Giovedì 28 dicembre 2023 inizierà la trentesima edizione di Umbria Jazz Winter. Trent’anni importanti per Orvieto, una piccola realtà che, ogni anno, si trasforma nella città della musica, nella città del jazz. Quel sogno che, trent’anni fa, l’ex sindaco Stefano Cimicchi aveva in mente di realizzare. Di seguito riproponiamo l’intervista che rilasciò, nel 2003, per il decennale di Ujw, sul tabloid della manifestazione:
Domanda di rito a chi è stato sindaco per tutto il primo decennio di Uj winter. Per un festival jazz non è un traguardo da poco. E per la città? Cimicchi qual’è per Orvieto il bilancio di questa manifestazione?
Uj winter ha rappresentato per Orvieto la svolta. Fino ad allora, rievocazioni storiche a parte, c’era solamente il concerto del Sabato Santo. Con UJ Winter la città si misura con un evento complesso con una durata più lunga del solito e per di più in un periodo in cui, ad Orvieto, tutti chiudevano e andavano in ferie.
Dieci anni per l’edizione invernale, ma già trenta per quella estiva di stanza a Perugia. Come la vivete voi orvietani: una sorella minore o una manifestazione con una definitia e compiuta identità? Insomma, un po’ di inferiority complex o l’orgoglio della diversità?
Nessuna delle due sensazioni: noi non ci sentiamo affatto inferiori nè diversi. Per noi essere all’altezza di poter collaborare con Perugia è grande motivo di orgoglio. Siamo cresciuti e dai perugini abbiamo imparato molto. Ogni volta che si presenta un’occasione – vedi la canzone d’autore con Sergio Piazzoli – collaboriamo con molto piacere.
Orvieto è una piccola città dalla grande immagine. Avete inventato eventi e iniziative (dalla buona cucina al giornalismo) che si sono affermate negli anni. Come si inquadra Umbria Jazz nella vostra politica di promozione complessiva della città?
UJ Winter ha fatto da battistrada per l’affermarsi del concetto della “CITTÀ SISTEMA”. Dopo il superamento di questa prova tutti si sono convinti che esprimendo “qualità vera” si poteva raggiungere qualsiasi risultato.
Può raccontare gli inizi di questa avventura? Come nacque Umbria Jazz a Orvieto, fu davvero una scommessa e perché diventò un’idea vincente? E se fosse stato un flop?
Appena risanato finanziariamente il Comune, mi misi alla ricerca delle relazioni giuste per affiancare l’immagine della mia citta con quelle di marchi affermati e prestigiosi come Umbria Jazz, Slow Food, Cerami e Piovani, Barzini … L’evento “galeotto” fu il concerto di B.B. King. In quell’occasione dovemmo cambiare piazza in poche ore e vi fu un grande afflusso di pubblico. Dimostrammo una grande capacità organizzativa che convinse piuti dai nostri albergatori negli ultimi anni. Questa situazione non giova l’allora “inseparabile trio” Pagnotta-Ambroglini-Bistecca che eravamo da Serie A. Poi ci fu un pranzo da “Pippi il Cocco” al quale partecipò l’allora assessore al Turismo Fausto Prosperini, orvietano anche lui. Per la prima edizione ci assumemmo un rischio enorme (eravamo sotto di 150 milioni!) e se avessimo fallito penso che oggi non staremmo qui a parlarne. Ci credemmo da subito e, comunque, un po’ di incoscienza aiuta sempre.
Più volte gli organizzatori perugini di UJ hanno sottolineato di “sentirsi a casa” a Orvieto, cioè di aver trovato un clima particolarmente amichevole. Merito soltanto dei buoni affari che fanno i commercianti, o c’è anche altro?
I nostri commercianti, nel tempo, non hanno tirato fuori una lira, però hanno capito il senso delle nostre provocazioni. Sono brontoloni, ma molto capaci. Essi sono passati da un’utenza fatta solamente di soldati di leva e turismo religioso e culturale a una clientela di livello medio-alto, molto esigente e attenta alla vera originalità delle proposte. Il livello raggiunto dalle attività commerciali del centro storico di Orvieto è difficilmente riscontrabile altrove e date le condizioni di partenza non era per niente scontato. In ogni caso gli orvietani ritengono salva l’ospitalità ed è da tutti riconosciuto il “sense of humor” degli Etruschi.
Il Comune ha partecipato in prima persona all’organizzazione di Umbria Jazz d’inverno, alla sua logistica. Una sfida non da poco, perchè i tempi, i modi e soprattutto la velocità di un festival di queste dimensioni non sempre sono compatibili con le normali dinamiche comunali. Come ve la siete cavata?
In questo caso abbiamo compiuto un’operazione colossale ma che stava già nelle corde del Progetto Orvieto che ha permesso di restaurare gli immobili di valore che la città possiede, oltre che consolidare il masso tufaceo. La “città sistema”, dopo Settecento anni, lascia solamente il Duomo ed il Comune alle sue originarie funzioni: quei “luoghi”, sono stati ri-pensati per essere sedi del “gusto”, della “buona musica”, dell’arte e così via.
In deici anni non sono certo mancate le difficioltà. Due su tutte: l’edizione immediatamente successiva al terremoto, con l’azzerameno del movimento turistico in Umbria, e quella della straordinaria nevicata, che durò poco ma mise in ginocchio mezza Regione. Come ricorda quei due momenti? Senza dimenticare l’anno scorso, cioè l’edizione che seguiva gli attentati dell’11 settembre. Anche allora turisti ai minimi termini …
In realtà quelli sono stat gli episodi più eclatanti, mentre ve ne sono molti che ricordo con piacere e che rimarranno per sempre nella nostra memoria. Io penso che abbiamo avuto anche fortuna perchè nn c’è manifestazione che non incappa, prima o poi, in una annata storta. Speriamo che continui così.
Contrariamente a Perugia, Umbria Jazz qui non soffre il problema degli spazi per gli spettacoli, anche per la dimensione più ridotta che ha il festival soprattutto perchè c’è una buona disponibilità di strutture: teatro, palazzi storici, Museo Greco, piccoli locali di fascino, fino al Duomo. Per quanto riguarda invece la recettività alberghiera lei ritiene che Orvieto possa soddisfare le esigenze di manifestazioni come queste?
La recettività è un problema per Orvieto, nonostante i notevoli sforzi compiuti dai nostri albergatori negli ultimi anni. Questa sitiazione non giova nemmeno al Centro Congress , situato nel Palazzo del Popolo, che per funzionare a pieno avrebbe bisogno di qualche altra struttura adeguata per qualità e quantità di posti letto. Sono attualmente in corso alcune iniziative ed alte sono auspicabili. Alla fine conteranno i fatti e non le polemiche: Orvieto è solita brontolare ma poi arriva il momento in cui tutti si rimboccano le maniche.
Come vede il secondo decennio di Umbria Jazz Winter? Ci sono modifiche, miglioramenti, innovazioni che vorrebbe lasciare in eredità al suo successore?
Io ho sempre sognato di fare della mia città la Salisburho d’Italia. Un luogo dove sia possibile “consumare” eventi di grande livello con una qualità dei servizi elevatissima senza diventare però esclusiva. Un mix possibile, come si vede. Però occorre che la squadra si arricchisca di soggetti e che il dialogo tra le parti rimanga aperto: Amministrazione, operatori, cittadini orvietani devono avere la stessa idea su ciò che è bene pe Orvieto. Io che amo il jazz, sono riuscito insieme ad altri, a far divetare la mia città la città del jazz. Credo che sarà difficile cancellare quello che abbiamo fatto.