Si è tenuta domenica 10 novembre, la festa della Dedicazione della Cattedrale di Orvieto. Dopo i Secondi Vespri della Dedicazione, il Vescovo Gualtiero Sigismondi ha presieduto la celebrazione eucaristica a cui hanno preso parte il Capitolo della Cattedrale e il Clero diocesano, mentre la Corale della Cattedrale “Vox et Jubilum” ha guidato i canti. Di seguito è riportato il testo integrale dell’omelia tenuta dal Vescovo.
“Non fate della casa del Padre mio un mercato!” (Gv 2,16): con questo monito Gesù manifesta il suo “zelo” per il tempio di Gerusalemme, ridotto a mercato (cf. Gv 2,13-25). La parola “zelo” traduce il termine greco “zèsis”, che significa ebollizione, indica ardore, fervore, furore, fremito delle viscere (cf. 1Mac 2,24). Lo zelo di Gesù evoca il contrasto tra tempio e casa, tra religione e fede che, secondo le Scritture, si consuma nei santuari (cf. Ger 7,1-15). “Che vantaggio può avere Cristo – avverte san Giovanni Crisostomo – se la mensa del sacrificio è piena di vasi d’oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero?”.
“Non fate della casa del Padre mio un mercato!”: la liturgia della Parola ci invita a custodire e meditare questo insegnamento di Gesù nel giorno che ricorda la dedicazione della nostra Cattedrale, imponente impresa architettonica nobilitata dall’arte, ricca di storia sacra, ispirata dall’amore che edifica (cf. 1Cor 8,1). In molti hanno preso parte alla sua costruzione, senza riuscire a vedere la chiusura del cantiere, rimasto nei secoli in allestimento permanente. Lo “zelo” ha “infiammato” architetti, artisti e maestranze persino nella realizzazione della facciata, spesso rimasta incompiuta in imprese analoghe. Il suo complesso programma iconografico, sintetizzato dal rosone ove tutto converge e da cui tutto scaturisce, esercita una grande forza di attrazione e spinge a varcare il portale maggiore che, oltre ad accostare il romanico al gotico, associa il mistero di Cristo, “porta delle pecore” (cf. Gv 10,7), a quello della Vergine Maria, “porta regale”, “porta felice del cielo”. La statua della Madre di Dio, posta al centro del gruppo marmoreo e bronzeo della Maestà – eretto davanti alla lunetta –, sembra portare il peso di tutta la costruzione, invitando chiunque si avvicini alla soglia a “ingredere ut adores”.
Facendo memoria del “giorno in cui il Signore ha riempito della Sua presenza questo luogo a Lui dedicato”, siamo invitati a oltrepassare il segno esteriore dello spazio liturgico e a scorgere in esso, senza facili entusiasmi né cupi pessimismi, la casa della Chiesa, ravvivando la gioia di esserne “pietre vive” (cf. 1Pt 2,4-5), “scolpite dallo Spirito”, non sconnesse. L’armonia della concordia è qui raffigurata dall’arte e dall’architettura che, a giudizio di Romano Guardini, “collaborano alla liturgia, fanno strettamente parte di essa”. Nel “messaggio di Orvieto” Paolo VI precisa che “il mistico linguaggio dell’artista cristiano vorrebbe parlare delle cose divine, così come vorrebbe parlare a Dio delle cose umane l’umile e potente sua voce d’interprete d’un popolo forte e fedele”.
Fratelli e sorelle carissimi, questa casa di preghiera è solo un simbolo: la realtà siamo noi, convocati “tutti insieme nello stesso luogo” (cf. At 2,1) per incontrare Cristo e per proiettarci nella storia, riconoscendo le sfide e le opportunità che interpellano la Chiesa, passata “da un cristianesimo sistemato in una cornice sociale ospitale a un cristianesimo di minoranza, o meglio, di testimonianza”. “Questo richiede – avverte Papa Francesco – il coraggio di avviare quelle trasformazioni pastorali che riguardano le consuetudini, i modelli, i linguaggi della fede, perché siano realmente a servizio dell’evangelizzazione”. “La chiamata alla conversione – osserva il Documento finale dell’Assemblea sinodale appena conclusa in Vaticano – è contemporaneamente chiamata alla missione”.
Non è possibile immaginare nuove forme di presenza pastorale, “con un ancoraggio territoriale più dinamico e flessibile”, senza promuovere la cultura dello “stupore eucaristico”, sorgente ispiratrice dell’edificazione di questa Cattedrale, centro irradiante dell’unità della nostra Chiesa particolare. L’altare – “pietra scelta ed eletta” che domina questo tempio inondato di luce dall’alba fino al tramonto – è davanti ai nostri occhi quale perenne appello alla comunione, significata e prodotta dall’Eucaristia, e alla missione affidata dal Risorto ai suoi discepoli, assicurando loro: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).
“Quanto sono amabili le tue dimore, Signore degli eserciti! L’anima mia anela e desidera gli atri del Signore” (Sal84,2-3). Questa lode del Salmista, “pellegrino di speranza” verso la Città santa, apra le nostre labbra ogni volta che saliamo in Cattedrale e ravvivi in noi la consapevolezza di essere il tempio vivo e vero in cui abita lo Spirito (cf. 1Cor3,16). Egli, che secondo san Basilio “è l’armonia in persona”, “il compositore armonico della storia della salvezza”, raccolga in unità la nostra Chiesa particolare e allarghi l’abbraccio missionario della sua maternità.
+ Gualtiero Sigismondi