di Mirabilia Orvieto
Neanche la costruzione del duomo, il più grande progetto mai realizzato che costò alla città notevoli sforzi, potè distogliere gli orvietani da odi e divisioni. Per lungo tempo Monaldeschi e Filippeschi si combatterono in una sanguinosa lotta che Dante ricordò nella Divina Commedia. La cattedrale di Orvieto doveva ergersi sopra ogni faziosa rivalità, così come dichiarato dagli Statuti di molte città italiane: “Distruggete completamente la minaccia
crescente di lotte e discordia civile…Nelle faccende umane non c’è male più grande che la costante contrarietà e disgregazione”.
Solo dopo decenni di conflitti, nasceva ad Orvieto l’esplosiva visione finale della Resurrezione della carne nella cappella di san Brizio. Con quei corpi nudi, Signorelli rappresentava l’immagine della nuova civiltà dove gli esseri umani non litigano, non si odiano, non contrastano ma dialogano pacificamente e s’abbracciano, pronti a trasformarsi in cittadini virtuosi, aperti al futuro, pieni di energia e in continuo divenire. Con Signorelli sorgeva la città utopica, eretta all’insegna di una nuova architettura sociale, densa di significati e pronta per essere abitata al meglio. Ebbene, nel Rinascimento, anche l’arte parlava di politica.
Qui le singole anime, seppur diverse fra loro, entrano in relazione e si soccorrono a vicenda, occupandosi l’una dell’altra. Nella nuova polis tutti si danno da fare in un impegno morale e civile che si tradurrà “in utilità pubblica e crescita comune”. Orvieto avrebbe potuto scegliere se degenerare rimanendo prigioniero del passato, oppure, per rovesciamento, rigenerarsi e protendersi verso il futuro. Infatti la città che si erge sopra la Rupe non appare simile a tanti germogli che spuntano diritti come da un tronco d’albero eroso dal tempo, crescendo rigogliosi? Essa è
l’immagine più emblematica della forza creatrice della natura unita all’opera dell’uomo, due realtà che insieme formano una città “compatta, sulla roccia uscita dalla terra, come una gemmazione della roccia stessa”. Al suonodelle trombe angeliche i risorti si alzano da terra come una vera città, possente e compatta, un miracolo di grazia e volontà: sono “uomini e donne, muscolosi, fisici, in carne ed ossa, che si ergono come torri, come edifici su una piazza, come le grandi facciate di chiese e palazzi scolpiti e dipinti”.
Tutti interagiscono fra loro creando quella cooperazione e quell’aiuto reciproco che è l’unico e vero antidoto alla disgregazione sociale.
In mezzo a questa umanità, dove non esistono classi sociali, c’è persino la Trinità, le Tre Grazie, modello terreno di perfetta unità fra gli uomini nella diversità delle loro vite.
L’Orvieto ideale, finalmente libera dalle contese e dalle divisioni, si trasformava perciò in una città-simbolo che inaugurava, nella storia dell’arte, il primo manifesto dell’Umanesimo. Dall’uguaglianza alla convivenza pacifica, dal progresso alla ricerca del bene, l’Apocalisse annunciava quei grandi valori oggi universalmente riconosciuti come Diritti Umani.
L’arte da sempre ha anticipato il futuro! Ad esso aspirò, fin dal Medioevo, anche la città di Orvieto dove vive da secoli una comunità operante che con il suo agire, abile e sapiente, occupa spazi che sono espressione della dignità e della libertà dei suoi
cittadini. Qui è custodito un passato in continua evoluzione. Questa città è fatta a misura d’uomo e continua a sollecitare, a provocare, a ispirare desideri e scelte decisive in grado di aprire prospettive più autentiche, oltreché soddisfarle.
Ma la visione di Signorelli porta con sé una certezza: la vittoria dell’amore sull’invidia. L’artista la rappresenta simbolicamente con una donna che allatta un bimbo stretto tra le braccia, mentre schiaccia sotto i piedi un’altra donna che si morde la mano, in preda alla disperazione. Nella città degli invidiosi, descritta da Dante, ci
sono infatti coloro che non hanno sopportato di vedere il bene degli altri.
Ciechi d’amore, hanno amato soltanto se stessi e la loro vita condannandosi, come Caino, al grande rimorso. La cooperazione invece trionfa sempre sulla divisione, il bene comune sull’egoismo, il benessere sulla desolazione. Dunque mitezza o superbia, compassione o odio, Paradiso e Inferno, due strade e due destini sempre aperti nel nostro essere uomini liberi che hanno piedi e non radici.