di Mirabilia Orvieto
Nessuno o quasi vuol farsi prete. Come mai? Partiamo dai dati: nei dieci anni che vanno dal 2009 al 2019, la flessione in Italia dei seminaristi diocesani è di circa il 28% e la tendenza negativa continua crescere. L’Umbria è, con la Basilicata, la regione con meno vocazioni sacerdotali con lo 0,7% del totale.
“Chiudersi, difendersi, scansare ogni prova, immunizzarsi contro la vita – osserva don Michele Gianola, sottosegretario della CEI e direttore dell’Ufficio nazionale della pastorale per le vocazioni – non sono sicuramente orizzonti nei quali può fiorire la vita e la vocazione che ha bisogno di aprirsi, entrare in contatto, affrontare le sfide, correre alcuni rischi…Tale situazione somiglia più al sintomo di una malattia della quale trovare una cura“.
In passato ogni famiglia potente ‘costringeva’ almeno un figlio a diventare prete, mentre al contrario le famiglie più povere mandavano i figli in seminario o in convento(soprattutto le donne) per avere una bocca in meno da sfamare. Ma i tempi sono radicalmente cambiati. Ecco alcuni tra i motivi principali del forte calo delle vocazioni: la crisi demografica, la secolarizzazione, la crisi dell’identità del sacerdote nella società moderna, il divorzio tra fede e vita, la questione affettiva legata alla solitudine.
Ma al di là dei numeri c’è la grande questione della fede. Quale cristianesimo consegnare alle future generazioni? Evangelizzazione o devozione? Chiesa conciliare o ritorno al Medioevo? E poi il grande problema della de-clericalizzazione della Chiesa. Sta letteralmente crollando l’idea che per avvicinarsi a Dio bisogna separarsi dagli altri, allontanandosi dal mondo (preghiere, riti, ecc.) quando Cristo è disceso nel mondo proprio per incontrarsi con gli uomini.
Cristiani sono quelli che pregano? No, sono quelli che pensano e che fanno pensare aiutando le persone a realizzare se stesse per renderle più libere. Si è radicata una certa cultura che sacralizza Dio e il sacerdozio, trasformandoli in idoli. In sostanza una chiesa che ha risposte antiche a nuovi bisogni e che facendo così ottiene solo rifiuto, senza pensare che è proprio l’azione dello spirito a dare nuove risposte, addirittura a prevedere il futuro realizzandolo in anticipo. In questo senso non si vede la fede come rinuncia, ma come la via per essere totalmente e pienamente felici, realizzati e persone complete perché questo è l’essenza del vangelo.
Così afferma il teologo Jose Maria Castillo: “Oggi più che mai la religione sta diventando un luogo di schiavitù invece che di libertà, un luogo di in-autenticità invece che di verità: non possiamo nemmeno immaginare fino a che punto estremo la religione ci allontana dalla realtà della vita…Il problema posto da questo modello di religione sta nel fatto che centra l’uomo religioso su se stesso e non su Dio, in modo che vive per sé pensando di vivere praticando la virtù e l’esemplarità“.