La notizia relativa all’intenzione del Mediocredito Centrale di mettere sul mercato la quota di sua spettanza della Cassa di Risparmio di Orvieto SpA, arrivata a pochi giorni di distanza dalle rassicurazioni alle Istituzioni pubbliche di un progetto di crescita e di sviluppo della Cassa, ha certamente generato incredulità per una cessione, da una parte, e preoccupazione, dall’altra. Purtroppo, non è la prima volta.
La Cassa ha già cambiato, nel corso degli ultimi 15 anni, ben quattro soci di maggioranza (Banco di Roma, Cassa di Risparmio di Firenze, Banca Popolare di Bari, Mediocredito centrale).
Si è, subito, chiesto cosa farà la Fondazione e, soprattutto, perché non abbia aderito all’ultimo aumento di capitale. Si ritiene allora opportuno fornire ulteriori chiarimenti sulle ragioni per cui la Fondazione, valutando attentamente – nei vari consessi e con l’assemblea dei soci – tutti i pro e i contro di una possibile adesione all’aumento di capitale della conferitaria, abbia scelto consapevolmente di non partecipare a un aumento che non ha mai condiviso nelle modalità e nei termini di esecuzione, tanto che ne è stata impugnata la delibera.
Una volta subentrata la Banca Popolare di Bari, vengono effettuate due ricapitalizzazioni della Cassa. La prima è del 2009 e vede impegnata la Fondazione con un conferimento in denaro di 4,4 milioni di euro. La seconda è del 2011, dopo aver rinunciato a una opzione di vendita della propria partecipazione in CRO SpA (con obbligo di acquisto da parte della Banca Popolare di Bari) a un prezzo prefissato fra 35 e 40 milioni di euro (convertita in un non comprensibile e svantaggioso mandato a vendere, con 5 milioni di penale in caso di mancata esecuzione del contratto). Il conferimento richiesto alla Fondazione, in questa seconda capitalizzazione, è decisamente più importante, 13 milioni di euro in denaro, mentre il socio di maggioranza apporta per la quota di spettanza unicamente sportelli (alcuni doppioni, poi chiusi), il cui valore di perizia viene successivamente svalutato con perdite per la Cassa di Risparmio di Orvieto per circa 40 milioni di euro. Da qui la mancata erogazione di dividendi e la svalutazione della partecipazione detenuta in CRO SpA per oltre 10 milioni di euro.
Tutto ciò ha generato un consistente impoverimento del patrimonio della Fondazione, con una rilevantissima, e irrimediabile, diminuzione della capacità erogativa sul territorio. La Fondazione, oggi, deve gestire in modo attento le proprie ridotte disponibilità per arrivare a ottenere rendimenti minimamente adeguati allo svolgimento della propria mission, ma non certo sufficienti a garantire nel tempo la conservazione, in termini reali, del patrimonio. D’altronde la storia ci insegna come alcune Fondazioni abbiano perduto in gran parte, se non tutto, il loro patrimonio per dare seguito alle richieste di aumento di capitale delle rispettive conferitarie.
Investire ulteriori 7,2 milioni di euro avrebbe portato l’impegno complessivo della Fondazione nella Cassa Risparmio di Orvieto SpA a un valore complessivo di circa 30 milioni (considerando il conferimento inziale), ossia metà del patrimonio oggi posseduto. Un investimento finanziariamente non sostenibile e infruttifero, attesa la mancanza di dividendi da parte della conferitaria e l’assoluta incertezza di riceverli in futuro, che avrebbe determinato un’ulteriore contrazione della capacità erogativa annuale della Fondazione.
Queste le motivazioni. È stato un ragionamento difficile, complesso, meditato e sofferto fatto da persone serie che hanno a cuore il bene e il futuro della Fondazione.