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Home Cronaca

In ricordo di Terzo …

Redazione by Redazione
27 Aprile 2025
in Cronaca, Secondarie, Archivio notizie
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Quasi due generazioni mi separano da Terzilio Sciarra, eppure per quel poco che ho percepito, la sua visione di Orvieto e nella fattispecie dei suoi antri sotterranei, è stata certamente più lungimirante della mia, da sempre impegnato nel “classificare” la città con rigore scientifico nei suoi infiniti risvolti archeologici, come d’altronde il mio lavoro impone. Terzilio vedeva invece le proprie “cantine”, parallelamente al loro banale utilizzo, come luogo di fascino sopito, di storie di artigiani che si rincorrono nel madido tufo come tra i “gomitoli di strade”. Quando Terzilio acquista la propria abitazione in quel ribollir di vita non è certamente a conoscenza di quel mundus sotterraneo celato dal torpore dei secoli, di cui calpesta solamente la punta dell’iceberg, indaffarato nel proprio tempo come zelante oste di una clientela chiassosa e bisognosa di ristoro e divertimento.

Prima osteria, poi anche piccolo bocciodromo e infine trattoria, aperta in quelle ore serali in cui gli umbri rincasano e una delle dannunziane “città del Silenzio” si compie sotto gli occhi dei militari in libera uscita e in cerca di spasso. Tra di loro Pier Vittorio Tondelli: «Ci troviamo ora ogni sera di libera uscita per pranzare in qualche osteria noi due soli, da Sciarra, alla Gitana, alla Mezzaluna, all’Orso Bianco, all’Oste Secco. […] La sera prima da Sciarra, gli ho detto che gli volevo molto bene, che gli ero affezionato e che l’amavo».

L’osteria è un fluire di vita e Terzilio è conscio di dover creare nuovi spazi, sia per la clientela che per le conserve, e subentra in lui la consapevolezza che in una città ancorata sul masso, tra case aggruppate, gli spazi orizzontali sono rari; conviene quindi scendere verticalmente e vertiginosamente nelle profondità, dove sembra che il tempo abbia celato antiche stanze e labirintici percorsi. Si scava dunque! E la fatica è ripagata dalle basse temperature per le conserve e perché no anche da un risparmio nell’acquisto di nuovi spazi “di sopra” essendo questi comodamente collegati con quelli “di sotto” già presenti.

Avevo otto anni ed ero solito vagare nei vicoli e nel “campetto del prete” di S. Giovenale con i miei coetanei – con i palloni oramai in plastica e fionde in metallo nuove di pacca industriale, anche se tuttavia ancora liberi dal web e dal “globale”- quando nel quartiere medievale giunse voce che Terzilio Sciarra aveva rinvenuto un “tesoro”. Solo con il tempo e lo studio capii che quel tesoro non era pecuniario ma culturale, e che una finestra aperta nei secoli da un semplice privato avrebbe ispirato altri (anche Enti Pubblici) a fare lo stesso, valutando l’immenso valore fruitivo di Orvieto città narrante.
La genialità e la passione di un uomo e di una famiglia è ancora racchiusa in quello scrigno di valori identitari dove si continua a mangiare, bere, comunicare e soprattutto visitare, e dove l’Avvento ogni anno ha una narrazione fedele e coinvolgente, che scioglie le riserve anche di chi viene dall’altra parte del mondo bisognoso di un caldo focolare “con le sue quattro capriole di fumo”.

Ho frequentato il Pozzo della Cava da bambino per decenni, quando i nonni consumavano un caffè prima di scendere allo  storico Circolo della Cava, e poi da studente archeologo, e ho sempre trovato in Terzilio quell’affetto che riservava agli “scugnizzi” cresciuti alla Cava. Aveva storie di personaggi e macchiette popolari del quartiere per ogni età, non celando anche quelle osé, raccontate con ironia, eleganza e un certo imbarazzo abbassando spesso il tono della voce al clou comico della vicenda per non scandalizzare i turisti presenti. Uomo appassionato e acuto osservatore, alla ricerca di quei significati ancora celati nel ventre di una “città infinita” e che sotto i propri piedi di oste vibrava ansiosa di uno squarcio di luce filtrante dalle strade.
I tempi erano oramai difatti maturi per nuovi “assaggi” e “intromissioni” negli aggrottamenti rupestri che aggrottano a loro volta anche la fronte di chi impegna le proprie risorse per raggiungere quel sopito fascino. Nel frangente 2019-2020, in piena pandemia, le attività si fermano, e mentre il mondo naviga incerto, Terzilio al contrario non “perde le staffe” e prosegue gli scavi in altre cavità vicine allo storico percorso.

Vengo allora incaricato dal Ministero della Cultura e dalla famiglia Sciarra per la curatela scientifica delle emergenze archeologiche rinvenute, impegnando per mesi una schiena già protrusa da anni di scavi a servizio di un progetto ritenuto “folle” da tutte le maestranze impiegate ma che lo stesso Terzilio chiamava banalmente “lavoro”, apostrofandoci con la consueta: «Può un virus spaventare me che ho fatto il dopoguerra?».
Lo scavo realizzato interamente a mano, con impalcature paraboliche, articolati ponteggi e rampe mobili automatizzate ha restituito un nuovo fiore all’occhiello del patrimonio sotterraneo che sarà presto visitabile e che parla della genialità di un uomo che ha aperto a tutti noi le proprie “cantine” come il proprio cuore, ricordandoci dell’enorme patrimonio che ci sostiene, cui tutti siamo chiamati a difendere non solo con Leggi Speciali ma con il proprio affetto identitario. In qualsiasi posto tu sia, so che hai già preparato per me gli attrezzi da scavo……come facevi in quelle fredde mattine di febbraio….., prendendomi in giro di fronte ad ignari turisti che chiedevano cosa avessimo trovato mai di tanto interessante sottoterra e a cui rispondevi di fronte a me con la consueta ironia: «Tante belle cose! Ma avrei bisogno di un archeologo che me le sapesse spiegare!».

Francesco Pacelli

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