“Quando vennero a prenderci i militi del battaglione M, a me che avevo 9 anni, a mia sorella che ne aveva qualcuno in più e a mia madre, per portarci a vedere il babbo sottoposto al “giudizio” dei tedeschi e dei fascisti, che lo avrebbero condotto a morte, ci fecero sfilare col fucile puntato contro, da casa nostra fino a Palazzo Valentini, luogo del processo farsa. Al nostro passaggio, tutte o quasi le saracinesche dei commercianti orvietani si abbassavano, forse per vergogna, chissà, magari la loro, non certo la nostra (…)”.
Con questo incipit Ines Stornelli, figlia di Ulderico, trucidato in loc. Camorena il 29 marzo 1944 assieme ad altri sei compagni, iniziò a raccontarci una serie di aneddoti familiari che inevitabilmente si intrecciavano con le vicende del nostro territorio durante il ventennio fascista, la guerra e le gesta di coloro che si opponevano al regime, sognando un futuro di libertà. Futuro che fu tolto loro per mano di una ventina di fascisti, tutti provenienti da Orvieto e paesi limitrofi, che in nome del loro duce e della loro miseria umana, si contesero la possibilità di vestire i panni del boia. Nell’immediato dopoguerra, un altro processo farsa, questa volta a carico dei componenti del plotone di esecuzione, non consentì di “(…) individuare con certezza gli esecutori materiali (…)”. nonostante i nomi e i cognomi dei fucilatori dei sette civili fossero ben noti ad Orvieto e in tutta l’Umbria, persino pubblicati sui giornali.
Quasi venti anni fa, con il supporto del mai dimenticato Giulio Montanucci e il contributo dell’autore Cesare Corradini al quale si deve il primo lavoro di ricostruzione degli eventi dell’eccidio di Camorena, abbiamo riportato Ines ad Orvieto per la prima volta in un contesto pubblico, dopo che la sua famiglia decise di emigrare in seguito ai tragici eventi, trovandosi a vivere in una città, la nostra, incredibilmente ostile, perché – parole di Ines – “(…) la gente ci guardava strano, perché eravamo le figlie di un fucilato (…)”.
Da allora, nella ricorrenza dell’eccidio e in tante altre occasioni, abbiamo messo in contatto Ines e i suoi familiari con le istituzioni locali, con studenti e docenti, con ricercatori e storici che a loro volta hanno potuto così approfondire e conoscere i fatti dalla testimonianza diretta.
Abbiamo avuto la fortuna di stringere con Ines un legame intenso, che spesso e volentieri è divenuto quasi familiare, sia nelle dinamiche tra noi, sia nel coinvolgimento della figlia Patrizia e della nipote Serenella, che a loro volta ci sono state vicine nelle iniziative pubbliche e non solo. Siamo andati ogni volta insieme al cimitero a salutare Ulderico, che in punto di morte si raccomandò di non far mancare mai garofani rossi sulla sua tomba, e l’abbiamo sempre accompagnata alla celebrazione istituzionale al cippo dei Sette Martiri; spesso malvolentieri da parte nostra, a causa di una retorica celebrativa che non serve a niente, talvolta praticata da amministratori eletti anche con i voti dei neofascisti, che non a caso hanno difficoltà ancora oggi a parlare di Liberazione dal nazi-fascismo utilizzando vigliaccamente l’espressione “dal totalitarismo”.
Ma Ines, memore di quelle saracinesche orvietane che si abbassarono tanti anni prima al suo passaggio, a noi che la sconsigliavamo di andare al cippo per la ricorrenza istituzionale ci ha sempre detto: “(…) sarà pure come dite voi, ma a me, finché potrò, questi qui mi dovranno vedere sempre, piaccia loro o meno.”
Ines Stornelli ci ha lasciato ieri, e l’unico rammarico che abbiamo è quello di averla incontrata troppo tardi. Domani parteciperemo ai suoi funerali e le renderemo quel garofano rosso che lei si mise all’occhiello, come da accordi presi al telefono, per poterci riconoscere al suo arrivo alla stazione di Orvieto. Per la fretta e l’emozione però, io me lo ero dimenticato, rimediando così il primo di una lunga serie di “rimproveri” da parte sua. Ciao Ines, grazie di tutto.
Mirko Pacioni, Comitato Cittadino Antifascista di Orvieto.