Voce nattante: Federico Fabiani
E’ quasi un invito a estraniarsi dalla velocità del presente, a riflettere, a rallentare. E pensare che è solo un presepe di terracotta ma tanto l’amore racchiuso in ogni statuina, la dedizione in ogni pennellata per colorare gilet, berretti e vestiti, l’attaccamento profondo alle proprie radici, che quello di Vera Bianchini non è solo un presepe. È un richiamo alla spiritualità, alla condivisione e alla semplicità, valori che, nonostante il trascorrere del tempo, restano saldamente radicati nel cuore delle festività natalizie.
La magia di questo presepe risiede nella sua capacità di unire le persone attraverso una connessione profonda con la storia, la fede e la tradizione. La sua semplicità e autenticità lo rendono attraente per tutte le generazioni, creando un ponte tra il passato e il presente: è il momento esatto un cui tutto si ferma, immobile, e ascolta.
E oltre a Gesù, Maria e Giuseppe ci sono tutti, almeno quelli più conosciuti. Sono gli abitanti del paese: Bruna, Giuliana, Peppino e tanti altri volti storici di Castel Viscardo intenti a onorare le tradizioni paesane. Alcuni ci sono ancora, altri purtroppo no ma sono ancora vivi nel cuore di tutti i concittadini. A conferire la fisionomia alle statuine in terracotta, le mani di insegnante di lettere in pensione che da più di dieci anni allestisce un originale presepe in una cantina all’ombra del palazzo comunale.
All’incirca sono 50 le statuine collocate all’interno della cantina che la signora Vera acquistò appositamente per allestire il suo progetto. “I primi pezzi vennero realizzati nel 2000 al Museo della Terracotta nell’ambito di un laboratorio per la lavorazione della creta ma ogni anno aggiungo qualche altro personaggio in più. La materia prima è fornita dalla Fornace Luigi Bernasconi e, durante l’anno, mi diletto a realizzare nuove figure”.
A realizzare i mestieri tradizionali, così, non sono pastori generici ma la suocera, la vicina di casa e una serie di personalità note in paese. Non possono mancare poi, a Castel Viscardo, i cantori della Pasquarella, che portano la loro “nenia” tra i poderi e le vie per raccogliere la questua da utilizzare per la celebrazione di messe a beneficio delle anime di tutti i castellesi. Dalle lavandaie all’uomo che intreccia i cesti in vimini, fino alla samaritana nel pozzo, all’angelo che accompagna, protegge, sostiene… Il presepe con statuine di terracotta della signora Vera non è solo un oggetto decorativo, ma un simbolo di valori profondi. Rappresenta la fede, la famiglia e la condivisione, incoraggiando le persone a riflettere sul vero significato del Natale. Ogni statuina, con il suo design unico, racconta una storia e si connette con il cuore di chi lo contempla. È anche questo un modo per trattenere i ricordi e la memoria collettiva di un paese. Soprattutto a Natale. L’allestimento 2023 del presepe situato nella cantina della Signora Vera, realizzato in collaborazione e con il profondo ausilio di suo marito, il professore Franco Brancaleoni, sarà aperto al pubblico e visitabile dal 24 dicembre, in occasione degli eventi che animeranno l’arrivo del Natale in Piazza 4 Novembre a cura delle Pro Loco di Castel Viscardo.
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Poesia, testi di Vera Bianchini
Natale è entrare in un presepe
con passi di donna antica,
portare terra, acqua e sole
sulla tavola del pane,
varcare la soglia
con piede sicuro sui sassi
tra personaggi fuori scena
stupiti di trovarsi incastonati
in un racconto antico
ma sempre nuovo:
la nascita di un Bimbo
che ha salvato il mondo
sacrificando la sua vita.
“ Noi non sapevamo di fare tanto
-Dicono i personaggi-
Abbiamo solo raccolto fiori
e ne abbiamo fatto un tappeto
per il Signore”.
E l’Angelo risponde:
“E’ tanto”.
“Abbiamo coltivato la terra
e pascolato il gregge”
e l’Angelo risponde:
“E’ tanto”.
“Siamo venuti da lontano
seguendo una stella”
e l’Angelo risponde:
“E’ tanto”.
Tu, luce
Venuta a rischiarare il mondo
Illumina la mia vita,
Luce
ritornata in cielo
nelle braccia del Padre,
Luce
che hai illuminato
In un attimo
I miei occhi bui
mostrandomi la bellezza dell’Amore,
Luce
non lasciarmi,
fammi capire il mistero
dell’avermi sfiorata
con dita rosate.
Dove ti trovo, Signore,
nei canti melodiosi dei conventi?
Nei silenzi dei chiostri?
Ma io non so cantare
non so pregare.
Cammino soltanto su un tappeto di foglie
scomposte,
nel disordine dell’autunno,
al suono dei miei passi
sospinti sul bordo della valle.
Ascolto il silenzio delle chiome brune
dei boschi
e la voce del fiume
che serpeggia giù in fondo;
aspetto i colori del tramonto
che incendiano alberi e cielo
nubi e profili di monti.
Qui ti cerco, Signore,
e così ti prego
e in questi momenti
di solitudine
mi giunge la tua voce.
Sarà sempre così, Signore?
Case grandi, giardini fioriti
dispense traboccanti
e migliaia di uomini
che bussano a porte chiuse,
bambini che piangono
il perché di un pane negato.
Ieri
In un mare di uomini in fuga,
accampati nella disperazione,
ho visto un bimbo
che tendeva le braccia
e la madre, china su di lui,
che piangeva.
Dammi il tuo fiore, Maria,
fa’ che il ciliegio rifiorisca,
voglio farne uno stendardo
che corra per le strade del mondo
a dare speranza,
a gridare che l’Amore esiste
e unisce
e sospinge alla vita
e dissipa le tenebre del male.
Dammi il tuo fiore, Maria,
e tante mani si uniranno
a comporre vessilli,
giovani speranze, idee
che stendano una parte di cielo
qui, sulla terra.
Dammi il tuo fiore, Maria,
che la sua bellezza
offuschi l’egoismo
e dissipi l’ombra della guerra.