di Dante Freddi
In quegli anni, siamo alla fine del Novecento, gli orvietani avevano un sogno, che sembrava dovesse seguire naturalmente e riempire di attività e fervore culturale quel Progetto Orvieto che aveva restaurato la Rupe e i monumenti della città. Trecento miliardi dello Stato che non sarebbero arrivati di nuovo, che bisognava mettere a reddito, anche culturale.
Orvieto era una città rinnovata che aveva l’ambizione di riempirsi di ricchezza formativa da diffondere tra e sulla propria popolazione. Si sentiva la voglia di crescere, perché c’erano le condizioni, la bellezza era intorno a noi e andava regalata ai giovani della città insieme alla cultura che emanava e a quella che poteva venire da fuori, dagli scambi con altri, con altre aspirazioni, conoscenze, esperienze.
Nel 1998 venne fondato il DUIT, Diploma universitario in ingegneria delle telecomunicazioni, presidente lo straordinario nostro concittadino Eugenio Fumi, proprietario dell’Itelco. Dalla sede nel convento delle suore di san Paolo, nel Duemila divenne una Fondazione di partecipazione a cui aderirono Comune di Orvieto, Provincia di Terni, Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto e Camera di Commercio di Terni e si attivò il Corso di Laurea triennale in Ingegneria Informatica e delle Telecomunicazioni dell’Università degli Studi di Perugia (2001-2011), dove hanno conseguito la Laurea 181 studenti.
Dal 2002 si allargò il ruolo e venne aperto anche un master di architettura in Valorizzazione dei centri storici minori. Già dal 1999 al 2012 era stata attivata la Scuola di Specializzazione in Psicologia della Salute dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza (corso post laurea di durata quinquennale), diretta dal Prof. Mario Bertini, eminente figura della disciplina a livello internazionale.
Il progetto complessivo era quello di fare di Orvieto una città universitaria in àmbiti educativi all’avanguardia, come, tra gli altri, quello dell’ingegneria informatica e delle telecomunicazioni.
L’idea del decentramento universitario all’inizio del Duemila venne però abbandonata a livello nazionale e quella spinta orvietana si trascinò poi faticosamente, nonostante i tentativi di aprire nuovi spazi all’attività del Centro Studi. La crisi fu chiara e certificata nel 2013, quando si dimisero tutti i membri del Consiglio di Amministrazione del Centro studi, presieduto da Roberto Pasca di Magliano, ordinario di Economia Politica alla Sapienza, nominato dal Sindaco Antonio Concina, e l’Amministrazione nominò un cosiddetto “Comitato dei saggi” per studiare quale sarebbe potuto essere il futuro della Fondazione, oppressa dai debiti e in crisi d’identità. Venne deciso, nonostante forti spinte da destra per la chiusura del Centro, che si poteva tentare una rivitalizzazione, percorrendo la strada dell’Alta formazione, dei sacrifici, della fantasia. Sostenitori decisivi della ripresa delle attività furono Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella. Per ricominciare venne nominato presidente Eugenio Fumi. Seguirono Matteo Tonelli e Liliana Grasso, ormai scaduta nel settembre 2023 e procrastinata fino alla nomina del nuovo Consiglio di Amministrazione.
In questo mesi, sottotraccia, si sta di nuovo ragionando su che fine farà il Centro Studi. Se ne parla dove si decide e non certo tra gli orvietani, che non sanno nulla o soltanto quanto trapela e soltanto gli interessati.
A margine riporto la prima pagina del Comune nuovo del 1981, perché ricorda come quella visione culturale avesse radici lontane e fosse condivisa oltre le barriere politiche. Tutti furono d’accordo su “I luoghi della Cultura”, in cui l’Amministrazione comunale, sindaco da alcuni mesi Franco Raimondo Barbabella, lanciò un progetto che riguardava la riorganizzazione dei musei, ma anche delle strutture che attendevano la ristrutturazione, come il Teatro Mancinelli e il Palazzo dei Sette, a cui successivamente si sono uniti il Palazzo del Capitano del popolo e Palazzo Simoncelli.
Furono coinvolte tutte le Istituzioni, le scuole, il Provveditorato agli studi, la città. La storia sommaria che ho tentato di ricostruire, al di là di responsabilità che ci sono state, ci lascia con due certezze: che il peso dei debiti è diventato insopportabile e che l’aspirazione che si potesse risolvere soltanto con i sacrifici non ha prodotto i risultati sperati. Non conosco soluzioni facili o possibili, ma se è rimasto anche un barlume di quella tensione che reclamava l’apertura di Orvieto e del suo territorio alla Cultura, allo scambio, all’arricchimento, alla crescita, se c’è ancora quell’aspirazione, almeno dovrebbe farsi un ragionamento serio, onesto, faticato, animato dal tentativo di trovare nuove soluzioni, come l’ITS (Istituto tecnico superiore) o la gestione complessiva delle attività culturali e di ricerca della città, non dalla voglia di chiudere o da quella di mantenere in agonia la Fondazione Centro Studi. Chi decide dovrebbe coinvolgere la cittadinanza.