di Francesco Maria Della Ciana
Buone nuove dalla Rupe. Con indubbio e caloroso interesse, non si può non accogliere l’offerta che viene da un illustre rappresentante della cultura del nostro Paese. Un gesto davvero generoso, se si pensa alla realtà locale, come al solito dedita a baruffe urbevetane, che sollevano i soliti polveroni inconcludenti. Che personaggi di così elevato lignaggio rivolgano sguardi così tanto benevoli verso una città divenuta ormai paesone, destinazione Civita, induce nell’oscurità del presente a scorgere qualche bagliore di salvezza. Tra tante colpevoli manchevolezze, la cosiddetta politica locale ha prodotto nel tempo il mantenimento di condizioni di stabilità amministrativa ed economica scarsamente produttive. Un tirare avanti tra tante mediocrità sconclusionate.
Molti diranno che è particolarmente difficile amministrare una città e un territorio, che le tremende burocrazie e la mancanza di fondi come pure i tanti lacciuoli che vincolano e limitano, non consentono significative realizzazioni. Questo di sicuro è vero, senza timor di smentita. La perizia di un amministratore sta però nel far la differenza, nel trasformare le situazioni ostili in valide opportunità, nel valorizzare le risorse umane, nell’ascoltare le voci che chiamano e propongono dai deserti di belle gioventù e ambienti professionali marginalizzati, gettare ponti e non innalzare muri o erigere steccati, incoraggiare rivalità e incomprensioni.
Se i cosiddetti politici, dopo la caduta delle ideologie tradizionali, alle prese con sempre crescenti personalizzazioni delle azioni e protagonismi dissennati, proseguono nelle alchimie elettoralistiche, nei giochi perversi, finalizzati all’appagamento di poterucoli nostrani, indaffarati nei tentativi di formar coalizioni quantomeno fantasiose, chi crede ancora che gli ideali debbano stare a fondamento della politica autentica, quella sentita e forte, sorretta da etiche vigorose, spinte ideologiche e spirituali, caratterizzata da impegno civico e disinteressata appartenenza a luoghi che sente propri, nativi o non, carichi di affetti, in attesa di effetti, quel cuore del mondo che ognuno conosce e interpreta, come dovrebbe comportarsi?
Forse rifugiarsi nell’individualismo più becero, sebbene ben comprensibile, oppure provare, forse come extrema ratio, a smuovere le acque purtroppo stagnanti di una politichetta sorniona in via di estinzione programmata? Se diamo un’occhiata ai tanti articoli di giornale apparsi dagli anni ’90 in poi, paiono assai deludenti i risultati raggiunti dai presunti esperti o sedicenti tali di settore, coloro i quali avrebbero dovuto risolvere le più o meno scottanti questioni gravitanti sulla città, cercando con ogni mezzo processi di miglioramento, sviluppo e benessere sociale condiviso. Non si sono registrati manifesti attivismi, tesi alla valorizzazione dei tessuti economici e sociali di questo centro umbro e gli sforzi sinora compiuti, seppur meritori, sono stati rivolti al mantenimento di pochezze populiste consolidate e all’appagamento delle solite alleanze consociative dai bassi profili, senza pretese. Quelle che ben poco realizzano e tanto declamano.
Di sicuro, chi ricorda la Rupe come luogo di luminosa dinamicità, riferimento privilegiato per comunità di confine, tenuto conto della valida posizione tra Alto Lazio e Bassa Toscana, non può che distoglier lo sguardo dalle rovine del bel tempo che fu e che sembra non ritornar più. Che decadenze e declino non siano soltanto di queste parti è certo, ma le potenzialità vocazionali avrebbero sortito, se accortamente sfruttate, l’avvio di un benefico processo di rinascite economiche, produttive e culturali. L’aspetto più fastidioso di una certa orvietanità deteriore sta in quella inamovibile supponenza degli ambienti apatici della politicanza, dedit i soprattutto alla coltivazione di orticelli privati, ostili a confronti e progettualità costruttive. In queste terre belle e addormentate, guai a chiunque osi cambiar qualcosa. Neanche proporre bozze programmatiche ottiene riscontri positivi. Un gusto perverso di annientare proponimenti, slanci e fervori… senza ritegno, come senza scopi precisi.
Sia quindi benedetto chi ardisce, malgrado tali premesse, di impegnarsi per un salvataggio del salvabile, ma soprattutto per rinascite valoriali, unite a progettualità innovative. Di sicuro un coraggioso, quasi un temerario che, a sprezzo delle troppe neghittosità locali, si offre come volontario artefice di trasformazioni tanto attese, in luoghi di gelide indifferenze e scarse propensioni collaborative. Ben venga quindi la riscoperta di un nuovo Centro, culturale e politico, ideologico e visionario, a cui tutti, sebbene non lo dichiarino apertamente, tendono e anelano con smaniosa aspettativa di salutare operatività. Che cosa dire se non: uniamo le forze, proviamoci se siamo ancora in tempo, riemergano quei fuochi sopiti sotto la cenere dell’inconcludenza, dell’accondiscendenza, perché si levino le menti pure in questi lembi d’Umbria occidentale spesso dimenticata. Nessuna certezza, anzi poche aspettative, visti i precedenti decisamente deludenti, ma non fermiamoci per carità.
Dedichiamo il nostro impegno, perché figure di buona volontà non si ritirino in maniera definitiva per osservar da lungi lo squallore della catastrofe incombente. Mancano valori e programmi. Qui sembra che qualcuno voglia darli. Il buon seme conta, ma senza terreni prodigali finisce sulle strade, tra i sassi o le spine e non risulta fruttuoso, si vanifica un lavorio intenso, volto al bene della comunità. Bisogna quindi svegliarsi per progressi nuovi. Voglia il Cielo che vi siano ancora figure che comprendano e agiscano, persone di pensiero e azione, cristiani e riformisti, democratici e liberali, che sappiano portare nuovi ordini da passate e presenti confusioni, solidarietà e concordia nelle contrapposizioni, soprattutto freschezze intellettuali per futuri radiosi. Un appello ai “liberi e forti” che ancora sopravvivono nelle lande del disimpegno e della massificazione imperante. Se uniti vinceremo.