di Davide Orsini
I risultati delle elezioni regionali ci dicono alcune cose. La prima è evidente a tutti: il primo partito umbro è l’astensionismo, e questo dato non può essere ignorato. L’obiettivo della prossima giunta deve essere quello di ristabilire un po’ di fiducia nei cittadini che hanno deciso di rimanere a casa e di non andare a votare, stanchi della politica che parla molto ma in modo inconcludente.
La seconda questione riguarda la legge elettorale regionale che umilia la rappresentanza dei territori e favorisce l’accentramento del potere nelle mani di pochi maggiorenti dei partiti e di gruppi di interesse che si organizzano sopra le teste dei cittadini (sanità, trasporti, gestione dei rifiuti, infrastrutture, promozione turistica, e incentivi a pioggia sono piatti succulenti su cui si esercitano le peggiori speculazioni in un sistema economico sempre più povero).
La terza questione è ovviamente la sanità pubblica, preda di interessi privati e ormai vittima della rassegnazione. Ad Orvieto forse è stato proprio questo tema a fare la differenza a favore della neoeletta presidente Proietti. Sia questo un monito per chi continua ad illudersi di poter comprimere le manifestazioni di dissenso attraverso dei piccoli giochi di prestigio come l’istituzione di commissioni last minute senza veri strumenti di analisi e di intervento.
Passando alle questioni orvietane, mi pare che la flessione dei partiti che governano la città sia una spia importante, che ci segnala due cose. La prima è che l’attuale giunta ha una sua forza locale dovuta ad un sistema di potere che di fatto si è sostituito a quello precedente. Quando dico un sistema di potere, intendo una rete di interessi che gira intorno alla crisi produttiva e demografica del nostro territorio e che avvantaggia pochi (chi già dispone di risorse immobiliari e svolge un ruolo centrale nell’economia cittadina da posizioni dominanti), tenendo a bada i più (chi si accontenta di avere l’aiuola davanti a casa curata dopo una segnalazione personale all’assessore di turno). Questo è per dire che coloro che hanno votato Tardani non sono necessariamente soddisfatti di come vanno le cose ma non attribuiscono al ceto politico locale alcuna responsabilità. Per ora paga la Tesei, ma vediamo se le cose cambieranno in futuro.
Adesso la giunta Tardani non avrà una sponda in Regione. La cinghia di trasmissione si è spezzata. Vedremo se Tardani ha qualcosa da dire di suo, e se rimasta da sola e senza il dettato avrà il buon senso di capire che Orvieto ha bisogno di un programma vero che affronti i problemi reali di un territorio sempre più povero e con sempre minori servizi per i residenti.
L’ultima cosa che credo sia utile sottolineare è la questione del tanto decantato civismo, che forse andrebbe un po’ demistificato. Tutti ne parlano, tutti se ne appropriano, ma nessuno in realtà sa cosa significhi veramente. Ci sono tante interpretazioni diverse, alcune scontate e banali, altre più fantasiose ed interessanti. Ma cosa è civico, al netto delle formule magiche e degli artifizi retorici? È la libertà di scegliere da che parte stare sulla base di linee programmatiche che badano al sodo e meno all’appartenenza ideologica?
Essere civici si riduce a questo? Per me il civismo significa tre cose. Primo, in un sistema partitico come questo la selezione dei candidati non può più essere fatta solo all’interno dei circoli. Servono scelte coraggiose e mirate che sappiano pescare rappresentanti di interessi vivi dei cittadini. Stefania Proietti è una “civica” (sindaca di Assisi, che non è poco) ma non avrebbe mai potuto farcela senza l’attività dei partiti sul territorio. Essere civici significa non delegare. I comitati cittadini che in questi mesi hanno portato alla luce problemi vitali (poco rappresentati nelle sedi istituzionali) hanno dato forza e vigore a chi forse cominciava a rassegnarsi.
I partiti devono stare dove pulsa la vita. La mobilitazione dal basso e non i cenacoli autoreferenziali in cui tutto appare chiaro, razionale, autoevidente ha portato nuove energie pronte a mobilitarsi per cambiare la realtà. Chi propone soluzioni senza fare i conti con le istanze vere dei cittadini molto spesso si presta ad essere un semplice agente del mercato elettorale, passando di qua o di là nell’illusione di possedere la verità e di doverla mettere a disposizione di chi la comprende (o semplicemente del miglior offerente).
Infine, sono d’accordo con quanto scritto da Giorgio Santelli a proposito della incapacità del territorio orvietano di fare fronte comune e di sancire un patto unitario per esprimere un rappresentante in consiglio regionale. Questo dovrebbe valere per destra e sinistra. Ma credo sia più facile cambiare la legge elettorale regionale stabilendo la necessità di una rappresentanza territoriale che tenga conto delle peculiarità di ciascuna area.