l’unica prospettiva per uscire da un corto circuito disastroso e senza orizzonte può essere solo quello di puntare con ogni energia alla crescita economica e al rafforzamento dei servizi socio sanitari pubblici. E’ necessario incrementare popolazione e attività economiche, favorendo la concorrenza per far calare i prezzi, sostenere l’edilizia pubblica e sostenere le famiglie nel modo più ampio possibile per ricreare fiducia nel futuro.

I flussi da recuperare
Il rilancio di Orvieto deve essere visto anche come metodo per potenziare e ricreare i flussi finanziari che entrano nell’economia locale e che sono collegati ai servizi. Rispondeva del resto a questa logica la nascita del Centro studi ormai 25 anni, pensato in accordo con l’università di Perugia (la cui facoltà di Ingegneria vi aveva decentrato il corso di laurea in Ingegneria delle comunicazioni strettamente collegato all’Itelco) come elemento per attrarre dentro il sistema formativo umbro studenti in competizione con le università di Siena e della Tuscia. Il ruolo del Centro studi deve essere ripreso con vigore con l’obiettivo di incrementare il numero delle università che qui svolgono programmi residenziali.

Oggi sono in vigore convenzioni solamente con l’università del Kansas e dell’Arizona oltre che un rapporto con il Sant Anselm College, ma il mondo è grande e gli atenei che tengono altrove e all’estero le proprie summer school sono decine e decine.  Quale politica abbiamo elaborato in tutti questi anni per moltiplicare il numero delle convenzioni con le università di mezzo mondo? Nessuna. Il Centro studi deve essere poi ripensato anche come competitore nazionale. Abbiamo tutti presente il caso clamoroso di Narni di “Scienze dell’investigazione” e della sicurezza, ma Orvieto abbiamo anche uno dei primi cinque cantieri archeologici attualmente in scavo d’Italia ed un insediamento come quello di Campo della Fiera che si sviluppa in realtà su una superficie totale di oltre trenta ettari, dal Tamburino fino alla necropoli di Cannicella lungo il piano della Bagnorese. Sotto terra c’è un petrolio culturale che si presta anche a diventare una straordinaria opportunità didattica ed accademica cosi come una risorsa per un ambizioso progetto di turismo culturale. Servono idee e capacità di pensare in grande.

La sanità e l’assistenza, la concorrenza del Lazio
Anche l’Ospedale, terzo datore di lavoro di Orvieto, è un attrattore di flussi finanziari ed il potenziamento del suo ruolo deve essere perseguito anche in un logica economica. Lo vediamo con la funzione da sempre svolta dal punto nascite che è rimasto finora attivo per il ruolo interregionale del servizio, ma che sta pericolosamente declinando in termini numerici. La visione dell’ospedale come catalizzatore di economia e posti di lavoro deve essere  concepita come punto focale, nella consapevolezza che il forte rafforzamento della medicina territoriale in atto nella vicina provincia di Viterbo potrebbe presto privarci di flussi importanti, a partire dall’importanza che sarà destinata a ricoprire presto il futuro Ospedale di Acquapendente, già finanziato da Regione Lazio con 30 milioni di euro.

Le sfide del prossimo decennio
Fare di Orvieto uno degli habitat più accoglienti per gli investimenti privati, rilanciare la capacità dell’ente comunale di intercettare fondi pubblici attraverso una riorganizzazione profonda della burocrazia locale, trasformare il tema degli anziani da gravissima criticità a settore qualificante anche in termini occupazionali. Sono queste alcune tra le sfide fondamentali per i prossimi dieci anni. Si tratta di una visione del futuro che segna una frattura profonda con il passato, ma per essere sostenute con successo necessita di una grande energia politica, oltre alla capacità di intessere e gestire  anche rapporti con tanti soggetti esterni, istituzionali, imprenditoriali, associativi, politici. Lo slogan “Tanti nemici, tanto onore” ha sempre portato male a tutti quelli che lo hanno fatto proprio.

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