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Home Cronaca

“La nostra Chiesa di Orvieto-Todi, ha bisogno di concentrarsi sulle esigenze dell’evangelizzazione e sulle urgenze della carità”

Redazione by Redazione
10 Gennaio 2024
in Cronaca, Secondarie, Archivio notizie
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Anche per questo nuovo anno, la Diocesi di Orvieto-Todi ha realizzato e diffuso l’Agenda/annuario. Nella prime pagine si trova l’Agenda pastorale 2024, ossia le linee pastorali indicate dal Vescovo Gualtiero Sigismondi, che di seguito si riportano.

La Chiesa, la nostra Chiesa particolare di Orvieto-Todi, ha bisogno di concentrarsi sull’essenziale della sua missione: sulle esigenze dell’evangelizzazione e sulle urgenze della carità. Nella vita pastorale esistono stagioni, come quella in cui il Signore ci ha concesso di vivere, di rapidissimo cambiamento nella strategia, che bisogna saper cogliere se non si vuole essere lasciati indietro dalla storia.
“Una Chiesa viva – osserva Papa Francesco – sa riformare se stessa e rinnovare la società”. Illuminanti, al riguardo, sono le parole pronunciate da Timothy Radcliffe, ex Maestro dell’Ordine dei Predicatori, nel ritiro spirituale che ha preceduto l’inizio dei lavori della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo: “Rinnovare la Chiesa è come fare il pane. Si raccolgono i bordi dell’impasto al centro e si allarga il centro ai margini, riempendo il tutto di ossigeno”. Il processo sinodale in corso si offre come possibilità concreta per ridisegnare il panorama delle nostre comunità cristiane; altrimenti l’immagine del “camminare insieme” resta una bella cornice intorno a un quadro di nessun valore.

Si risolverebbe in un’illusione ottica il tentativo di rispondere alle sfide a cui anche la nostra Diocesi è sottoposta, per favorire l’incontro del Vangelo con il mondo, se non ci si lasciasse mettere in discussione da alcuni interrogativi che interpellano la vita pastorale.

– Cosa arde sotto la “cenere” dell’attuale fase di transizione, che si configura come un “cambiamento d’epoca” segnato da dure prove e stimolanti avventure?

– Cosa derubricare dall’agenda pastorale e, nelle circostanze attuali, sulla base di quale gerarchia dell’essenziale è possibile riordinare le priorità?

– Quali criteri seguire per “accatastare”, in mezzo a un popolo numeroso, le case dei fedeli strutturate in cenacoli, nella forma della domus Ecclesiae?

– Quali celebrazioni domenicali non fanno Chiesa, tenendo conto, “in spirito e verità”, del rapporto vitale tra ars celebrandi e actuosa participatio?

– Come promuovere una formazione orientata alla missione, ispirata al modello catecumenale, incentrata sull’anno liturgico e il dies dominicus?

– Come mantenere in tensione dinamica il radicamento personale della fede e la sua presenza sociale, per assicurare una partecipazione vigile alla vita civile?

– Dove allestire i cantieri della Dottrina sociale della Chiesa, che hanno la funzione di porre a contatto, con “delicata fierezza”, il Vangelo con la storia?

– Dove creare spazi di avvicinamento alla fede, dei “vestiboli”, in cui intercettare la voce dei giovani, che hanno come parametro la mobilità non solo digitale?

– Quanto la testimonianza della carità contribuisce a incontrare chi, vivendo con bontà e rettitudine di cuore, avverte una “profonda nostalgia di Dio”?

– Quanto il comodo criterio del “si è fatto sempre così” impedisce di osare l’inedito, stretto tra l’incudine dell’immobilismo e il martello dell’improvvisazione?

Si tratta di domande aperte, quasi un “pro memoria” per il discernimento comunitario, inteso come esercizio alto di sinodalità. Le soluzioni andranno cercate per tentativi e sperimentate sul banco di prova della concordia, ponendosi obiettivi di lungo percorso e non di breve periodo. C’è bisogno di un lavoro creativo e coraggioso di gestazione. È necessario investire sulle unità pastorali, concepite come “infrastrutture sinodali” e non come “sovrastrutture operative”, le quali non hanno lo scopo di “riassettare” le reti delle parrocchie di un territorio omogeneo ma di metterle “in rete”, cioè “in assetto di missione”, ravvivando la fraternità presbiterale e valorizzando gli organismi di partecipazione. Essi non si ispirano ai criteri della “democrazia parlamentare” e non funzionano come “tavoli sindacali”, ma si configurano come laboratori di corresponsabilità.

È necessario praticare con maggiore decisione la “pastorale del campanello”, perché se non si riparte dal “vivaio” della famiglia, senza pretendere modelli di perfezione ma cammini di conversione, il nostro impegno per l’evangelizzazione sarà sempre una rincorsa affannosa. Il tessuto familiare è, infatti, l’ambiente vitale, la forza trainante della trasmissione della fede e, al tempo stesso, il banco di prova per ripensare le forme tradizionali della catechesi, la cui finalità non è quella di iniziare ai sacramenti ma, attraverso di essi, alla sequela di Cristo.
È necessario aprire nuove vie al dialogo con i giovani, frequentando l’ambiente digitale con i suoi “alfabeti”, senza ingenuità e, soprattutto, senza rinunciare all’attività in presenza, allo scopo di abitare il mondo reale dei processi formativi, finalizzati a esplorare l’orizzonte vocazionale.
Si tratta di favorire la pastorale “a goccia” dei cammini di accompagnamento e non quella “a pioggia” delle iniziative di mantenimento, passando dagli “eventi” agli “ambienti”, trasmettendo la fede, come insegna la lex orandi nel solenne inizio della Veglia pasquale, “nella forma del contatto, da persona a persona, come una fiamma si accende da un’altra fiamma”.

L’opera di trasmissione della fede suppone un lavoro analogo a quello delle api, regolato da una sorta di “monarchia repubblicana”, che disciplina le relazioni tra l’ape regina, i fuchi, cioè i maschi, e le api operaie, in particolare le nutrici, le spazzine, le bottinatrici e le guardiane. La loro coordinazione all’interno delle colonie dell’alveare o dell’arnia crea un meccanismo sinodale, con compiti ben definiti: costruzione del nido, organizzazione del cibo, regolazione della temperatura, accudimento delle larve. Le api, attirate dalla fragranza dei profumi, non sciupano la bellezza dei fiori da cui suggono il polline e il nettare, che in parte trasferiscono negli altri fiori, andando così a fecondarli, e in parte trasportano all’interno del favo: “incubatrice” e “magazzino” dell’alveare. La vita pastorale ha molto da imparare dal “magistero operoso” delle api, agili nello sciamare ma allergiche allo scisma, infaticabili sia nel ventilare calore utile alle larve, sia nel suggere e depositare nelle celle esagonali, realizzate con la cera secreta dalle api operaie, le sostanze prelevate dai fiori, trasformandole in miele per il loro nutrimento e per quello degli uomini.

Seguendo l’esempio delle api, cantate dal Preconio pasquale, dobbiamo inoltrarci lungo sentieri inesplorati, rispetto a quelli tracciati nelle vecchie “carte geografiche”. La storia della Chiesa insegna che ogni cammino di rinnovamento inizia “strada facendo”, seguendo i passi dei primi cristiani, “quelli della Via” (cf. At 9,2). Il congedo della liturgia eucaristica, “ite Missa est”, indica verso quale direzione siamo chiamati a dirigerci. Non abbiamo ancora compreso, fino in fondo, il senso di questo mandato, che ci invita a raggiungere i “crocicchi delle strade” (cf. Mt 22,9), assumendo una corretta “postura sinodale” e un’agile “andatura missionaria”. Il problema non è essere poco numerosi, ma diventare insipienti: “Se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?” (Mt 5,13). Questo “interrogativo esclamativo”, posto da Gesù ai discepoli, ci riguarda e ci sollecita a orientare i nostri passi verso orizzonti nuovi e più vasti, con la serena fiducia di chi sa che il seme della Parola ha i suoi tempi di crescita nel terreno senza confini dei cuori.

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