Maria e Giuseppe, “pellegrini di speranza” al tempio di Gerusalemme, lungo la strada di ritorno a Nazaret, dopo una giornata di viaggio, si mettono a cercare Gesù, ormai dodicenne, tra i parenti e i conoscenti, ma si accorgono che non è nella comitiva (cf. Lc 2,41-52). Non trovandolo provano una grande angoscia, che li costringe a tornare indietro, con il cuore in gola ma senza salire sul “carro” dell’ansia. “Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava” (v. 46). Maria non si fa scrupolo a intervenire con mite fortezza, chiedendo: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo” (v. 48). Gesù, con disarmante semplicità, risponde: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (v. 49). Maria e Giuseppe – annota l’evangelista Luca – “non compresero ciò che aveva detto loro” (v. 50).
Di questo mistero gaudioso colpisce il fatto che la Madre di Gesù, nella sua sollecitudine materna, non esita a “fischiare un fallo” al Figlio suo. Sollevando il cartellino giallo, lo ammonisce con la sapienza di chi sa dire “no” con la stessa dolcezza del “sì”. Nelle parole di Maria rivolte a Gesù, anche a nome di Giuseppe, risuona l’eco di una stretta alleanza educativa. Significativo, al riguardo, è un particolare dell’affresco – eseguito tra il 1500 e il 1501, conservato nella parete di destra della Cappella Baglioni, o Cappella Bella, nella Chiesa Collegiata di Santa Maria Maggiore a Spello (Pg) – che raffigura la disputa di Gesù con i dottori del tempio; il Pinturicchio fissando il particolare del ritrovamento, mostra Maria intenta, con la mano destra, a frenare Giuseppe che vorrebbe intervenire subito e con maggiore energia.
Fratelli e sorelle carissimi, nella crescita dei figli “in sapienza, età e grazia” (cf. Lc 2,52), non sono previste le “rotatorie” ma gli “stop”! Purtroppo, al di fuori dei campi da gioco, non c’è più chi fischia i falli, nemmeno i genitori, che spesso esitano a mettere paletti chiari rispetto agli orari, all’uso dei dispositivi digitali e quant’altro. Emerge sempre di più la problematica del genitore che si mette alla pari con i propri figli, rinunciando al carattere asimmetrico della relazione educativa. I figli non hanno bisogno di “genitori amici” ma di adulti che sappiano reggere il peso del proprio ruolo, non solo sul piano delle necessità materiali, ma anche su quello pedagogico. Le troppe concessioni legate, ad esempio, all’eccesso di presenza in rete, alimentano la precocità sessuale e danneggiano la tenuta psichica; il disagio è fatto di ansia, depressione, autolesionismo, disturbi alimentari, ritiro sociale. “Questa evidenza empirica – osserva Luca Ricolfi, sociologo e saggista – impone ai genitori di essere più attenti a quel che i figli fanno online, meno ossessivi su quello che fanno offline”.
“La famiglia – lamenta Paolo Crepet, psichiatra, sociologo e saggista – è in frantumi. Questo è avvenuto perché non parliamo più. Abbiamo scambiato i soldi con le parole. Una volta si parlava e non c’erano i soldi. Oggi ci sono i soldi ma non si parla più. Un padre non sa dove è suo figlio, di 14 anni, cosa fa dopo le ore 21. Non sa quanti cicchetti stia bevendo, non sa se consuma cocaina, non sa se fa sesso con una tredicenne. Semplicemente non sa. I contesti casalinghi sono protettivi per cose di secondo piano e meno su temi importanti (…). Fare la foto con un figlio è semplice, fare il genitore è più complicato”. “Un momento privilegiato di dialogo e di ascolto in famiglia – raccomanda Papa Francesco – è quello dei pasti. È bello stare insieme a tavola e parlare (…). Qualche volta succede di non capirci; quando capita chiediamoci: ci siamo ascoltati a vicenda o ci chiudiamo nel mutismo, a volte nel risentimento, nell’orgoglio?”.
San Giuseppe, “uomo giusto”, maestro della “pedagogia del silenzio”, ci insegni a non sprecare il fiato che serve a fischiare i falli, come ha fatto Maria sua sposa, sollevando il cartellino giallo e non quello rosso, a portata di mano di chi si limita ad alzare la voce, piuttosto che il tono. San Giuseppe, “sposo di Maria”, educatore dal cuore integro, ci aiuti a non essere né possessivi, né protettivi e nemmeno remissivi o, al contrario, ossessivi. L’affetto è, per così dire, un affitto: se possessivo è oneroso, se protettivo è dispendioso, se remissivo è gravoso, se ossessivo è esoso. Solo se oblativo è gratuito. San Giuseppe, protettore della Chiesa universale, benedica la città di Orvieto, chiamata a tenere la disciplina spirituale della “casa di Nazaret”, per “preparare la via” che conduce a condividere la gioia grande di celebrare il XXVIII Congresso Eucaristico Nazionale.
+ Gualtiero Sigismondi
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