
Il dibattito sul futuro delle Aree Interne italiane si rivela sempre più cruciale, non solo per la vasta estensione territoriale che rappresentano – oltre il 60% del nostro Paese – ma per le profonde interconnessioni con dinamiche demografiche, sociali ed economiche che delineano il volto stesso della Nazione. I dati recenti evidenziano una realtà complessa: negli ultimi dieci anni, la popolazione di questi territori ha registrato un decremento significativo del 7,7%. Si stima che oltre 13 milioni di cittadini residenti in queste aree ancora oggi non beneficino di un accesso adeguato a servizi fondamentali quali sanità, istruzione e mobilità, una condizione che si acuisce in alcune regioni del Sud Italia, dove comuni registrano perdite di popolazione sistematiche e un calo di oltre il 10% nell’ultimo decennio solo per le aree interne di quelle regioni.
Questo scenario si presenta in un contesto dove l’Italia ha a disposizione strumenti strategici come il “Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne” (PSNAI) e un’ingente disponibilità di fondi europei e nazionali – circa 100 miliardi di euro – dedicati alla coesione, allo sviluppo rurale e alla transizione ecologica. La discrasia tra la potenzialità offerta da tali risorse e la persistenza di dinamiche di declino solleva interrogativi pertinenti sulla capacità di implementazione e sulla solidità dell’indirizzo politico.
Emerge una sfida nella traduzione delle visioni programmatiche in azioni concrete. La frammentazione istituzionale, le sovrapposizioni burocratiche e la difficoltà nel perseguire un riordino territoriale efficace sembrano limitare la piena espressione del potenziale di sviluppo. Si avverte la necessità di una governance che, al di là degli strumenti già definiti, sappia imprimere una direzione politica più coesa e determinata, che permetta di superare le inerzie e di capitalizzare appieno le opportunità esistenti.
L’esperienza di altre realtà, sia in Italia che in Europa, offre spunti significativi. Studi condotti in ambito nazionale, ad esempio dall’associazione “Riabitare l’Italia”, rivelano come un’ampia percentuale di giovani desideri effettivamente rimanere o ritornare nelle aree interne, a patto che si creino condizioni abilitanti. Progetti basati sull’attivazione delle comunità e sullo sviluppo di un ecoturismo integrato hanno dimostrato come l’investimento mirato e la collaborazione possano generare risultati tangibili.
Sul fronte europeo, la “Visione a lungo termine per le zone rurali” promossa dall’UE ambisce a territori “più forti, connessi, prosperi e resilienti”. La Politica Agricola Comune (PAC), con una quota rilevante di fondi destinati a misure ambientali (30%) e allo sviluppo locale partecipativo leader (5%), insieme a iniziative come gli “Smart Villages”, rappresentano un modello di approccio strutturale che enfatizza la diversificazione economica, la connettività digitale e l’innovazione, promuovendo un coordinamento multi-livello delle politiche. Tali esempi suggeriscono che un’azione incisiva, fondata su riforme istituzionali e una visione politica di lungo periodo, è non solo auspicabile, ma concretamente attuabile.
Se guardiamo con lente locale al territorio orvietano, questa sfida si presenta con urgenza e chiarezza. La nostra regione, interamente classificata come interna, soffre di fragilità infrastrutturali evidenti, come l’inadeguatezza dei collegamenti interni e verso le grandi città – pensiamo alla linea ferroviaria Orvieto-Roma – e di un sistema sanitario in affanno, con il noto dramma delle liste d’attesa e la carenza di personale negli ospedali periferici. Queste criticità, che permangono al di là dell’alternanza politica e dei proclami, sono il sintomo di un problema strutturale profondo. L’Area Interna Sud-Ovest Orvietano, pur essendo un’area pilota della Strategia Nazionale, si trova a gestire una dimensione dettata più da logiche politiche che da coerenza territoriale (19 comuni a fronte dei 12 del comprensorio storico), con una frammentazione istituzionale che indebolisce qualsiasi tentativo di visione strategica unitaria.
È in questo contesto che emerge con forza la necessità per Orvieto e i comuni dell’Orvietano di “fare sistema”, superando le divisioni e assumendo un ruolo di leadership nella regione per la riforma dell’architettura istituzionale. La visione di una “Grande Orvieto”, politicamente forte e capace di incidere sulle decisioni regionali, attraverso la costituzione di una vera unione di comuni, non è solo un’aspirazione locale, ma un esempio concreto di come la capacità di governo del cambiamento possa trasformare le sfide in opportunità reali di sviluppo economico e benessere collettivo. In questa prospettiva, invitiamo l’amministrazione comunale di Orvierto ad avviare un dialogo stabile, efficace e strutturato con tutte le amministrazioni del territorio, con l’obiettivo di definire congiuntamente un piano di sviluppo coerente, coraggioso e condiviso per l’intera area.
La sfida per le Aree Interne non è più solo quella di resistere al declino, ma di affermarsi come motori di uno sviluppo territoriale sostenibile e inclusivo. Richiede una riflessione profonda e un impegno politico rinnovato, orientato non alla mera gestione delle emergenze, ma alla costruzione di una strategia che sappia valorizzare le specificità locali, superare le attuali criticità strutturali e assicurare un futuro di opportunità per queste aree nevralgiche del Paese.
Nova Orvieto








