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Home Cultura

La fortuna della città di Orvieto “verso una nuova cultura del turismo”

Redazione by Redazione
24 Marzo 2025
in Cultura, Secondarie, Archivio notizie
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(Pier Augusto Breccia)

di Mirabilia Orvieto

Giunge notizia che ad Orvieto fa visita la famosa medaglia inaugurale del Pozzo di San Patrizio, di un anonimo collezionista. Già nel 2016 venne esposta a Viterbo, nella sala delle conferenze della Prefettura, quando la professoressa Alba Stella Paioletti Maffei presentò al pubblico la guida “Il Pozzo di San Patrizio a Orvieto” della società editrice Mirabilia.

Un suggestiva rivisitazione del passato o uno sguardo al futuro? Prima di rispondere è utile osservare ciò che è rappresentato sulla moneta, coniata da Benvenuto Cellini. Sul fronte reca il profilo di Clemente VII, mentre sul retro l’episodio biblico di Mosè che, con le sembianze del Papa, percuote col bastone una roccia del deserto affinché ne esca l’acqua necessaria al popolo assetato! Siamo nel 1534, il 25 settembre, quando a opera non ancora ultimata Clemente VII moriva senza poter vedere compiuta l’impresa architettonica che, con tanta determinazione, aveva voluto. Per onor di cronaca va detto che, consapevole della sua fine, addirittura tre giorni prima di morire – come il Cellini narra nella sua Vita – Clemente VII aveva voluto vedere i coni.

A lui si deve l’idea di costruire un’opera mai vista prima, il Pozzo di San Patrizio, costruito da Antonio da Sangallo il Giovane tra il 1527 e il 1537 per fornire d’acqua la città in caso di calamità o assedio. Una città che alla sua venuta versava già in cattive condizioni, come risulta dalle cronache del tempo. Quando, dopo il sacco di Roma, il papa mediceo venne a rifugiarsi ad Orvieto nel dicembre del 1527, la città era così decadente, malmessa e in uno stato di grande indigenza che, raccontano le testimonianze di alcuni ambasciatori inviati nel 1528 da Enrico VIII, neanche al pontefice poté rendere i dovuti onori: “Il Papa – si legge nella cronaca – se ne sta rinchiuso in un vecchio palazzo dei Vescovi di questa città, malridotto e decadente…e nella camera da letto del Papa le suppellettili, cioè il letto e tutto il resto, non potevano valere più di venti nobili“.

Presentazione della medaglia sul Pozzo di San Patrizio

In tale triste miseria nasce il Pozzo della Rocca, poi detto di San Patrizio, una “meraviglia” per il riscatto della città. L’opera doveva essere un segno di buon auspicio, come si evince dal mito greco di Pegaso che, colpendo la dura roccia con lo zoccolo, come Mosè fa scaturire l’acqua della fonte Ippocrene, simbolo di vita, di cui si nutrono le Muse, immagine della ‘creatività’ e della ‘memoria’. Un messaggio senza tempo che sicuramente il Papa e l’architetto Antonio da Sangallo, cultori del sapere umanista, conoscevano molto bene. L’intento era quello di risollevare le sorti di una città ormai logorata e stanca, attingendo all’ingegno, frutto della sapienza costruita nel tempo, e alla fantasia umana: è quanto si legge nell’iscrizione incisa sulle due lapidi poste sulle porte di entrata e di uscita del Pozzo: QUOD NATURA MUNIMENTO INVIDERAT INDUSTRIA ADIECIT, “Ciò che la natura aveva negato per la difesa l’artificio aggiunse“.

E in questo, che fece subito ritenere il pozzo “cosa ingegnosa, comoda e di meravigliosa bellezza” – così lo definisce il Vasari nelle sue Vite – consiste la vera originalità dell’architetto e del manufatto. Ma Antonio da Sangallo si preoccupò  non solo dell’aspetto pratico del Pozzo, ma anche di quello simbolico. Ma cosa rende oggi il Pozzo molto più di un attrazione turistica? A tentare di spiegarlo è il confronto con il libro più celebre del mondo: Le avventure di Pinocchio.

Non resta allora che identificarsi nel Pozzo di Orvieto e percorrere fino in fondo la vertiginosa scala elicoidale per scoprire che è come entrare nel ‘ventre’ di una Balena dove si fa l’esperienza insolita e sorprendente che “la verità – diceva un antico proverbio – è in fondo al pozzo“. Come la favola di Pinocchio, entrata ormai nel nostro immaginario collettivo, il capolavoro d’ingegneria rinascimentale si trasforma improvvisamente in quel graduale processo di evoluzione e di progresso, emblema della cultura e della civiltà europea, sperimentato direttamente dall’indimenticabile protagonista di Collodi. Al termine di tante vicissitudini, il burattino viene addirittura ingoiato dal terribile pesce-cane, un mostro marino “più grosso di un casamento di cinque piani, con la bocca spalancata come una voragine… così larga e profonda che ci passerebbe comodamente tutto il treno della strada ferrata colla macchina accesa”. Il suo corpo è “più lungo di un chilometro, senza contare la coda“, insomma uno spettacolo che “avrebbe fatto paura anche a vederlo dipinto“.

Pinocchio nel ventre della Balena

Ma ecco che lo sventurato Pinocchio, sull’orlo di essere digerito dallo stomaco della Balena, riesce invece ad uscire dall’animalesca voragine trascinando con sé il suo amato Padre che, dopo essere stato anche lui divorato, viveva ormai rassegnato alla sua drammatica sorte, al tenue chiarore di una candela. Qui avviene il ‘miracolo’ della vita, una vera e propria metamorfosi esistenziale, dove il burattino, e cioè il non-uomo, risorge dal quel ventre oscuro della sua esistenza, della sua infanzia e della sua storia, fatta di bugie e di inganni, per diventare finalmente un bambino vero, e cioè un uomo adulto.

Molti storici e letterari hanno paragonato il nostro Pinocchio al mito di Giona, l’anti-profeta biblico che fuggiva da Dio e dalle sue responsabilità: entrambi sono divorati da un mostro marino (che casualmente molti identificano come una balena!), ma anziché venire digeriti, i due protagonisti si ritrovano non solo salva la vita ma sono anche maturati nel pensiero e nelle azioni, e quando escono non vi è più traccia della persona che un tempo erano. Il Pesce-cane di Pinocchio, così come il mostro di Giona, non sono altro che ‘il Pozzo della Vita’ in cui è possibile trovare la redenzione di una rinascita perché è solo lì, sotto le rocce quaternarie della nostra dimenticanza e della nostra sterile staticità, vincendo paure e resistenze, che sgorgano le dolci e fresche acque della vita.

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