ORVIETO – Nel pomeriggio di giovedì 14 dicembre si è riunita presso la Sala consiliare la Conferenza dei capigruppo del consiglio comunale di Orvieto per l’audizione del presidente della Fondazione per il Museo civico ed etrusco “Claudio Faina”, Daniele Di Loreto, sulla gestione economica e patrimoniale dell’Ente. Con lui la segreteria amministrativa della Fondazione, Patrizia Lazzarini.
Presenti il presidente del consiglio comunale Umberto Garbini, i capigruppo Andrea Sacripanti (Lega), Stefano Olimpieri (Misto), Giuseppe Germani (Orvieto civica e riformista), Martina Mescolini (Pd), Franco Raimondo Barbabella (Prima gli orvietani) e Donatella Belcapo (Orvieto 19to24). La riunione è stata introdotta dal presidente Garbini, che ha ricordato come l’audizione sia stata formalmente richiesta dalla consigliera comunale Donatella Belcapo.
“Non rispondo al consiglio comunale né al sindaco – ha premesso e chiarito il presidente Di Loreto prima della discussione – ma al ministro della Cultura che mi ha nominato come suo delegato con funzioni di presidente. L’interlocutore del consiglio comunale è il sindaco che è membro di diritto della Commissione amministratrice. Sono qui perché ho rispetto della massima istituzione cittadina anche se non sarei tenuto a farlo. Chiedo il rispetto della regola della reciprocità. La Fondazione non è subordinata al Comune”.
“Avrei voluto prima ascoltare e mi sarei aspettata una relazione”, ha detto in apertura la consigliera Donatella Belcapo. “Come sono stati spesi i soldi della vendita di Montiolo? Al tempo si era detto che sarebbero serviti per ripianare i debiti e per rilanciare l’attività del museo. Dai bilanci si evince che l’attività del museo è in perdita mentre altri attrattori della città hanno ingressi in aumento, il Duomo fa circa 300mila visitatori all’anno e il museo, che si trova sulla stessa piazza, ne intercetta circa il 10%. C’è una visione?”
La relazione del Presidente Di Loreto:
“Montiolo era in vendita dal 1989 – ha affermato il presidente Di Loreto – allora si chiamava villa ma oggi è un rudere. Non valeva niente, non ha prodotto un centesimo di reddito per 32 anni. Anzi, la Fondazione ha dovuto spendere per metterla in sicurezza. In 30 anni l’hanno visitata dieci potenziali acquirenti ogni anno accompagnati dai vari sindaci e assessori dell’epoca.
La Fondazione ha commesso un errore nel tempo quando non ha venduto Montiolo nel momento adatto e si è portata dietro un problema. L’attività istituzionale della Fondazione è in perdita, non lo è solo il Faina ma tutti i musei del Mondo. Il Metropolitan di New York, l’Hermitage di San Pietroburgo, il Prado di Madrid, la Tate Gallery di Londra, il Louvre di Parigi, gli Uffizi, sono tutti in perdita.
Il Metropolitan ha un rapporto tra biglietteria e costi del 13%. Di Loreto può anche andare a casa tranquillamente perché non è attaccato alla poltrona, ma il problema rimane. Non è rimuovendo il sottoscritto che la Fondazione Faina risolve un problema che è strutturale. Il Museo dell’Opera del Duomo nel 2019 ha fatto 714 ingressi, a 4 euro a biglietto sono 2.800 euro: non ci si paga nemmeno la luce.
Hanno capito il meccanismo e hanno fatto un biglietto integrato Duomo e Museo e ora le cose funzionano. Quando venne messo il biglietto di ingresso alla Cattedrale il responsabile dei beni della Diocesi, don Francesco Valentini, disse che era necessario per sostenere il museo e perché altrimenti l’Opera del Duomo avrebbe fatto default. Il Museo Archeologico Nazionale nel 2019 ha avuto 7.207 visitatori, a 4 euro a biglietto sono 28mila euro. Ci si paga un dipendente con 28mila euro? Forse. Ne hanno 13 e come fanno? Gli altri 12 li pagano i contribuenti. Il Museo Faina come fa a sopravvivere? Perché nel 1954 un uomo lungimirante, il conte Claudio, creò la prima fondazione culturale in Italia ispirandosi ai modelli anglosassoni e accanto all’attività istituzionale affiancò gli immobili e un’azienda agricola.
Nel 1954 con una azienda agraria si mandavano avanti 3 musei, oggi ci vogliono 3 aziende agrarie per mandare avanti un museo. Il museo è strutturalmente in perdita. Io sono primus interpares, ho le stesse responsabilità e meriti, qualora ce ne fossero, degli altri consiglieri. Questa situazione ha portato a un indebitamento nel tempo e il debito è poi diventato una voragine. Quando sono arrivato c’era un mutuo chirografario di 360mila euro e avevamo una cambiale agraria di 200mila euro che in quattro anni abbiamo portato a 150mila.
Poi c’era un affidamento chirografario di 150mila euro che avevamo esaurito e che abbiamo chiuso con la vendita di Montiolo così come abbiamo chiuso il mutuo chirografario. Abbiamo pagato i contributi previdenziali che non erano stati pagati per quattro anni e non era stata versata neanche l’Irpef, non perché erano cattivi quelli che c’erano prima di me, ma perché non c’era liquidità. A fronte di un rudere a Castel Giorgio e di chiudere un museo e licenziare sei dipendenti, la scelta era obbligata.
Nel museo, inaugurato 25 anni fa, non c’era un impianto antincendio, lo abbiamo fatto noi. Abbiamo speso 22mila euro per la messa in sicurezza di una palazzina in via di Maurizio che stava per crollare, una palazzina che dal 1969 non produce un euro di reddito perché non c’erano fondi per ristrutturarla. Abbiamo dovuto spendere 71mila euro per comprare alcune macchine agricole, un’altra parte con un leasing di 120mila euro utilizzando la legge 4.0. Con i soldi di Montiolo abbiamo quindi riparato una situazione pregressa. Qualche piccolo investimento lo abbiamo fatto: le macchine agricole, la messa in sicurezza del museo, abbiamo pagato il tfr di due dipendenti. E’ rimasta la cambiale agraria che non ci siamo potuti togliere perché preferisco avere un debito con la banca piuttosto che non pagare i fornitori locali”.“Il conto economico – ha proseguito – nel 2019 prevedeva 50mila euro di negativo, è stato dimezzato nel 2020, portato a 20mila nel 2021 e allineato a 3mila euro nel 2022. Nel 2023 dovrebbe andare meglio. Abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare, all’unanimità. Ci siamo dati un codice etico, abbiamo fatto un’operazione trasparenza con i bilanci e le relazioni pubblicati sul nostro sito come non era stato fatto prima. Abbiamo ridato al consiglio comunale un potere che gli era stato tolto nel tempo dando la possibilità di nominare due membri del consiglio di amministrazione scegliendo tra due terne.
I due membri del consiglio comunale sono scaduti alla fine di settembre ma non sono stati sostituiti perché sono un presidente in prorogatio e non mi andava di condizionare le scelte future. Anche perché è molto difficile trovare sei persone disponibili ad accettare un incarico senza sapere chi è il presidente. Oltre al fatto che, se si sale di qualità, le persone ritengono un danno reputazionale essere bocciati dal consiglio comunale.
Per ridare vita alla Fondazione – ha aggiunto – abbiamo fatto attività scientifica a costo zero partecipando a bandi pubblici. Abbiamo rinegoziato il contratto di affitto con l’Archivio di Stato da 22mila a 40mila euro, abbiamo ridisegnato l’organizzazione interna riducendo i costi del personale. Quale è la visione? La Fondazione Faina non ha futuro se non fa alcune operazioni perché prima o poi ricomincerà a generare debito. Noi abbiamo stabilizzato il conto economico, non ho mai detto che ho sanato il debito, e credetemi è già un buon successo. Sono successe anche altre due cose che hanno aggravato la situazione. L’Imu a Castel Giorgio, che non era mai stata pagata ed è stata regolarizzata, e 40mila euro di Ires l’anno che non possiamo più compensare dopo il cambio di normativa nel 2018. Prima o poi la Fondazione sarà costretta a fare alcune operazioni. Ho proposto un abbinamento del Museo con il Pozzo di San Patrizio in un biglietto unico e lo spin off del patrimonio immobiliare urbano, ovvero vendita in toto senza frazionamento, che è stimato tra i 6 e i 7 milioni di euro. A noi da una redditività dell’1%, con Btp la redditività è del 4% netto. Potrebbe essere questo un modo per risanare la Fondazione, cioè vendendo un patrimonio che per il 60% è improduttivo. Nel testamento è prevista anche la cessione allo Stato. Il Museo Archeologico Nazionale sarebbe felice di spostarsi nella palazzina, avrebbero i soldi per le ristrutturazioni, per pagare i dipendenti e la città non perderebbe nulla. Dovremmo soltanto capire come sistemare i dipendenti del Faina”.
Dopo la relazione, è stata la volta degli interventi e delle domande dei capigruppo.
Franco Raimondo Barbabella (Prima gli orvietani) ha ringraziato il presidente per aver fornito “tutti gli elementi necessari per capire come stanno le cose”, ha fatto i complimenti per il lavoro svolto e ha chiesto di modificare lo statuto per la scelta dei membri nominati dal consiglio comunale. “Un meccanismo sciocco, antiquato e ridicolo quello delle terne”, ha detto. “Sono uno dei consiglieri che si è opposto alla vendita di Montiolo – ha aggiunto – perché vendere il patrimonio è un depauperamento per la città e una scappatoia troppo facile. La questione della Fondazione non va isolata da altre situazioni nella città, come quella del Centro studi, sulle quali andrà fatta una riflessione”.
Stefano Olimpieri (Misto) ha sottolineato come attraverso “la vendita oggettivamente necessaria di Montiolo, autorizzata a maggioranza dal consiglio comunale, abbia consentito alla Fondazione di ridurre il deficit e rimettersi in moto” e poi ha chiesto di conoscere lo stato del progetto agrivoltaico per il quale il consiglio comunale ha concesso il diritto di superficie alla Fondazione su alcuni terreni di proprietà comunale “che potrebbe rappresentare un elemento positivo per la gestione dei conti con un introito di 75mila euro l’anno”.
“Conoscevamo la situazione della Fondazione e non ci sono altre strade rispetto a quelle indicate”, ha detto Giuseppe Germani (Orvieto civica e riformista) sottolineando poi i risultati dell’azienda agricola. “Occorre proseguire nella valorizzazione del patrimonio immobiliare e aumentare il numero dei visitatori dl museo. Non vedo niente in contrario alla proposta di mettere insieme il Pozzo con il museo”.
Per Andrea Sacripanti (Lega) “è giusto rimarcare che la vendita di Montiolo ha restituito serenità alla gestione della Fondazione ma ci dobbiamo interrogare anche sul futuro e su come rendere più attrattivo il museo. Il Pozzo di San Patrizio non può essere considerato il bancomat della città”. Ha quindi chiesto di conoscere la situazione del Bar Hescanas, i cui locali sono di proprietà della Fondazione Faina, e se sia “possibile immaginare una vendita anche parziale del patrimonio”.
Martina Mescolini (Pd) ha ringraziato il presidente per “questo momento informativo importante e per la visione” evidenziando perplessità sulla vendita del patrimonio immobiliare. “La posizione del Pd all’epoca – ha sottolineato – non era contraria alla vendita di Montiolo ma a come l’amministrazione comunale aveva gestito la cosa”.
“Abbiamo un patrimonio immobiliare di 7 milioni di euro – ha osservato Umberto Garbini (FdI) – che si va assottigliando e se cominciamo a spezzettarlo perderebbe di valore. Per questo occorre fare un ragionamento complessivo. E’ producente una vendita parziale? Oppure sarebbe solo un modo per rinviare il problema?”
“Era necessario ripristinare una situazione ordinaria – ha detto Donatella Belcapo (Orvieto 19to24) – e questo è stato fatto grazie alla vendita di Montiolo. Da lei ci aspettavamo qualcosa di straordinario, anche rispetto alle relazioni che può mettere in campo. Al di là della proposta del biglietto unico con il Pozzo di San Patrizio e dell’ordinaria amministrazione vorrei capire cosa si è fatto e cosa si può fare per rilanciare il museo”.
“Se faccio rapporto tra i biglietti e i costi – ha detto nelle risposte il presidente Daniele Di Loreto – siamo messi meglio del Metropolitan di New York. Ma non ci consola perché perdiamo 389mila euro che sono le spese necessarie al funzionamento del museo. Come le compensiamo? Con un utile dell’azienda agricola di 318mila euro e 72mila euro dai fabbricati. Negli anni precedenti si è chiuso anche con 70mila euro di negativo. Il museo non può stare insieme con le proprie forze. Io ho proposto la soluzione dell’abbinamento con il Pozzo di San Patrizio alzando il prezzo del biglietto di un euro.
Che cosa offre il museo? Due cose che per il visitatore sono fondamentali: sedersi, e lì c’è una stanzetta che consente di stare a vedere il video del museo, il belvedere da cui osservare la facciata del duomo, e i bagni. Non è stato fatto per una scelta dell’amministrazione comunale che non contesto e rispetto. Nella proiezione l’azienda agricola e i fabbricati renderanno sempre meno e i costi aumenteranno sempre di più. La questione delle terne è un problema da risolvere, ce l’ha anche la Fondazione Cassa di risparmio di Orvieto. La ragione giustificativa è che serviva a mantenere l’autonomia dell’Ente perché è la Fondazione che da i nominativi. Nella realtà c’è una testa di serie e due teste di legno, così il Consiglio è necessariamente costretto a votare una persona. Per questo ho cercato di portarvi il meglio nelle terne. Si può modificare? Si dovrebbe modificare facendo una revisione dello statuto nel rispetto del testamento”.
“Riguardo all’agrivoltaico – ha proseguito – si tratta di un intervento straordinario che ci avrebbe dato la possibilità di stabilizzare il conto economico ma anche di avere un margine in più per l’accantonamento del tfr dei dipendenti. Il consiglio comunale ci ha dato la possibilità di farlo dedicando una piccola parte dei 300 ettari e poter avere un incremento della redditività. Non lo abbiamo ancora fatto perché non riusciamo a trovare un soggetto con cui stringere un accordo per realizzare l’agrivoltaico in house o per una joint venture nella quale noi mettiamo il terreno e il privato il know how.
Lo stato patrimoniale è diverso dal conto economico, che è il conto delle entrate e delle uscite nell’anno di competenza. La situazione debitoria si trova nello stato patrimoniale. Avrei voluto pubblicare anche lo stato patrimoniale ma abbiamo convenuto che non si poteva fare perché il patrimonio non è il nostro. Nella relazione di bilancio però è stato estrapolato un pezzo dello stato patrimoniale che da il termometro della situazione debitoria. Capisco l’atteggiamento da pubblico amministratore della consigliera Mescolini che vede il fatto che il patrimonio venga venduto come un depauperamento della città.
Noi abbiamo 5 appartamenti di 160 metri su 8 che sono sfitti e non sono a reddito. Hanno un costo di ristrutturazione di 320mila euro ad appartamento. Quanto devo mettere di affitto per rientrare dell’investimento? Altra soluzione potrebbe essere darlo a sconto affitto. E quando me lo restituirebbero? E’ una decisione non facile. Faccio un esempio. La Fondazione Cro non ha immobili ma titoli di stato e obbligazioni. L’investimento sugli immobili non è più produttivo. Se acquistassimo azioni di Medio Banca, Generali, Unicredit, San Paolo avremmo una redditività di gran lunga superiore. L’obiezione è: si trasformano mattoni in pezzi di carta. Sì ma delle più grandi aziende italiane che se falliscono fallirebbe anche lo Stato. E’ un ragionamento che va fatto, apriamo una discussione, l’immobilità non serve a nessuno”.
“La vendita parziale – ha continuato – credo sia la cosa peggiore da fare. O si fa lo spin off immobiliare o si ricapitalizza la Fondazione Faina per ristrutturare in house e tenere il patrimonio. Ma la tenuta del patrimonio ha costi superiori alla redditività. Questione Hescanas. E’ un bar che paga 1200 euro di affitto su Piazza Duomo. C’è stata una causa che ha vinto il proprietario e il gestore deve riconsegnare le chiavi il 31 dicembre 2023. La soluzione migliore è un bando ad evidenza pubblica. Mi fa piacere che Germani abbia fatto complimenti al personale dell’azienda agricola. Come valorizzare e implementare attività del museo?
Il Museo archeologico nazionale fa 7mila visitatori l’anno e 11mila ingressi non paganti che sono quelli che entrano la prima domenica del mese quando i musei statali sono gratuiti. Noi siamo un museo privato, quel giorno possiamo anche chiudere: 12 giorni l’anno non facciamo niente. Abbiamo fatto del nostro meglio, se non siamo stati bravi mandateci a casa. In città ci sono due grandi attrattori, il Duomo e il Pozzo di San Patrizio, tutti gli altri come Pozzo della Cava e Underground hanno numeri modesti.
Abbiamo fatto iniziative di carattere scientifico a costo zero per mettere in movimento interesse verso il museo, abbiamo fatto un sito web nuovo realizzato gratis dal figlio di una consigliera, le foto sono state fatte con una convenzione con il liceo artistico, abbiamo fatto convenzioni con le scuole, con il Comune di San Venanzo, abbiamo pronta una convenzione con la Scuola di specializzazione della Guardia di Finanza e con l’Aeronautica, persone che non avrei intercettato perché al museo non vengono.
Abbiamo fatto attività didattica, 850 ragazzi sono venuti a fare formazione al museo con una storica dell’arte per diventare guide del museo, abbiamo portato il museo al Festival della Diplomazia, abbiamo fatto attività editoriale con le Letture Fainiane. Tra i progetti che abbiamo proposto c’è quello dell’Exhibition Center che il Comune di Orvieto ha ritenuto valido tanto da inserirlo nel dossier per Orvieto Capitale della Cultura 2025. Se mi suggerite come aumentare il numero dei visitatori vi ascolto con umiltà. Più di così non posso fare, siamo schiacciati tra i due attrattori culturali più grandi. Nel 2019 abbiamo avuto 25mila ingressi nello stesso anno la Galleria dell’Umbria ne ha fatti 40mila. L’incidenza che hanno gli incassi del museo sulla gestione siamo più virtuosi del Metropolitan, siamo al 18% di media. Posso arrivare al 20, ma non ristrutturo un appartamento a 320mila euro”.
Fonte: Comune di Orvieto