di Davide Orsini
Le lettere di ringraziamento ai medici in realtà ci segnalano una crisi profonda. Da qualche anno i giornali online hanno preso l’abitudine di pubblicare lettere di persone assistite nel nostro ospedale. Di solito si tratta di messaggi di encomio per qualche medico o per l’intero reparto in cui il paziente ha ricevuto le cure. La cosa in sé non desterebbe grande attenzione se non fosse per il fatto che ormai da diversi anni il servizio sanitario locale è al centro di controversie rimaste irrisolte.
Mentre le prestazioni e l’efficienza del servizio pubblico sono in netto calo ovunque, sul nostro territorio assistiamo alla crescita di strutture private che in ambito diagnostico sopperiscono alle lunghissime liste di attesa ed offrono visite specialistiche di buon livello, spesso non accessibili negli ospedali territoriali. Per ogni lettera di encomio che viene pubblicata con enfasi e con altrettanta enfasi viene rilanciata dai partiti che amministrano la città, vi sono centinaia di persone che rinunciano addirittura a curarsi, o a fare visite indispensabili al fine di prevenire l’insorgere di malattie anche gravi. Chi può pagare si rivolge al privato, e chi non è in grado di farlo si rassegna e soccombe.
In tutti questi anni privati cittadini ed associazioni hanno rivolto le critiche maggiori al “sistema” sanitario, e meno frequentemente si sono lamentati dell’incompetenza dei singoli operatori, spesso costretti a lavorare sottorganico ed in condizioni difficili. La voce di questi ultimi si ascolta di rado. Ecco io credo che ai medici, agli infermieri, ed a tutti gli operatori sanitari che compiono il loro dovere, farebbe più piacere poter assistere al meglio i loro pazienti, piuttosto che veder pubblicate lettere di ringraziamento. Le lettere di ringraziamento esprimono gratitudine, certamente, ma anche la grande fragilità di pazienti che affidano le loro speranze di guarigione ai medici che li curano. In parte questo è assolutamente comprensibile, non lo è invece la strumentalizzazione che se ne fa in ambito politico, soprattutto da parte di chi vorrebbe sostenere—contro ogni evidenza—che in fondo non ci possiamo lamentare, che i sindaci non hanno poteri decisionali in materia di sanità, e che altrove le cose vanno peggio.
Per esempio, nell’ultimo incontro organizzato dalla giunta comunale a Ciconia il 3 aprile, la sindaca uscente Tardani ha ripetuto per l’ennesima volta che “i sindaci non fanno bandi di concorso, non assumono infermieri, e non gestiscono ospedali” ma devono avere la consapevolezza dei problemi che esistono e riportarli nelle sedi opportune. Mi pare poco, e francamente in queste parole sento rassegnazione mista a incompetenza. Io credo che un sindaco abbia certamente l’obbligo di rappresentare i bisogni dei cittadini, ma debba anche fare proposte concrete per migliorarne i servizi, altrimenti che ci sta a fare? La definitiva rinuncia da parte della sindaca a lottare per avere finalmente il servizio di emodinamica presso il nostro ospedale è l’emblema di questo atteggiamento remissivo. Saremo mai in grado di svolgere un ragionamento complessivo su cosa c’è da cambiare e su come farlo alla luce dei problemi reali dei pazienti invece di minimizzarli e limitarsi a dire “di più non possiamo fare”?