“Uguali. Il contemporaneo e il suo doppio” è il nome della mostra d’arte in programma dal 20 dicembre 2023 al 7 gennaio 2024 presso il “Museo Faina” di Orvieto – negli orari e nei giorni di apertura al pubblico – organizzata dalla Cooperativa sociale “Il Quadrifoglio” in collaborazione con la Usl Umbria 2 di Orvieto, e che si avvale del fondamentale e generoso supporto della Fondazione per il Museo Etrusco “Claudio Faina” e del patrocinio del comune di Orvieto Una mostra d’arte piuttosto singolare.
Anzitutto perché le “opere” in esibizione riproducono alcune pietre miliari della cosiddetta “arte contemporanea”; ed ecco il primo significato di “Uguali”, da intendersi nel senso di “calco”, di “doppio”. In secondo luogo, perché gli autori della mostra sono persone che frequentano i centri diurni, riabilitativi e residenziali, della USL Umbria 2 di Orvieto gestiti dalla Cooperativa Sociale “Il Quadrifoglio”: il Piccolo Principe, l’Albero delle Voci, la Porta del Sole e la Serra Fiordaliso.
Luoghi con una specifica “segnatura”, in cui si lavora con persone da trattare con cura e che, in questa occasione, attraverso una serie di attività, si sono misurate con il “Grande Altro dell’Arte” che si chiama l’Arte Contemporanea. Perché il “Grande Altro”? Perché l’esperienza estetica prodotta dall’incontro con queste espressioni genera frequentemente un senso di spiazzamento, di disorientamento, a volte felice, talora inquietante, che scuote convinzioni, sguardi, consuetudini.
E quando ciò accade, siamo davvero dinanzi ad un’opera d’arte, anche se può accadere, dopo aver visto le tele di Fontana, i colori lattiginosi di Rothko, le combustioni di Burri, di restare interdetti. Ma è proprio nell’interdizione, in questa pausa del flusso del reale organizzato, che si fa esperienza di una forma di libertà dal conosciuto.
Nell’arte contemporanea, si dice, a contare non è la tecnica, ma l’idea.
“Perché l’opera d’arte – spiega il critico e curatore Francesco Bonami, già direttore della 50esima biennale di Arti Visive di Venezia – non è soltanto fatica, lavoro, studio, tecnica ma anche follia, visione, azione, vuoto, nulla, scherzo, tutte cose che, come quelle faticose, difficili e noiose, fanno parte, a pieno diritto, della vita. E la vera arte parla sempre della vita.” La “A” rovesciata nel logo-titolo della Mostra fa deflagrare le parole, il significato lacera il significante. Una A rovesciata intende mostrare un’uguaglianza che trattiene in sé la fecondità della differenza, del moltiplicarsi della varietà. È una parola-movimento, instabile, aperta, come del resto gran parte dell’arte contemporanea.
“L’arte contemporanea – raccontano gli educatori – è diventata tramite per convogliare interesse, manualità, emozione e il vissuto dei tanti utenti che frequentano quotidianamente i centri. Se ‘in principio’ è l’idea, abbiamo voluto riprodurre il farsi oggetto dell’idea. Abbiamo pensato che il ‘calco’ o, altrimenti, ‘il doppio’, potesse aprire una riflessione sull’uguale e il diverso, sulle abilità, disabilità e ‘altrabilità’, sui differenti funzionamenti; e che il ‘mimetismo’ di un pensiero creativo potesse offrire, alle persone che frequentano i nostri servizi, un inedito e inaudito accesso alla poetica dell’artista.”
“Abbiamo così avviato – spiega l’educatrice Elisa Dottori – laboratori creativi nei quali queste persone con disabilità si sono divertite interiorizzando, con il loro sorprendente potenziale, i concetti di spazialismo (Fontana), di surrealismo (Magritte), di arte povera (Boetti, Pistoletto) o di informale materico (Burri)”.
“Ogni centro – spiegano gli educatori – ha una sua singolare atmosfera, una sua specifica vibrazione. Quindi abbiamo ricercato quell’artista le cui espressioni potessero entrare in risonanza con quella singolare atmosfera. Yves Klein, ad esempio, con i suoi monocromi, le sue nuances, il celeberrimo blu oltremare è diventato il tutor spirituale del ‘Piccolo principe’, il servizio che si occupa dei bambini con diagnosi dello spettro autistico. Abbiamo realizzato 11 tele monocrome, una replica della celebre mostra di Klein alla Galleria Apollinaire di Milano nel 1957.”
“Un’opera di Alighiero Boetti – ‘Un pozzo senza fine’ – è stata scelta come ‘matrice’ per il centro diurno l’Albero dello Voci. Si tratta di ricami di lettere su tessuto. Nella ripetizione dell’opera abbiamo nascosto un meraviglioso motto di spirito di una persona che frequenta il servizio. Le lettere del motto sono state riprodotte su tele 20×20 e saranno distribuite sul tavolo della sala didattica del museo, così da consentire ai visitatori di svelare, giocando, l’arcano del motto di spirito o di inventare nuove combinazioni…”
“Magritte è invece il maestro della ‘Serra didattica Fiordaliso’, con una deroga al celebre ‘Ceci n’est pas une pipe”. Al posto della pipa c’è un cactus, selezione obbligata vista la speciale predilezione dei giardinieri della ‘Fiordaliso’ per le piante grasse. Così come la pipa di Magritte non si può fumare, così il cactus del quadro non punge: quindi ‘non è un cactus’. Il concetto di inafferrabilità dell’oggetto attraverso la rappresentazione è dato dalle tante immagini di cactus realizzate da ragazzi e ragazze del centro, quasi a mostrare l’impossibile presa delle etichette sul reale”. “Quasi un ossimoro l’idea di richiamare l’Annottarsi di Alberto Burri alla Porta del Sole, centro socio-riabilitativo diurno e residenziale di Ficulle. Ossimoro solo apparente: ‘La mia pittura – diceva Burri – è una realtà che è parte di me stesso, una realtà che non posso rivelare con le parole”.
Questa zona d’ombra, non è affatto spaventevole ma rivelatrice, densa come le parole che i nostri ragazzi hanno difficoltà a pronunciare. L’ombra, l’oscurità, l’assenza di luce ci interpellano più dell’abbaglio delle luci del secolo: ‘il contemporaneo – scrive Giorgio Agamben – è colui che percepisce il buio del suo tempo come qualcosa che lo riguarda e non cessa di interpellarlo, qualcosa che, più di ogni luce, si rivolge direttamente e singolarmente a lui. Contemporaneo è colui che riceve in pieno viso il fascio di tenebra che proviene dal suo tempo’”.
“Ad di là delle valenze ‘terapeutiche’ – concludono – l’esperienza con l’arte contemporanea ha ampliato la capacità nostra e delle persone dei centri di dire, nominare, moltiplicare gli accessi al reale, superando il normocentrismo che, alla fine, può diventare un’insopportabile gabbia per tutti gli umani”.