Si dia inizio alle manovre. Per il vero, sono da tempo iniziate. Gli appuntamenti elettorali si avvicinano e da più parti si levano voci, critiche e lamentazioni, scarsi però le dichiarazioni di intenti e i contributi programmatici.
Dopo le bufere giudiziarie di Tangentopoli, la politica è sembrata come qualcosa di sporco e deleterio, tanto da dover esser bandita dal consesso civile, per sostituirla con qualcos’altro di ancora non ben definito. Questa sorta di repulsione nei confronti di vicende e personaggi dell’agone elettoralistico pare sia ancora diffusa, in particolare tra le giovani generazioni, desiderose di smantellare quel che è stato e che è per costruire quanto sarà, sebbene talvolta non risultino chiare tendenze e visioni generali.
Per un buon periodo, l’essere onesti appariva come condizione bastevole per candidarsi, proporsi ed entrare a buon diritto negli ambiti amministrativi, senza remore e spesso con tracotanti baldanze. Quell’andare contro al malcostume dilagato destava comprensibili approvazioni popolari. Pareva che chiunque non avesse avuto appartenenze o militanze potesse ergersi tra i salvatori dei futuri patri, divenire un amministratore degno di rispetto, segno del nuovo che avanzava spedito. Ma chi amministra deve possedere o detenere competenze e abilità operative davvero particolari, che non possono essere disgiunte, per ovvie ragioni, da quelle trasparenze ineludibili, necessarie ma non sufficienti per una gestione efficace dei territori di competenza.
Sono numerosi e variegati i fattori caratterizzanti quello che una volta veniva appellato vir bonus dicendo peritus, colui che si metteva e che si mette al servizio più che alla guida, come piace a troppi, di intere comunità, bisognose di attenzioni e risposte definitive. Per sfuggire dagli screditati carrozzoni partitici, bisognava inventarsi alternative valide e opportune. Le rivalse dei più contro sistemi sfasciati e purtroppo conosciuti portarono a risoluzioni accattivanti, che appagavano dalle delusioni e dagli inganni di quanto era avvenuto. Che cosa di meglio di un attivismo civico che rappresentasse le basi inascoltate, vessate e trascurate dai soliti giochi di Palazzo, tanto detestati? Eccola la strada per il nuovo che avanzava.
La smania di formare liste civiche prese il sopravvento in quel Paese così bisognoso di cambiamenti politici e culturali. Quelle liste civiche però spesso mascheravano vecchi interessi politici, sia per gli individui che le formavano, sia per gli argomenti trattati, spesso con pomposa, enfatica smania comunicativa. Così dietro facce ed emblemi inusitati, potevi trovarti l’impensabile e ancor di più: maneggioni indefessi, corrotti e spacciatori di blandizie propagandistiche, loschi figuri riemersi dalle melme di oscuri passati, torbidumi e lottizzazioni mercantili indecorose. Ma poteva accadere proprio il contrario, con individui di assolute probità, che volevano unirsi per cercar di cambiar situazioni destinate a rovine indicibili.
Le elezioni amministrative dovrebbero senza dubbio rappresentare l’impegno della cittadinanza per affrontare e dar risposte ai problemi di un territorio. Senza timori o esistanti prese di posizione, in quanto le priorità della cosiddetta politica locale dovrebbero essere quelle di un’illuminata gestione territoriale e di un diuturno rapporto costruttivo con la cittadinanza, con i riferimenti produttivi territoriali.
E per produttivo si intende non soltanto quel che attiene alle borghesie imprenditoriali, ma a ogni settore che contribuisce o meglio potrebbe contribuire ai benesseri generali di determinate zone. In tal senso, sarebbe auspicabile che alle pratiche correnti si associassero anche solidi approcci programmatici di sviluppo, tali che l’ordinaria gestione amministrativa trovi degne aperture, proiettate ai più positivi cambiamenti per futuri periodi. Spesso purtroppo, in particolare nei piccoli centri, si assiste a beceri personalismi, a disquisizioni fumose sui massimi sistemi, alle solite macchinazioni per accaparrarsi visibilità, a protagonismi di squallida paesaneria, che talvolta lasciano davvero sbigottiti.
L’esigenza di presentarsi come liste civiche sta proprio in questo consolidato dissociarsi da quella sorta di macchia marcescente che la politica si porta addosso ormai da troppo tempo. Quindi lontani dai partiti, per nuovi ideali tuttora poco precisati, rigorosi ma evanescenti, sicuri in vaghe e incerte volontà realizzative. Ma agire da soli, pensare da soli, procedere da soli non fa che acuire quel sentirsi soli che porta a scarni e inefficaci risultati. Non si tratta quindi di schierarsi da una parte o dall’altra, di essere marchiati, seguendo categorie che forse purtroppo non esistono più, se non nei proclami e in qualche lieve notazione programmatica.
Con ragionevolezza, diviene quasi obbligatorio unirsi o perlomeno confrontarsi per raggiungere agognati obiettivi, altrimenti dispersi in pronunciamenti evasivi se non inconcludenti.
Questo non significa buttarsi nelle selve partitiche vecchia maniera, ma un obbligato percorso per non rimanere isolati come voci che invocano dai deserti delle buone intenzioni non ideologizzate, quelle di giovani o più attempati che bramano ardentemente mutamenti decisivi. Quei giusti desideri, quell’attivismo rivolto all’innovazione, quella voglia più che comprensibile di trasformazioni, miglioramenti e condivisioni. Un’espressa volontà di impegni solidali, soprattutto in zone depresse e in graduale decadenza.
La presenza di cattolici o presunti tali in sodalizi da urne non deve in alcun modo destar confusioni, allarmismi o volgari ilarità, o peggio indurre a toni beffardi, che sanno tanto di ignoranze storiche, timori diffusi o partigianerie spericolate.
L’appartenenza a credi che hanno segnato, per valori fondanti, vicende e trascorsi luminosi di una Nazione, potrebbe rappresentare una risorsa sorprendente, nuova nella tradizione che, con salde basi valoriali, aperte a confronti liberali e riformisti, al dialogo costruttivo, risulterebbe un valido riferimento per tutti, davvero nessuno escluso. È chiaro che sarebbe increscioso e indecente l’utilizzazione di certi appellativi per finalità propagandistiche, magari questuanti in serbatoi elettorali del bel tempo che fu, di quando Ideologie e schieramenti erano ben strutturati e identificabili.
Questo centrismo non ancora ben delineato è degno di sicuri interessi e attenzioni specifiche. Potrebbe diventare riferimento privilegiato per la raccolta, non di certo quella indifferenziata, di quanti anelano alla salvezza, al rinnovamento culturale, saldo rifugio da relativismi, biechi superficialismi, che caratterizzano la società odierna, alla ricerca di ancoraggi ideologici e spirituali inequivocabili. Un centro che centri interessi e aspettative di comunità mancanti di progettualità visionarie e manifeste concretezze. La questione è aperta, si registreranno gli sviluppi.
Francesco M. Della Ciana