di Claudio Lattanzi
Dopo quello dell’ex caserma e dell’ex tribunale, oltre ad una serie numerosa di vagoni minori, c’è un altro treno che sta per abbattersi con imprevedibile violenza sulla spaesata e inconsapevole Orvieto e ha le fattezze del nuovo corso intrapreso dalla sanità della Tuscia. Nel giro di un anno o poco più, la geografia dei servizi sanitari disseminati tra la provincia di Viterbo e l’immediato confine con l’orvietano è infatti destinata a subire profonde evoluzioni grazie al robusto rafforzamento della medicina territoriale in atto in quei comuni che, dal dopoguerra ad oggi, hanno sempre gravitato sull’ospedale e sui servizi sanitari orvietani.
Tra una manciata di mesi, arriveranno infatti a compimento gli investimenti per la realizzazione della casa di comunità di Bolsena (un milione e 400 mila euro), per la casa e l’ospedale di comunità realizzati nell’ospedale di Montefiascone (oltre quattro milioni di euro), per la casa di comunità di Bagnoregio (ampliamento da oltre mezzo milione) e soprattutto per il nuovo ospedale di Acquapendente a favore del quale sono già disponibili 37 milioni di euro. Quando tutte queste strutture entreranno in servizio, le comunità locali che oggi fanno riferimento ad Orvieto troveranno una riposta alla domanda di salute nel proprio luogo di residenza, almeno per una buona parte delle prestazioni sanitarie di base.
Per il Santa Maria della Stella potrebbe trattarsi di una riduzione di utenza molto consistente, l’ennesimo indebolimento di quei servizi che oggi continuano ad essere mantenuti proprio in virtù di quella dimensione interregionale assunta dall’ospedale, punto nascite in primis. Quanto vale per Orvieto l’utenza viterbese? Che tipo di riduzione di flussi economici ci si deve aspettare dall’attivazione delle nuove strutture? Quanto e in che in misura l’ospedale e la casa di comunità che si è sciaguratamente scelto di ubicare in piazza duomo, potranno fronteggiare questo rafforzamento della sanità viterbese?
Queste domande dovrebbero porsele i consiglieri comunali di Orvieto e dovrebbero rappresentare un assillo per chi governa la città. A questo quadro si deve aggiungere anche l’investimento da circa 60 milioni che la Regione Umbria effettuerà nel giro di pochi anni per costruire il nuovo ospedale di Narni-Amelia per il quali si ipotizza in particolare un focus nel settore dell’ortopedia. Il nuovo contesto impone in tempi rapidi una riflessione sul ruolo che il Santa Maria deve svolgere nel futuro e che presuppone una forte e chiara scelta politica da parte della prossima giunta regionale, verosimilmente all’insegna del marcato interregionalismo.
Probabilmente sarà necessario un colpo di reni per evitare l’ennesima penalizzazione nei confronti di una città il cui ceto politico continua a rifuggire ogni analisi strategica e ogni politica basata per davvero e non a parole sul concetto di area vasta, per continuare a guardare con la fissità dell’inconsapevole solo al modello fragilissimo del villaggio turistico. “Cultura significa investire sulla propria comunità, non solo sul turismo” ha detto pochi giorni fa il direttore di Federculture Umberto Croppi; significa anche capire ciò che si muove intorno a noi, precorrere i tempi e non tenere lo sguardo rivolto solo in una direzione, con l’atteggiamento rassicuratorio di chi si ostina a non voler prendere in considerazione tutto il resto. Tutto il resto è fatto da tante cose, comprese quelle che il centrodestra orvietano, eccezion fatta forse solo per Pier Luigi Leoni, non ha mai capito in fondo come, ad esempio, il Centro studi ed il suo enorme valore economico e strategico che parla di futuro. E non solo di turismo.