di Mirabilia Orvieto
Un anno fa, Camilla Laureti, membro del Parlamento Europeo, espresse così le sue preoccupazioni: “Ad oggi la sfida è ancora più grande perché alla programmazione dei fondi europei c’è da aggiungere quella del Pnrr. Dobbiamo fare uno sforzo enorme per coinvolgere i Comuni“. L’indagine dell’ANCI riporta che su 92 Comuni umbri, solo tre(il 5%) hanno un ufficio dedicato alla progettazione europea, mentre in otto(il 14%) dispongono di personale qualificato.
Certo non è un buon segno visto l’importanza del tema affrontato. Nello studio viene sottolineato che la progettazione europea non è un ulteriore ed aggiuntivo canale di finanziamento, piuttosto il naturale processo di “governance” che è stato scelto in Italia ed in Europa per canalizzare le risorse economiche.
Per far questo c’è bisogno che il tessuto istituzionale sviluppi gli strumenti necessari a rendere effettiva questa opportunità offerta ai territori. Gli otto Comuni umbri che dispongono di personale qualificato per la richiesta dei fondi europei sono Campello sul Clitunno, Città della Pieve, Guardea, Corciano, Nocera Umbra, Norcia, Terni e la nostra Orvieto. Per chi non è proprio al dentro di queste cose, si ricorda che i programmi a gestione diretta dell’Unione europea sono uno strumento per sostenere finanziariamente lo sviluppo di progetti volti a favorire la crescita intelligente, sostenibile e inclusiva prevista dall’Agenda Europa 2030, nel quadro di obiettivi strategici definiti dall’Unione europea per la programmazione 2021-2027. Insomma una grande occasione per i Comuni tutti a cui le amministrazioni locali dovrebbero volgere la massima attenzione.
Il livello di partecipazione degli Enti locali ai programmi europei ha però messo in evidenza la palese inadeguatezza della politica che sembra non essere all’altezza delle possibilità offerte dell’Europa. Questo è il numero di progetti presentati per la programmazione 2014-2020: da un massimo di 35 progetti elaborati dal Comune di Perugia e 20 da quello di Terni, si passa ad un minimo di un solo progetto presentato dai Comuni di Monte Santa Maria Tiberina, Narni e Campello sul Clitunno. E Orvieto? Lo troviamo al penultimo posto con 2 progetti, insieme al Comune di Guardea.
Perché una città come Orvieto, così ricca di storia e di risorse naturali, un luogo con potenzialità per così dire “internazionali”, si trova agli ultimi posti? L’Europa è una grande opportunità nella misura un Comune ha lo sguardo verso l’Europa. E questo sguardo è fatto di iniziative, di un piano di valorizzazione e sviluppo, di idee e di progetti capaci di individuare obiettivi e mettere insieme tutte le potenzialità del territorio, senza escludere nessuno. Si dice di ascoltare i cittadini ma spesso le parole, pronunciate con enfasi e sicurezza, non corrispondono alla realtà delle cose, e soprattutto alle parole non seguono i fatti!
Tra i temi prioritari c’è la cultura e il turismo, l’ambiente e la pianificazione strategica del territorio, la mobilità sostenibile, le politiche giovanili, l’agricoltura, la salute, l’efficientamento energetico, la cooperazione allo sviluppo, la ricerca e l’innovazione. Non ci sono soluzioni facili, ma bisogna costruirle nel tempo con impegno e creatività in vista delle risorse europee a disposizione, che certamente non si fermano a piccoli contributi di qualche decina di migliaia di euro.
Tuttavia la mancanza di figure professionali nell’amministrazione comunale, necessarie per la stesura dei progetti stessi, l’incapacità di intessere una rete di collaborazioni con altre Istituzioni, a partire dalla Regione Umbria, costituisce l’ostacolo maggiore; in sostanza una sfida molto impegnativa che impone delle competenze tecniche specifiche, oltre che una elevata “motivazione” alla crescita e al miglioramento a lungo termine.
Ad aumentare la distanza con l’Europa è la convinzione che i “fondi diretti”, quelli veramente importanti, non siano funzionali agli obiettivi dei piccoli Comuni, perché troppo orientati a percorsi innovativi e lontani dalla gestione corrente della cosa pubblica. Se è vero che Orvieto è una città e non un paese, allora questo mito andrebbe sfatato a favore di una “cultura” della progettazione diffusa e articolata.
Dall’esperienza emerge la naturale propensione dei Comuni a lavorare sulle esigenze più stringenti e vicine ai bisogni della cittadinanza, occupandosi solo della gestione ordinaria e della promozione di eventi marginali tanto per fare qualcosa. Prima delle elezioni tutti si impegnano con liste, candidati, programmi, e poi quando si tratta di amministrare non si hanno idee per il dopo.
La gestione corrente non deve impedire ai Comuni di avviare un processo d’innovazione, di creare un progetto di cambiamento del territorio che funga da stimolo e ispirazione per quello sviluppo e quel progresso che, altrimenti, verrà rimandato ad un futuro non ben definito e che forse non arriverà mai.