di Claudio Lattanzi
Tanta fatica buttata alle ortiche. La decisione di Proposta Civica di rifiutare l’apparentamento con il centrosinistra di Stefano Biagioli per il secondo turno elettorale ha creato e sta creando molto sconcerto nella grande maggioranza degli elettori che ne hanno fatto, in una manciata di mesi, la terza forza politica di Orvieto. La logica di questa scelta risulta in effetti sfuggente anche perchè il risultato finale è quello di anestetizzare il consenso raccolto in un ruolo di opposizione che è stato scelto a priori e che non appariva del tutto scontato nel momento in cui si è invece deciso di gettare la spugna.
Si è rinunciato a giocare la partita ancor prima che l’arbitro fischiasse la fine dell’incontro. Tralasciando la spiegazione di bassa cucina (ma non irrilevante) delle considerazioni evidentemente svolte sulla futura composizione del gruppo consiliare nelle differenti circostanze, è interessante capire perché un movimento civico capace di prendere il voto di un elettore su cinque abbia invece imboccato la strada rinunciataria di chi si arrende in partenza. Una decisione tanto più incomprensibile se messa in relazione allo spessore professionale di quella Roberta Palazzetti che aveva ed ha il potenziale per essere uno dei protagonisti più importanti della vita pubblica della città degli ultimi anni.
Alla base di questa opzione che ha suscitato scontati malumori e maldipancia, c’è l’idea completamente travisata di cosa sia e debba essere il civismo. Un vero movimento civico è quello che basa la propria azione sul tentativo di attuare il proprio programma, senza avere ancoraggi ideologici (ed anzi comprendendo al proprio interno opzioni ideologiche anche contrapposte) in una logica che non è quella dell’appartenenza e dell’obbedienza al sistema dei partiti, ma del rapporto fiduciario con i cittadini.
In questa visione, un movimento civico ricerca in ogni circostanza le modalità più adatte per fare l’unica cosa che ha a cuore, ovvero realizzare il programma elettorale. Nel momento in cui Stefano Biagioli ha offerto a Proposta Civica la possibilità di un accordo basato sulla concessione del vice sindaco e di almeno tre assessorati si era evidentemente di fronte allo scenario possibile per cercare di portare a compimento la propria missione civica, considerando che la politica è sempre condizionata dai rapporti di forza.
Aver declinato quella offerta appare dunque incomprensibile a meno che non si tenga conto del concetto di civismo che ha prevalso in questo caso. L’idea cioè del civismo inteso come declinazione qualunquistica dell’anti politica in continuità con una vicenda che, nel caso italiano viene da lontano, più o meno dalla stagione di Tangentopoli e che ha avuto come espressione più recente il grillismo.
Il rifiuto di capire che l’essenza della politica è di essere sempre l’arte del possibile e, quindi, la capacità di cercare il miglior compromesso possibile, date le condizioni del contesto in cui ci si trova, per trasformare in realtà la propria visione. L’unica cosa che dovrebbe contare. Nel gruppo di Palazzetti si è invece imposta l’idea del tutto impolitica di essere portatori di una ipotizzata purezza che è la negazione, al tempo stesso, sia della capacità politica che dell’autentico civismo. Una purezza che non si capisce adesso a cosa serva e che, ancora peggio, contraddice il patto implicito con gli elettori.
Come la storia del bambino che buca il pallone quando capisce di aver perso la partita. In tutto questo ad uscire ammaccata è la leadership di Roberta Palazzetti che è andata in tilt di fronte alla prima vera prova politica, dimostrando di non avere un piano o B o perlomeno di non averlo condiviso prima con chi ha accordato fiducia alle due liste civiche. Resta la speranza che il valore di Palazzetti possa essere comunque speso nel modo migliore a favore della comunità e a fronte di una imminente vittoria elettorale di quel centrodestra che non ha (come non ce l’ha avuto il centrosinistra) nessun reale progetto per il futuro di Orvieto, ma ha capacità politica da vendere. La vera questione qui è quella di pensare ad un nuovo modello economico che possa colmare la pesante distruzione di ricchezza prodotta ormai 22 anni fa dalla fine del modello caserme.
Il 45 % degli elettori ha accordato fiducia a chi ha fatto una campagna elettorale da incorniciare, parlando della strada complanare e del turismo come prospettive per i prossimi cinque anni. Come se la costruzione di una strada, progettata due decenni fa e un settore economico da cui dipende meno del 20 % della ricchezza e dei posti di lavoro della città possano rimettere in moto quel meccanismo di attrazione di investimenti pubblici e privati e creazione di lavoro di cui Orvieto ha drammaticamente bisogno.
Prima di bucare sdegnosamente il pallone ed estraniarsi dalla lotta si sarebbe dovuto riflettere meglio sulle proprie responsabilità di fronte a questo scenario che riguarda tutti oltre che sulle legittime aspettative dei propri elettori. A fare la fine del pallone bucato rischia di essere ancora una volta Orvieto mentre Proposta Civica l’ha già fatta due giorni fa.