di Valeria Cioccolo
Una crisi demografica che diventa economica, con il rischio di coinvolgere anche gli assetti democratici. Specialmente in un territorio, quale quello orvietano, in cui è in corso da tempo uno spopolamento che sembra irreversibile, privo di futuro. È quanto emerso nel corso dell’incontro “Demografia, partecipazione e democrazia. Verso un nuovo volto anagrafico?” organizzato da Nova Civitas, gruppo di formazione ispirato ai principi della dottrina sociale della Chiesa, che ha visto la presenza di studiosi e testimoni che hanno portato saperi e esperienze importanti. “Viviamo in una realtà di calo demografico e di invecchiamento della popolazione” ha detto Suor Maria Luisa Gatto di Nova Civitas nei saluti iniziali “non guardiamo indietro per dirne i motivi che conosciamo, guardiamo a come progettare il futuro”.

Soluzioni non semplici, che si innestano su un quadro preoccupante come mostrano i dati demografici che vedono l’Umbria, e la nostra area in particolare, in un trend negativo che supera persino dell’Italia, che pure si sta avviando ad essere, insieme al Giappone, il Paese più vecchio al mondo. Lo ha ben illustrato Antonio Rossetti, Presidente del Comitato scientifico di CTS – Cittadinanza Territorio Sviluppo (www.osservatoriocts.it), intervenuto presentando i dati dell’orvietano (i grafici dell’articolo sono ripresi dal suo interessante intervento che vien gentilmente messo a disposizione per a questo link) che evidenziano come ogni anno la città perda circa 200 abitanti, con una popolazione che potrebbe scendere dagli attuali 19.300 a 16.000 nel giro di pochi anni. Non è solo una questione di numeri, ma diventa una questione con conseguenze economiche e politiche.

La crisi demografica si traduce, cioè, in una crisi degli investimenti. Con meno giovani disponibili per il lavoro, le aziende sono meno inclini a investire in nuove tecnologie e infrastrutture, limitando la crescita economica. Ciò porta a un circolo vizioso: meno investimenti significano meno opportunità di lavoro, che a loro volta portano a una diminuzione della popolazione giovane, aggravando ulteriormente la crisi demografica, conseguente diminuzione del PIL del reddito pro capite, cioè meno ricchezza anche personale. Un’economia in crescita oltre alla prosperità, tende a favorire la stabilità democratica, lo dimostrano autorevoli studi. Quando l’economia è in crisi, invece, possono emergere tensioni sociali e politiche, “calo demografico, stagnazione, crisi della democrazia sono fenomeni correlati” ha sottolineato Rossetti.
Una suggestione emersa anche nell’intervento di Danilo Breschi, professore di Storia del Pensiero politico all’Università degli Studi internazionali di Roma (UNINT) e direttore della rivista Il Pensiero Storico, che ha sottolineato che lo stretto rapporto tra demografia e democrazia è dimostrata dalla comune radice “demos”, in greco “popolo”. La composizione demografica di una società può influenzare significativamente la democrazia. I problemi includono infatti non solo la denatalità, ma anche la deurbanizzazione e il depopolamento di interi territori e città di piccole e medie dimensioni. I grandi centri urbani, tuttavia, non favoriscono la partecipazione, che si qualifica spesso attraverso la conoscenza di realtà locali e decisori.
Ma se questa è la realtà ci si può chiedere cosa la democrazia può fare per la fascia più grande della popolazione e viceversa, cosa i più anziani possono fare per la democrazia.
L’articolo 3 della Costituzione afferma che tutti i cittadini devono avere pari dignità. La democrazia è sicuramente la forma di governo più adatta a tutelare i fragili, ma anche le fasce più anziane, a loro volta, contribuiscono al processo democratico portando la propria esperienza, esprimendo un voto ponderato che contrasti gli estremismi politici, assicurando moderazione e favorendo la partecipazione, sempre a patto di non scadere nel conservatorismo eccessivo. È necessario trovare il giusto equilibrio tra generazioni, un collante che colmi la distanza tra le età, e che con il digitale può aumentare la frattura. È impensabile pensare che lo Stato possa ricucire questa distanza da solo, è necessario che ognuno si metta in gioco, lavorando per colmare tale gap attraverso la solidarietà e un dialogo proficuo.

Le due testimonianze finali sono state di un giovane Luca Petrangeli, giovane orvietano e studente di statistica a Padova e di un rappresentante politico, la sindaca di Acquapendente Alessandra Terrosi.
Petrangeli ha offerto la propria esperienza a testimonianza di come un giovane del territorio che studia e si impegna vede lo scenario presente e futuro. Ha iniziato la propria esperienza nei Grest estivi e nei gruppi giovanili di animazione parrocchiale per poi proseguire in ambito universitario fino a impegnarsi politicamente. In un’epoca di iper-comunicazione, ha detto, la politica paradossalmente si sta allontanando dalle persone, specialmente dai giovani. I partiti parlano per slogan, c’è molto populismo svuotato di contenuti reali e manca un pensiero approfondito. Il Covid ha lasciato, specialmente nella popolazione più giovane, problemi di isolamento e solitudine. Le difficoltà sono evidenti: un dato su tutti, le università telematiche hanno aumentato del 1000% i loro iscritti, a testimonianza delle difficoltà in questa fascia di età che spesso trova non comprensione ma critiche anche da parte della politica. Il futuro spaventa a causa dell’incertezza economica e del lavoro; i figli stessi sono visti come costi difficilmente sostenibili e ciò sicuramente non favorisce una prospettiva di ripresa demografica.
Alessandra Terrosi, sindaca di Acquapendente ha mostrato infine una buona pratica, quella di un progetto di qualificazione territoriale che ha a un piccolo borgo laziale, Trevinano, le risorse del PNRR. Un idea di crescita che non a caso ha coinvolto tutte le fasce d’età, dall’anziano al bambino, venendo incontro ai giovani che hanno scelto di restare ad abitare nel luogo di origine sobbarcandosi l’onere del pendolarismo, favorendo soluzioni abitative innovative come il cohousing, fino al potenziamento dell’infrastruttura tecnologica per lo smart-working e molto altro. È comunque necessario, ha detto la Terrosi, ripensare la retorica delle Aree interne e dei piccoli borghi come luoghi idilliaci in cui abitare. Se un territorio non ha servizi sanitari, possibilità di garantire istruzione, infrastrutture fisiche e digitali adeguate, un bel paesaggio non basta. Bisogna uscire anche dalla logica di finanziamenti straordinari, quale quelli del PNRR, e cercare di creare reti di soggetti diversi, imprenditoriali, pubblici, del terzo settore, che siano consapevoli e responsabili, che sappiano mettere in gioco risorse stabili, progetti di ampio respiro.
Cosa fare per il futuro? In una realtà come quella del nostro territorio c’è bisogno di un forte raccordo tra le parti, per lo sviluppo e la crescita servono coraggiose scelte politiche e investimenti in infrastrutture, formazione, sanità, incrementando la produttività attraverso l’uso di tecnologie avanzate e intelligenza artificiale che sviluppino settori ad alto moltiplicatore, ma avendo sempre a cuore le persone che di queste politiche sono il fine, non il mezzo. “Quale volto avrà la democrazia un domani non lontano? – si è chiesa Suor Maria Luisa Gatto in conclusione – una democrazia che rifletta una nuova situazione demografica, che risponda a sfide nuove, a nuove idee, progetti e progettualità, desideri e speranza, coinvolgimento … nonostante i numeri, che possono anche cambiare se la politica inverte la marcia”.
Il prossimo incontro conclusivo del ciclo formativo 2024-2025 si terrà il 24 maggio con un incontro dedicato a “Comunicazione e Intelligenza artificiale. Quale democrazia?”, aperto a tutti con crediti per i giornalisti.








