Dietro ogni sport, c’è sempre una storia che merita di essere raccontata. Nell’aula Sant’Agostino dell’Università Cattolica di Milano, quelle storie hanno preso voce, corpo ed emozione durante la cerimonia di premiazione del concorso nazionale Opera Prima – Pagine di sport, promosso dall’Istituto Toniolo con l’Associazione Amore per il Sapere.
A rappresentare l’Istituto Superiore Majorana-Maitani di Orvieto c’erano quattro giovani talenti della 4S2 – Andrea, Francesco, Sofia e Agnese – selezionati tra oltre 600 partecipanti da tutta Italia. Dopo una prima selezione che ha portato solo venti studenti in finale, due di loro si sono distinti tra tutti: Francesco Zerbi, vincitore assoluto del concorso con la sua intensa Lettera a Edoardo Bove, e Andrea Taibi, che ha ricevuto la menzione d’onore con l’elaborato dal titolo “L’Ultimo Metro”.
Il viaggio è iniziato alle prime luci dell’alba, con il treno diretto a Milano, e si è concluso in serata: una giornata lunga, ma vissuta con entusiasmo e gratitudine. Partecipare a un evento così prestigioso, che celebra la scrittura e la passione sportiva, è stata un’occasione unica per i nostri studenti. Un’emozione condivisa tra compagni, docenti e ospiti illustri, tra cui lo scrittore Riccardo Gazzaniga intervenuto durante la cerimonia con parole di grande ispirazione.
La lettera vincitrice, indirizzata al calciatore Edoardo Bove, ha colpito per la sua profondità e autenticità, tanto da arrivare fino al diretto interessato. Bove, che lo scorso dicembre aveva vissuto un momento drammatico accasciandosi in campo durante Fiorentina-Inter a causa di un malore improvviso, ha infatti risposto a Francesco con un videomessaggio toccante, in cui lo ha ringraziato per le parole sincere e per l’intensità del suo racconto.
Le parole di Francesco sono diventate un augurio sentito affinché il giovane calciatore possa tornare presto in campo con la grinta e il cuore che lo contraddistinguono. Come premio, Francesco parteciperà a un corso di scrittura a Pordenone nel mese di settembre, un’opportunità per coltivare il proprio talento e continuare a crescere come narratore di storie.
Andrea, con la sua menzione speciale, ha mostrato la stessa passione e dedizione, regalando un racconto che esplora gli ultimi istanti decisivi prima di un traguardo, metafora perfetta della competizione e della vita. Orgoglio, emozione e gratitudine sono le parole chiave di questa giornata. Un’esperienza che i ragazzi della 4S2 porteranno con sé, non solo per i riconoscimenti ottenuti, ma per la bellezza di aver creduto nella forza della parola, nel valore dello sport e nella magia del raccontare.
Ecco l’elaborato di Francesco Zerbi, vincitore assoluto del concorso.
Lettera a Edoardo Bove.
È una fredda serata di gennaio e si è da poco conclusa la domenica di Serie A
con il match che ha visto la Fiorentina ottenere un successo importante sul
campo della Lazio per 1-2, seppur affrontando l’ultima mezz’ora dell’incontro
in inferiorità numerica. Il triplice fischio del direttore di gara è già un ricordo
lontano nel tempo e lo Stadio Olimpico si è praticamente svuotato,
abbandonato da entrambe le tifoserie, eccezion fatta per qualche reduce nel
settore ospiti che, fomentato dalla gioia della vittoria, è ancora restio nel
lasciare l’impianto. La tua squadra ha vinto, anche se stasera non è toccato a
te, e chissà quanto tempo dovremo ancora attendere per tornare a vederti
rincorrere testardo, instancabile, i giocatori avversari. Hai deciso di uscire un
attimo dagli spogliatoi, abbandonando momentaneamente i festeggiamenti
con i compagni, per goderti una breve passeggiata sul campo, come se
volessi assaggiare nuovamente l’aria di casa. Si, perché questo stadio è stato
casa tua per anni Edo, fino al giorno in cui una direzione societaria allo
sbaraglio più totale decise di metterti alla porta, in maniera ingrata ed
indegna visto il tuo attaccamento ai colori della tua città.
Ti guardi intorno e forse speri di essere solo, non vuoi di certo che qualcuno si
intrometta in un momento così intimo che ti sei ritagliato per te stesso. Ti
accorgi che l’unica persona presente sul campo oltre a te è un umile
giardiniere che, con meticolosa cura, sta provando a dare nuova linfa al manto
erboso del terreno di gioco. Ti lasci andare, fai viaggiare la mente, forse una di
quelle troppo mature per l’età del corpo che abitano, e rivivi i momenti più
belli della tua vita, che, come i fotogrammi di una pellicola, scorrono
incessanti davanti ai tuoi giovani occhi.
Sopra le zolle di erba che calpesti in questi istanti, hai potuto realizzare il tuo
sogno di diventare un calciatore professionista, esordendo tra i “grandi” il 9
maggio 2021 contro il Crotone, con Fonseca in panchina. Non solo hai
realizzato il tuo più grande sogno, ma, in un certo senso, ci sei riuscito due
volte, avendolo fatto con indosso la maglia della tua squadra del cuore, il che
assume appunto un valore inestimabile. Varcasti per la prima volta i cancelli
di Trigoria nel lontano 2012, quando eri poco più che un bambino, avevi
soltanto 10 anni. Poi tutta la trafila nelle giovanili, fino alla chiamata in primasquadra dove hai da subito saputo farti apprezzare per il ragazzo d’oro che
sei, tanto che un signore del calcio come José Mourinho ti prese sotto la sua
ala protettiva, scommettendo, di fronte alla perplessità degli addetti ai lavori,
per primo sulle tue qualità.
Continui a guardarti rapidamente intorno, come se ti volessi nascondere da
qualcosa, dalle tue paure, dalle tue memorie, dalla tua incertezza nei
confronti di un futuro che sembra rarefarsi ogni giorno di più. Ma ecco che di
sfuggita incontri il suo sguardo. Imponente si erge alle tue spalle e hai il
tempo di lanciarle un’occhiata nostalgica, timida. Sua maestà, la Curva Sud, a
cui ogni romanista associa le proprie memorie più felici, te compreso, che da
ragazzino andavi con papà e con gli amici a tifare per la Roma proprio in
questo magico settore dello stadio. Proprio lì sotto hai realizzato il tuo primo
gol in Serie A, contro il Verona, e hai festeggiato con i tuoi ex compagni i primi
derby vinti. Sono certo che ti stessi mangiando le mani per non poter essere
d’aiuto ai tuoi compagni e di poter lottare al loro fianco contro i cugini
biancocelesti oggi. Dalla parte opposta dello stadio ritrovi invece la Curva
Nord, sotto la quale hai messo a segno un gol storico per la Roma, contro i
tedeschi del Bayer Leverkusen, portandola così in finale di Europa League.
Nella tua avventura in giallorosso hai avuto inoltre il piacere di essere
allenato dal tuo idolo, Daniele de Rossi, il quale non ha mai nascosto i
sentimenti di stima e di amore paterno nei tuoi confronti. Vuoi o non vuoi, il
tuo nome rimarrà nella storia di questo club ancora a lungo, essendo stato
parte della rosa che nel maggio del 2022 è tornata ad alzare al cielo, nella
notte di Tirana, un trofeo internazionale 61 anni dopo l’ultima volta. Sarà pur
sempre stata una “coppetta”, ma noi romanisti non siamo abituati a vincere, lo
sai, e riuscirci in una piazza del genere è una cosa differente, come
testimoniato dal bagno di folla che voi giocatori riceveste durante il corteo per
i festeggiamenti. A bordo del pullman scoperto brandivi al vento con fierezza
uno striscione che recitava “Che caciara!” e con il quale diffondevi al mondo
intero il significato del romanismo più puro. Come tutte le cose, anche le
storie belle hanno una fine, che di certo non avremmo immaginato poter
essere così improvvisa, prematura, e che pure questa volta ci ha lasciato con
l’amaro in bocca. Ognuno di noi, te per primo, avrebbe sperato in un finale
diverso, ma capita spesso che la vita provi a metterti in ginocchio, ma ,comespesso succede, ad una porta che si chiude consegue l’apertura di un
portone. Te ne sei dovuto andare, costretto a lasciare casa. Hai sofferto
vedendo una parte della tua esistenza che ti veniva strappata via. Ma hai
saputo reagire, rialzare la testa e metterti nuovamente in gioco. Non è facile
per un giocatore in rampa di lancio subire un tale colpo psicologico. Firenze ti
ha accolto come un figlio, dai tifosi ai compagni e allo staff tecnico. A breve
sei diventato una pedina fondamentale nello scacchiere tattico di mister
Palladino, tanto da attirare su di te l’attenzione del commissario tecnico della
Nazionale. Con la maglia viola addosso hai potuto veramente dimostrare il
tuo talento, togliendoti anche la soddisfazione di segnare alla tua amata
Roma, tu romano e romanista, in un roboante 5-1 al Franchi che è entrato di
diritto nella lista delle peggiori figuracce della nostra storia (mannaggia a te!).
Qualcosa ora però ti impedisce di mettere a fuoco nitidamente tutti questi
ricordi, un pensiero fisso si fa strada nella tua mente come volendoli scacciare
via, rimpiazzarli con prepotenza, tanto che sembrano svanire come un bel
sogno al risveglio mentre proviamo a memorizzarlo.
La vista inizia a diventare offuscata per via delle lacrime che bagnano i tuoi
occhi, ma che non vuoi lasciar andar via e provi avidamente a tenere per te.
In questo viaggio a ritroso nella tua vita la testa non può fare a meno, con
insistenza angosciosa, di ritornare al terribile episodio di qualche mese fa. È il
1 dicembre 2024. Si gioca Fiorentina-Inter. In palio ci sono 3 punti pesanti che
possono garantire ad entrambe le squadre uno slancio importante nella corsa
al titolo, con i viola che si presentano come grandissima sorpresa dell’avvio di
stagione. Come da qualche tempo a questa parte, il mister fatica a rinunciare
alla tua presenza dal primo minuto, e ti manda in campo. È il 17esimo minuto
del primo tempo e il risultato è ancora bloccato sullo 0-0, quando, su una
situazione di gioco fermo, mentre si stava aspettando di riprendere dopo il gol
annullato all’Inter, ti inginocchi fingendo di allacciare gli scarpini. Un forte
giramento di testa, l’aria che man mano si fa sempre più pesante, e poi, il
buio. Qualche frazione di secondo più tardi sei accasciato sul prato del
Franchi, inerme, improvvisamente piccolo, davanti alle 40mila persone
presenti allo stadio. Pochi attimi servirono per accorgersi della gravità della
situazione e le tribune precipitarono in un silenzio assordante. Mentre tutti noi
a casa abbiamo rivissuto in quegli attimi eterni l’incubo Morosini, in campocompagni e avversari accorsero dinanzi all’orribile scenario chiamando a gran
voce i soccorsi, animati da un’agitazione terrificante. Molti, mostrando una
sensibilità incredibile di reagire in maniera lucida davanti a un imprevisto del
genere, si schierarono in cerchio attorno a te, difendendoti dall’infame
desiderio di contenuto acchiappa visualizzazioni delle telecamere. I soccorsi
furono tempestivi, ma a tutti noi quell’attesa sembrò interminabile, e la nostra
paura di poterti vedere andar via veniva alimentata, come versando una
tanica di benzina su un rogo, dal mancato ingresso dell’ambulanza sul terreno
di gioco, causa il rischio di impantanamento. Probabilmente qualcuno pensò
che fosse ancora troppo presto, che non fosse il momento, e mentre te ne
stavi volando via, ti acciuffò per le stringhe degli scarpini. Credevi di poter
andartene così Edo, senza nemmeno salutare? Fortunatamente l’altissimo
livello di organizzazione degli operatori di pronto soccorso ha permesso che
dal malore, all’arrivo in ospedale, passasse soltanto una manciata di minuti. In
campo i giocatori faticavano a guardarsi negli occhi, molti avevano condiviso
lo spogliatoio con Christian Eriksen a cui accadde un episodio simile, scossi
inoltre dal fatto che tu fossi uno dei più giovani. È agghiacciante rendersi
conto che da un momento all’altro possa capitare pure a noi, di come la vita
non faccia sconti, non guardi in faccia a nessuno. Disgrazie di questo tipo
smantellano la struttura dell’atleta visto come una sorta di superuomo,
qualcosa che esiste solo in televisione, e ci ricorda che di fronte alla morte
siamo tutti uguali, incredibilmente piccoli e impotenti.
All’indomani dello spiacevole accadimento, i medici diranno che si era trattato
di un arresto cardiaco, e per tua fortuna non sono state evidenziate lesioni di
alcun tipo all’organismo. Il responso è chiaro: il defibrillatore sottocutaneo ti
impedisce di poter giocare nel campionato italiano. Sei potuto tornare alla vita
di tutti giorni tuttavia. Se così la si vuole chiamare. Già, perché ti hanno tolto
tutto ciò per cui hai lottato, sudato una vita intera. Come un fulmine a ciel
sereno qualcuno è venuto a strapparti via i sogni, portandoli con sé chissà
dove, togliendoti la possibilità di fare ciò che ti rende felice, proprio nel
momento in cui iniziavi a pensare di avercela fatta. Ma a volte la vita è anche,
e soprattutto, questo. Dire che l’unica cosa che conta in questi casi è come
riusciamo a rialzarci una volta che la vita ci manda al tappeto forse non è
corretto. Che ti rialzerai ne siamo certi tutti, anzi già ce ne hai dato laconferma, ma una volta tornato in piedi ti sei reso conto che hai perso tutto
quello per cui hai provato a rialzarti. Dietro quel sorriso che hai mostrato alle
telecamere, ai tifosi, come per rassicurare tutti, qualche settimana dopo il
malore, si cela un dolore incommensurabile. La vita è stata beffarda, ti ha
mostrato il traguardo, e quando eri a pochi passi dal raggiungerlo, si è
abbattuta su di te come una furia, e tu ti chiederai per quale motivo proprio a
te è toccato, mandando completamente in frantumi le tue speranze,
macchiando per sempre i tuoi ricordi, condannandoti a vivere il resto dei tuoi
giorni con il peso del “cosa sarebbe potuto essere”.
Ora che rientri nel tunnel per dirigerti verso gli spogliatoi sappi, Edo, che le
sfide più ardue la vita le impone ai guerrieri più valorosi. Sono certo che non
mollerai mai un centimetro come hai sempre fatto in campo. Le lacrime che ti
bagnano il viso mentre volti le spalle all’Olimpico sono contagiose,
soprattutto per chi il giorno del tuo esordio era davanti alla tv, e aveva la tua
stessa età di quando entravi a Trigoria la prima volta, forse poco più grande, e
con sempre maggiore curiosità e ammirazione nei tuoi confronti ha continuato
a seguire i tuoi passi mentre diventavi un calciatore professionista. Quel
ragazzino era incollato al televisore pure il giorno del tuo primo gol con la
Roma, ed ha pianto il giorno in cui il capitano Lorenzo Pellegrini levò al cielo
la Conference League, ha urlato di gioia come un matto per il tuo gol in
semifinale, e altro non aspettava che avessi ereditato la maglia numero 16
del suo idolo, nonché tuo idolo, allenatore e mentore calcistico, Daniele de
Rossi, in quanto rivedeva in te i tratti ideali per diventare la bandiera e
capitano della sua squadra del cuore.
Quel ragazzino ero io ,Edo, e vederti così abbattuto fa malissimo, non posso
che augurarti il meglio per il tuo futuro lontano dai campi, per lo meno in
Italia, e sperare che quel rientrare negli spogliatoi stasera, con gli occhi colmi
di lacrime, sia soltanto un arrivederci.
A presto Edo, l’Olimpico ti aspetta.








