Assistiamo in questi giorni ad una rigogliosa fioritura di scritti sul destino della Cassa di Risparmio di Orvieto e sui comportamenti della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto. Peccato che, come al solito, tutto ciò accada quando ormai i giochi appaiono chiusi. Basterebbe andarsi a rileggere i nostri scritti, fatti in tempi non sospetti, e ricordare i nostri interventi pubblici per ritrovare le nostre previsioni di come sarebbe andata a finire. Non eravamo aruspici, ma ci limitavamo semplicemente ad esaminare i dati di bilanci e ad ascoltare il parere di specialisti.
Abbiamo anche tentato di coinvolgere le forze politiche:
– comunali, ottenendo un consiglio comunale aperto e alcune riunioni dei capogruppo,
– regionali, ottenendo in due giorni di dibattito in consiglio regionale un voto all’unanimità per l’istituzione di una commissione che avrebbe dovuto produrre una relazione da inviare alla commissione parlamentare di bilancio.
In tutte e due le situazioni tutto si è risolto con un nulla di fatto; le istituzioni finanziarie hanno dimostrato di essere più potenti di quelle politiche, le quali, forse, non hanno voluto, saputo o potuto intervenire sull’argomento. Crediamo inoltre che chiunque abbia una minima cultura economica sappia che InvItalia ed il Medio Credito Centrale intervengono temporaneamente per risanare situazioni critiche e per poi mettere sul mercato aziende risanate. Questo è stato fatto, di cosa ci si meraviglia oggi?
La Politica avrebbe potuto cercare di ottenere che CRO diventasse un soggetto economico non solo locale, ma questo non è stato nemmeno tentato.
Il recente incontro tra i responsabili della Regione Umbria e del Comune con gli Istituti finanziari ha, se ce ne fosse stato ulteriore bisogno, leggendo i comunicati emessi, dimostrato l’influenza della classe politica locale e regionale.
Poiché in un’economia di mercato contano semplicemente i numeri e le leggi, l’unica possibilità del territorio di poter avere voce in capitolo era quella che la Fondazione mantenesse una partecipazione di minoranza qualificata con i diritti che questo avrebbe comportato.
La sofferta scelta di non partecipare all’aumento di capitale ha lasciato libero il socio di maggioranza di attuare la politica che riteneva più confacente con la sua missione e di aumentare il valore della sua quota.
La vendita di CRO per il territorio è un evento estremamente rischioso che normalmente si potrebbe, come molti casi dimostrano, svolgere in tre fasi:
– una prima fase nella quale si dirà che si mantiene l’occupazione e il marchio locale;
– una seconda dove si affiancherà il marchio del compratore;
– una terza in cui resterà semplicemente il marchio di chi compra.
Riteniamo importanti le considerazioni fatte dalla Fondazione nella sua recentissima nota stampa:
– l’aumento di capitale è stato ritenuto eccessivo e si è opposta alla relativa delibera;
Informazione questa di notevole rilevanza che andrebbe meglio dettagliata per le possibili implicazioni.
– decide di non partecipare all’aumento di capitale perché eroderebbe in modo significativo il patrimonio disponibile senza garanzia di adeguata remunerazione, mettendo a rischio le erogazioni al territorio vista la scarsa fiducia sui dividendi che potrebbe generare;
– il suo patrimonio e la sua influenza sul territorio sono stati chiaramente ridimensionati dal terremoto Banca Popolare Bari.
Associazione Praesidium