di Pasquale di Paola
Orvieto è un’amena e amabile cittadina, che stupisce e lascia senza fiato per le sue tante ricchezze artistiche e storiche, per i suoi caratteristici vicoletti e per i suoi tanti monumenti che suscitano nei visitatori incanto e ammirazione. Un vero e proprio museo a cielo aperto. Eppure Orvieto da tempo è vittima di una lenta, costante, decadenza.
Offesa e oltraggiata negli anni da personaggi vari, con una visione miope e non lungimirante nel tempo per riuscire a porre un freno a questo stato di cose. E da molto tempo “quella” campana di antica memoria la accompagna con i suoi rintocchi. I primi rintocchi funesti per l’economia orvietana risalgono a parecchio tempo fa, ai tempi della costruzione della linea ferroviaria dell’Alta Velocità. I politici in auge in quel periodo salutarono quell’evento promettendo agli orvietani ricchezza e benessere. Sottolineando che l’Alta Velocità per il territorio era una manna piovuta dal cielo, che avrebbe avvicinato Orvieto alle grandi città. Con un aumento esponenziale degli afflussi turistici, con conseguenti forti ritorni sotto forma economica, e non solo, per tutti. Tutti sappiamo come è andata a finire. Tante chiacchiere, tante promesse campate in aria. Oggi ogni cinque minuti un treno Alta Velocità “sfreccia” di fronte a Orvieto. Senza che nessuno vi si fermi. Non solo. Anno dopo anno il servizio offerto ai cittadini è diminuito sia in termine di avvicinamento alle grandi città, sia sotto un punto di vista qualitativo.
Poi quegli acuti rintocchi di campana, non presagio di buone novità per il popolo orvietano, si sono rinvigoriti in concomitanza con la chiusura della caserma Piave. Ulteriore, dolorosa coltellata per l’economia della città sulla rupe. Rintocchi che hanno acquisito nuova linfa con la chiusura dell’unico ospedale cittadino.
Da sottolineare che le varie amministrazioni succedutesi non sono state in grado di rendere produttive le due strutture rimaste vuote, la caserma Piave e la sede dell’ospedale. Arrecando danno ulteriore alla già deficitaria economia locale. Anche in questo caso, soprattutto nei periodi vicini alle tornate elettorali, tante mirabolanti e aleatorie promesse, tante parole dette al vento.
Una Orvieto già in forte crisi di salute e in stato di forte depressione economica, ha dovuto poi subire una ulteriore, lacerante ferita, con la chiusura del Tribunale. E anno dopo anno i rintocchi di quella campana hanno continuato a infrangere il pacato silenzio dei suoi vicoli e i vicoletti. Con costanza lacerante le attività artigianali, i piccoli negozietti e le aziende a conduzione familiare sono sparite. Inesorabilmente, una dopo l’altra. Nella indifferenza e incapacità di saper fronteggiare tale stato di cose da parte di chi poteva, e doveva, fare qualcosa. Senza neanche riuscire a comprendere che una comunità è in salute e prospera fino a quando queste attività rimangono in vita, perché ne costituiscono l’anima, l’asse portante e il cuore pulsante.
Purtroppo un agire politico cieco e dissennato non ha saputo cogliere questi segnali, non ha avvertito il suono di quei rintocchi, accecato da una corsa folle a fare di Orvieto una città di élite turistica. I vari politici susseguitesi si sono completamente smarriti nell’inseguire un turismo forsennato e settario, smarrendo il senso della realtà quotidiana e delle problematiche e bisogni primari dei cittadini. Politici e politicanti di bassa lega, completamente smarriti nei loro improponibili film e nei loro fantasiosi viaggi su Marte. Senza rendersi conto, presi da questi pindarici voli, che la sanità locale stava collassando.
Liste d’attesa lunghissime abbinate a un peggioramento della qualità del servizio offerto, sempre di più hanno evidenziato carenze. La “malattia” della sanità pubblica orvietana si e’ aggravata ogni giorno di più: la qualità dell’aspetto più importante di una comunità, l’assistenza sanitaria, ha toccato livelli sempre più bassi.
Con la funesta china pericolosa e vigliacca che ha discriminato, ed emarginato, sempre di più le categorie sociali meno facoltose, quella parte dei cittadini che non possono permettersi i consistenti esborsi necessari per avvalersi della sanità privata. Le vergognose lungaggini delle liste di attesa, che i cittadini orvietani sono costretti a subire se vogliono essere curati dal Servizio Sanitario Nazionale, si svuotano più facilmente per le fughe da esse che per la sacrosanta funzione a questo servizio demandata.
Quella campana ha continuato il suo suono nel comprensorio locale anche per la vergognosa gestione in questi ultimi anni del centro di igiene mentale. Con ingenti investimenti si era ristrutturata la sede storica situata sulla rupe. Per problemi non chiari era poi stata spostata a Bardano, in via dei Vasari. Altri forti investimenti pubblici per predisporre il tutto. Nonostante questa struttura si presentasse attrezzata e con locali all’avanguardia, dopo pochi mesi è stata dichiarata inagibile. Il centro è stato spostato, sempre a Bardano, in una sede assolutamente non adatta e non idonea ad assolvere la sua vitale funzione per la comunità. E nessuno dei politicanti locali ha mai riflettuto o si è posto il problema della necessità di istituire un valido collegamento con navetta, per permettere a chi abitava sulla rupe di potervi accedere. Fatto questo ancora più vergognoso e inaccettabile, perché tale superficialità ha reso ancora più difficile e ingestibile la vita a persone già in difficoltà e in stato di forte sofferenza. Una comunità che non permette alla parte più debole e fragile dei suoi cittadini di ricevere cure appropriate e dignitose, non è una sana comunità. E di sicuro non sono di aiuto i soliti tanti politicanti di turno che sono fantasmi o assenti per anni, per poi riprendere linfa e vita solo in prossimità di ogni tornata elettorale. E così facendo, continuano a tirare quella fune legata a quella campana.
Con quei cupi rintocchi che nitidamente echeggiano tra i vicoli e i vicoletti della rupe, e che ricordano, senza soluzione di continuità, la continua, lenta ma inesorabile decadenza di Orvieto.