“Cento anni di Umbrie” a cura di Renato Covino (Università degli Studi di Perugia) è il titolo dell’evento proposto dall’Istituto Storico Artistico Orvietano in programma per venerdì 15 dicembre alle 17.30, all’Auditorium “Gioacchino Messina” di Palazzo Coelli, sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto . Nell’occasione sarà presentato “Umbria Verde” di Carlo Faina del 1925 (reprint 2023 per il Formichiere) che nasceva come un libro scolastico per le elementari, ma la complessità e la completezza del contenuto ne fanno ancora oggi un oggetto di particolare interesse. Di profondità paragonabile al contenuto di “Umbrie. Luoghi, personaggi, storie e leggende” di Mino Lorusso, uscito quest’anno per Gambini Editore.
“Non è la prima volta che uno scrittore ha compreso che ne esistevano più di una, di Umbrie. Nel 1925 l’allora Provincia di Perugia, o dell’Umbria – spiega il Presidente dell’Isao, l’architetto Raffaele Davanzo – che oltre alle due province odierne arrivava fino a Rieti, era ancora un insieme di piccoli ma veri e propri stati, così come si erano definiti in età comunale: e l’Almanacco Umbria Verde per le ultime tre classi elementari di Carlo Faina, nato da una linea allora incredibilmente progressista del ministro filosofo Giovanni Gentile (il primo a ricoprire quella carica nei governi di Mussolini), era destinato a ragazzi dagli 8 agli 11 anni e doveva fornire a questi ultimi un’idea dei valori peculiari del territorio, cioè quelli geografici, storici, folkloristici, letterari.
In modo che quei ragazzi, prima di essere introdotti ai valori supremi della nazione e quindi della patria, potessero calibrare le loro potenzialità di italiani a partire dai sentimenti innati di ogni piccola patria. Chiaramente questo programma scolastico durò molto poco, e nel 1928 fu totalmente cancellato: il concetto di Patria doveva passare solo attraverso le direttive del Partito. Ma in quegli almanacchi, e ovviamente in quello umbro, coesistevano decine e decine di storie, anche della guerra appena conclusa; e bozzetti, personaggi, paesaggi, a descrivere le decine di Umbrie di allora. Lo stesso impatto, cento anni dopo, lo testimonia Mino Lorusso, che ha sempre osservato le storie scrutando oltre le apparenze, da vero giornalista.
E quindi ha impostato le sue prospettive da angolature di indagini storico-critiche. Il criterio chiave dell’approccio di Lorusso è che in Umbria la natura si traduce sempre in spiritualità: vale a dire riconoscere la straordinaria potenzialità di sviluppo della bellezza. Lorusso ha approfondito l’intimo rapporto reciproco con l’Umbria di coloro che, umbri di nascita come Salvatorelli e Tobagi, e non umbri, hanno avuto un legame speciale, creativo, col territorio. Come il leader portoghese Soares che trascorse alcuni mesi in esilio sul lago di Piediluco, dove scrisse Portogallo imbavagliato, che delineava le basi della Rivoluzione dei Garofani che nel 1974 rovesciò pacificamente la dittatura di Salazar; come il giovane imprenditore Angelo Moratti che nel 1937 a Tavernelle acquistò la miniera di lignite di Pietrafitta sicuramente nel solco dell’autarchia energetica, ma ponendosi come uno dei primi artefici dell’uso di materiali non eccessivamente inquinanti, per il basso contenuto di zolfo.
Ma forse tra tutte le storie narrate da Lorusso, quella più significativa dal punto di vista politico e civile è la liberazione degli ebrei dall’Isola Maggiore del Lago Trasimeno nel giugno 1944: grande esempio di solidarietà tra esseri umani, con i pescatori che, per evitare che alcune decine di ebrei (già concentrati lì nel febbraio 1944) fossero deportati in Germania, organizzarono un rocambolesco salvataggio passando con le loro barche in mezzo a quelle dei tedeschi, e li sbarcarono sulla riva di Sant’Arcangelo, dove erano già arrivati gli alleati”.